Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con decreto ex art. 28, Legge n. 300/1970, del 24 febbraio 2022, ha affermato che il licenziamento del delegato sindacale, in assenza di previo nulla osta del sindacato di appartenenza, oltre a non produrre effetti, costituisce condotta antisindacale.  

I fatti di causa 

La decisione trae origine dal ricorso depositato dall’associazione sindacale di categoria di appartenenza del dipendente (delegato RSU), con il quale veniva denunciata la condotta antisindacale posta in essere dalla società datrice di lavoro, rea di avergli irrogato il licenziamento per giusta causa, in violazione dell’art. 14 dell’Accordo Interconfederale del 18 aprile 1966. 

La norma di cui sopra, richiamata dal CCNL Industria Metalmeccanica, per i casi di licenziamento disciplinare intimati nel periodo di vigenza della carica sindacale, prevede che la relativa operatività sia subordinata all’ottenimento da parte del datore di lavoro del nulla osta dell’associazione sindacale di appartenenza del delegato sindacale. In particolare, il datore di lavoro deve notificare il licenziamento al delegato sindacale e all’associazione di categoria che è chiamata a pronunciarsi sul provvedimento espulsivo entro i sei giorni successivi. L’organizzazione sindacale può rifiutare il nulla osta impedendo così che il licenziamento produca i suoi effetti. Ove, invece, l’organizzazione non si pronunci nei sei giorni successivi o non ritenga di avviare la procedura conciliativa facoltativa prevista dall’articolo 14 citato, il licenziamento acquista efficacia. 

La finalità della procedura in oggetto è volta a (i) verificare che non si tratti di un licenziamento strumentale e, dunque, ingiustificato nonché (ii) evitare possibili turbamenti connessi al licenziamento di un rappresentante sindacale. 

Solo dopo il deposito del ricorso ex art. 28, Legge n. 300/1970 da parte dell’associazione di categoria, la società aveva attivato la procedura, comunicando anche la riammissione in servizio del delegato sindacale, ai fini del suo espletamento ma esonerandolo dal rendere la prestazione lavorativa. 

La decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere 

Il giudice adito ha, innanzitutto osservato che l’assenza della richiesta di nulla osta da parte del datore di lavoro comporta non solo la inoperatività” del licenziamento ma anche la sussistenza di un comportamento sanzionabile come condotta antisindacale. E, a suo parere, l’attivazione della procedura (a seguito del deposito del ricorso), con contestuale riammissione solo formale in servizio del lavoratore non ha determinato, come sostenuto dalla società, il venire meno dell’attualità della condotta antisindacale e la conseguente cessazione della materia del contendere.  

Per il Tribunale, infatti, ciò che rileva ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire ex art. 28, Legge n. 300/1970 per l’accertamento di una condotta antisindacale non è solo l’attualità del comportamento antisindacale, ma anche l’attualità o la permanenza dei suoi effetti lesivi. Effetti lesivi che, nel caso di specie, si sarebbero configurati nell’aver il datore di lavoro di fatto impedito al delegato RSU, sospeso dalla prestazione, l’accesso ai locali aziendali e l’esercizio delle proprie funzioni. 

Il giudice ha, dunque, disposto la prosecuzione del rapporto di lavoro senza esonero dalla prestazione lavorativa e per il tempo necessario all’espletamento della procedura prevista dall’articolo 14 dell’accordo interconfederale.  Infine, il decreto, nel richiamare l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che, nel caso di specie, non trova applicazione la sanzione della reintegrazione di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevista per i casi di nullità del licenziamento. Ciò in quanto, la violazione dell’articolo 14 si configura quale mero inadempimento contrattuale e non di fonte legale. La nullità del licenziamento, infatti, opera solo se il recesso datoriale è fondato sull’appartenenza a un sindacato e/o sulla partecipazione del lavoratore all’attività sindacale, risultando, di conseguenza, discriminatorio

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11027 del 5 maggio 2017, torna a pronunciarsi in tema di licenziamento disciplinare. Nella sentenza in esame, la Corte, richiamando precedenti giurisprudenziali, ha ribadito che il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggettivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti. Ciò significa, secondo la Corte, che condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative. In sostanza è illegittimo il recesso adottato in relazione ad una condotta (nel caso di specie diverbio non seguito da vie di fatto) che il contratto collettivo di settore non punisce con la misura estrema.