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Contratti di solidarietà con integrazione al 70% (Il Sole 24 Ore – Focus, 29 aprile 2015, pag. 5)

29 Apr 2015
La quota non è assoggettata a massimale ma è parametrata alla retribuzione.

Con il contratto di solidarietà l’integrazione al 70% della retribuzione persa non è assoggettata ad alcun massimale. È questo il principale vantaggio del contratto di solidarietà (Cds) per i lavoratori. 

Fra l’altro, i principi e i criteri direttivi sulle tutele in costanza di rapporto di lavoro stabiliti dalla legge delega, danno ampio spazio al contratto di solidarietà (Cds).
Le regole 
Come la stessa denominazione già suggerisce, il contratto di solidarietà è un contratto collettivo aziendale con il quale una impresa concorda con i sindacati dei lavoratori la riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti al fine di evitare, in tutto o in parte, licenziamenti collettivi (Cds cosiddetto difensivo), oppure per facilitare l’assunzione di nuovo personale (Cds cosiddetto espansivo). 
In pratica, il “monte ore” di lavoro eccedente, sia per l’esubero di personale, quanto per i nuovi inserimenti, viene ripartito sui lavoratori in forza, attraverso appunto una modalità solidaristica. Lo Stato, al termine di un’istruttoria non complessa, convalida l’accordo sindacale e contribuisce a ridurre il danno subito dal lavoratore, integrando parzialmente il salario perso per le ore non lavorate. Al fine di incentivare il ricorso al Cds è previsto anche un “incentivo” a favore delle imprese che vi aderiscono.
Istituito nel lontano 1984, il Cds è stato più volte modificato e, oggi, è stato esteso a quasi tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione e settore merceologico.
Mentre il Cds “espansivo” non ha trovato un particolare seguito, quello “difensivo”, in passato, ha avuto negli anni alterne fortune, essendo stato considerato troppo rigido dalle imprese. 
Il Cds può prevedere una riduzione dell’orario di lavoro, nella misura massima del 60% dell’orario di lavoro contrattuale dei lavoratori interessati, per un periodo fino a 24 mesi prorogabile, ricorrendone le condizioni, per ulteriori 24 mesi, anche oltre il limite dei 36 mesi nei 5 anni, valido invece per la Cigs. 
L’integrazione della retribuzione persa, fissata dalla legge istitutiva del Cds fino al massimo del 50% dell’importo, è oggi elevata al 70 per cento.
I vantaggi  
Per il lavoratore interessato al Cds, i vantaggi, rispetto all’intervento della Cigs, sono decisamente notevoli:
l’integrazione della retribuzione persa non è assoggettata ad alcun massimale, essendo riferita a quella effettivamente percepita; 
nel periodo interessato dalla riduzione oraria, continua la maturazione integrale di tutti gli istituti contrattuali. 
Per l’impresa il Cds può essere di interesse, nonostante le problematiche connesse alla gestione dell’orario ridotto, non tanto per l’incentivo erogato, che peraltro dipende dalle risorse economiche messe a disposizione dalle annuali leggi di stabilità, quanto per la gestione “soft” del problema degli esuberi di personale e per la possibilità di superare il limite dei 36 mesi nel quinquennio.
In questo contesto già di per sé favorevole, la legge delega evidenzia, indirettamente, come il contratto di solidarietà, evita le sospensioni a zero ore, garantisce la rotazione del personale e può essere utilizzato al termine della flessibilità contrattuale. Tutti requisiti, questi, che dovranno essere rispettati per il ricorso alle nuove tutele in costanza di rapporto di lavoro.
La legge delega 
La legge delega – con i criteri e principi direttivi contenuti nel numero 8), lettera a) del comma 2 dell’articolo 1, di «revisione dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei Cds, nonché della loro messa a regime»- invita l’Esecutivo a prestare particolare attenzione, rispettivamente, ad entrambe le relative tipologie, inclusa quella meno nota o meno utilizzata, cosiddetta espansiva, ed a mettere in campo stabilmente le risorse necessarie per le imprese non rientranti nel campo di applicazione della legge 223/91, per dimensione e/o settore merceologico.
È auspicabile la «messa a regime» di questo specifico ammortizzatore sociale anche con la «semplificazione delle procedure burocratiche» di cui al numero 2), comma 2) dell’articolo 1 della legge delega medesima. 
Oggi l’istanza di autorizzazione per il ricorso al Cds, per le piccole imprese industriali, deve essere trasmessa alla Direzione territoriale del lavoro, cui compete, inizialmente, la verifica della validità della documentazione e delle cause dell’eccedenza di personale e, con cadenza trimestrale, l’accertamento sulla effettiva riduzione dell’orario di lavoro svolto, mentre la competente Direzione generale del ministero del Lavoro non solo emette il decreto di autorizzazione, ma trasferisce anche alle diversi sedi territoriali dell’Inps l’importo da erogare come trattamento di integrazione salariale.
La convenienza. Contrattazione sindacale per gli interventi formativi.

