De Luca & Partners

Diffida accertativa dell’Ispettorato del lavoro per crediti patrimoniali: il datore di lavoro può sempre impugnarla

La diffida accertativa dell’Ispettorato del lavoro, ove non opposta oppure confermata dal Comitato regionale, è un atto di natura amministrativa, idoneo ad acquisire valore di titolo esecutivo senza determinare, tuttavia, il passaggio in giudicato dell’accertamento in essa contenuto, sempre contestabile.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23744 del 29.07.2022, secondo la quale la circostanza che la diffida accertativa degli Ispettori del lavoro acquisisca valore di titolo esecutivo, non impedisce alla società datrice di lavoro di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto.

Il fatto trae origine dalla notifica di un atto di precetto effettuata, da parte di un lavoratore, alla società datrice di lavoro, per ottenere delle somme a lui spettanti sulla base di una diffida accertativa dell’Ispettorato del lavoro.

Nel giudizio di opposizione, la Corte d’Appello ha rigettato la domanda del lavoratore, sul presupposto che il dipendente aveva sottoscritto un accordo con il datore di lavoro, in forza del quale, a fronte della ricezione di una somma di denaro pari a 9.000 euro, aveva consapevolmente rinunciato a qualsiasi ulteriore pretesa riconducibile al rapporto di lavoro.

I Giudici di legittimità, nel confermare la pronuncia della Corte di merito, rilevano che la diffida accertativa, ancorché abbia acquisito valore di titolo esecutivo, non impedisce al datore di lavoro di promuovere un’azione giudiziale volta a contestare l’accertamento in essa contenuto.

A tal riguardo, la Suprema Corte ha ricordato che l’art. 12 del D. Lgs. n. 124/2004, applicabile al caso di specie, prevede che laddove le Direzioni del lavoro riscontrino, nell’ambito della loro attività di vigilanza, delle inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscano crediti patrimoniali in favore dei lavoratori, diffidino il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.

Precisamente, dopo che la diffida è stata notificata al datore di lavoro, questi può, nel termine di trenta giorni, promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro e se, in tale sede, viene raggiunto un accordo, la diffida perde efficacia.

In alternativa, il datore di lavoro può ricorrere in via amministrativa avverso la diffida e, in ogni caso, il mancato ricorso o il rigetto dello stesso comportano che la diffida acquisisca efficacia di titolo esecutivo ma non escludono che l’interessato possa contestare in giudizio l’esistenza del diritto in essa riportato.

Su tali presupposti, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la non debenza della somma intimata.

Altri insights correlati:

Exit mobile version