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Demansionamento, risarcibilità automatica del danno e onere della prova (Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore, 31 agosto 2018 – Enrico De Luca, Elena Cannone e Antonella Iacobellis)

30 Ago 2018

La Suprema Corte con la sentenza n. 17978 del 9 luglio 2018, ha statuito che:

  •  dal “demansionamento” non discende automaticamente, se non adeguatamente provato, il riconoscimento del danno non patrimoniale;
  • quando il lavoratore eccepisce un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 del codice civile, è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo.

Sul punto, la Suprema Corte ribadiva che “Va considerato che quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all’art. 1218 cod. civ., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Tale accertamento devoluto al giudice di merito non può che essere affrontato seguendo un’indagine di tre step cronologicamente e logicamente successivi: 1) verifica in concreto delle attività lavorative effettivamente svolte, 2) individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, nonché 3) raffronto tra il risultato della prima indagine e le previsioni della normativa contrattuale individuati nella seconda.

 

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