L’ACCORDO FAVORISCE ANCHE LA RIQUALIFICAZIONE

 
Nei casi in cui la difficoltà dell’impresa consista in un calo strutturale dell’attività, il ricorso al contratto di solidarietà, permettendo di modulare la riduzione dell’orario di lavoro attraverso la contrattazione sindacale, potrà consentire di strutturare gli eventuali interventi formativi, valorizzando il senso di appartenenza all’impresa che questo ammortizzatore evidenza ed amplifica, nel momento in cui tutti i lavoratori dell’unità interessata si fanno l’un l’altro carico delle ore in eccedenza.
La separazione netta che il legislatore auspica fra «tutele in costanza di rapporto di lavoro» e « tutela in caso di disoccupazione involontaria» comporta che gli ammortizzatori sociali devono permettere la riqualificazione delle professionalità, a differenza dei servizi connessi alla Naspi (la nuova forma di indennità di disoccupazione) che hanno la funzione di aiutare il lavoratore espulso dall’impresa a trovare una nuova occupazione.
Da questo punto di vista, il ricorso alla Cigs per riorganizzazione/ristrutturazione aziendale, comportando di norma, per i dipendenti, la sospensione dal lavoro a zero ore, parrebbe essere idoneo a conciliare anche le iniziative formative necessarie per l’acquisizione, da parte del personale interessato, delle diverse competenze richieste dalle nuove esigenze tecnico- produttive, in aula o “on the job”, conseguenti agli investimenti realizzati.
La legge 183/2014, nel delegare all’Esecutivo la riforma del mercato del lavoro, prefigura un welfare universalistico, fondato sulla condizionalità, in grado di alleggerire le imprese dai costi, sociali e burocratici, per affrontare il loro rilancio economico e produttivo e nello stesso tempo in grado di orientare e sostenere i lavoratori nella conversione da un’attività ad un’altra, accompagnandoli con politiche attive finalizzate alla nuova occupazione: una flexsecurity equilibrata dal punto di vista degli oneri, in particolare per la finanza pubblica, ed efficace perché orientata a premiare i risultati.
La traduzione operativa di questo scenario deve passare attraverso il decreto attuativo relativo alle politiche attive ed ai servizi all’impiego, che sconta, allo stato, l’impasse sulla riforma costituzionale relativa all’attribuzione delle competenze fra Stato e Regioni.
La condizionalità è la chiave di volta dell’intero sistema di tutela: il riconoscimento del sostegno al reddito è strettamente connesso all’impegno che il singolo lavoratore metta nel ricercare attivamente una nuova occupazione, se il rapporto di lavoro è stato risolto, o ad adeguare la propria professionalità, se sospeso dal lavoro in costanza di rapporto.
Per completezza, va aggiunto infine che, per le situazioni di crisi temporanea, le imprese avranno interesse a ricorrere alla Cassa integrazione guadagni ordinaria, anche per le caratteristiche di collaudata flessibilità dello strumento.
 

Fonte:

Il Sole 24 Ore
www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html

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