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CORTE DI CASSAZIONE, 6 MAGGIO 2015 N. 18667: QUANDO UN APPALTO È ILLECITO

La Corte di Cassazione, con sentenza del 6 maggio 2015, n. 18667, ha affermato che, per la ricorrenza di un appalto illecito, non è sufficiente avere offerto la prova che il committente abbia dato ordini ai dipendenti dell’appaltatore ma occorre indagare il contenuto di tali ordini e provare che essi riguardano la prestazione di lavoro di fatto svolta. Ciò in quanto se le disposizioni rivolte ai lavoratori «appaltati» riguardino solamente il risultato della prestazione (che in sé può formare l’oggetto genuino dell’appalto), non potrebbero sorgere motivi di censura e sanzione da parte dell’ordinamento. In particolare, a parere della Suprema Corte, il reato di appalto illecito si configura allorquando viene contemporaneamente fornita la prova (i) dell’effettiva inesistenza di un rischio di impresa; (ii) del difetto di organizzazione, comunque sia, dei mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto; (iii) dell’assenza di un potere organizzativo e diretto sui lavoratori, non escluso, di per sé, da eventuali ordini impartiti dal committente. Un chiarimento di principio, questo, degno di nota in quanto destinato non soltanto a stravolgere le dinamiche delle indagini penali sugli appalti di servizi da parte degli ispettori del lavoro e delle Procure ma anche a favorire l’organizzazione degli appalti labour intensive. In sostanza, un deciso monito ai giudici di merito a non aderire a tesi accusatorie preconcette.

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