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Diritto di critica e licenziamento: quando il lavoratore è giustificato (Il Quotidiano del Lavoro de Il Sole 24 Ore, 30 maggio 2018 – Alberto De Luca, Gabriele Scafati)

30 Mag 2018

Con sentenza n. 11645/18, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla relazione tra il diritto, costituzionalmente garantito, di critica e il dovere civilistico di fedeltà e lealtà nel rapporto del lavoratore subordinato nei confronti del proprio datore di lavoro.

Nel caso di specie, una dipendente di una nota compagnia telefonica era stata licenziata per avere inviato diverse e-mail ai propri superiori, esponendo alcune rimostranze riguardo alla propria posizione lavorativa, con frasi ritenute offensive e denigratorie da parte del datore di lavoro.

Sebbene il giudizio di legittimità dinanzi alla Cassazione non abbia avuto esito favorevole per il datore di lavoro ricorrente, la pronuncia offre lo spunto per riepilogare in estrema sintesi lo stato dell’interpretazione giurisprudenziale in materia di diritto di critica del prestatore di lavoro e i relativi confini con l’insubordinazione.

In particolare, il precedente giurisprudenziale che rappresenta la pietra miliare sul tema in questione (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 1173/1986), al fine di stabilire in concreto entro quali limiti il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro risulti legittimo e come tale non passibile di licenziamento disciplinare, è necessaria la previa valutazione dei seguenti requisiti: se i comportamenti addebitati siano effettivamente lesivi della reputazione dell’impresa o dei suoi dirigenti; se le accuse che si ritengono infamanti siano state espresse per la difesa di interessi giuridicamente rilevanti; se i fatti oggetto della dichiarazione ritenuta lesiva siano reali.

 

 

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