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Infortuni sul lavoro da covid-19: ecco cosa rischiano gli imprenditori (Agendadigitale.eu, 19 maggio 2020 – Enrico De Luca e Alessandra Zilla)

Le infezioni da Coronavirus avvenute nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa sono tutelate a tutti gli effetti come infortunio sul lavoro.

A statuirlo è l’articolo 42 del D.L. Cura Italia (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 27/2020), il quale, al comma 2, dispone che “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.

Occasione di lavoro e nesso di causalità

Come noto, per infortunio sul lavoro si intende ogni lesione del lavoratore originata da una causa violenta (o virulenta, secondo l’indirizzo Inail vigente) in occasione di lavoro.

Al fine di delimitare l’ambito di intervento dell’Inail occorre, pertanto, soffermarsi sull’analisi della locuzione “occasione di lavoro”.

Con un’interpretazione estensiva, la giurisprudenza di legittimità vi ha fatto rientrare“tutte le condizioni temporali, topografiche e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore” (Cass.13 maggio 2016, n. 9913). 

Al fine dell’intervento dell’Istituto assicuratore non è tuttavia sufficiente che l’infortunio avvenga durante e sul luogo di lavoro, in quanto è necessario che sussista il nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infortunio.

Il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’”equivalenza delle condizioni”: ciò significa che il nesso eziologico sarà riconosciuto ad ogni circostanza che ha contribuito, anche in modo indiretto e remoto, alla produzione dell’evento, mentre dovrà escludersi quando un fattore esterno sia stato di per sé sufficiente a produrre l’evento.

Richiamati brevemente i principi cardine su cui si fonda l’attivazione dell’assicurazione, l’Inail, a fronte della novella legislativa relativa all’infortunio da Coronavirus, ha fornito, con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, i primi chiarimenti in merito alle tutele garantite ai propri assicurati.

L’Istituto ha precisato che l’assicurazione infortunistica opera non solo in ipotesi di contagio nell’ambiente di lavoro, ma altresì nell’ipotesi di contagio avvenuto durante il normale percorso di andata e ritorno da casa al lavoro (c.d. infortunio in itinere).

Per quanto attiene al nesso causale, l’Inail ha precisato che nell’attuale situazione pandemica l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio nonché quelle attività lavorative che comportino il costante contatto con il pubblico/l’utenza. Sul punto l’Istituto ha evidenziato come per tali situazioni sia prevista la presunzione semplice di origine professionale, considerata proprio la elevatissima probabilità che gli stessi vengano a contatto con il coronavirus.

Tuttavia, tali situazioni non esauriscono l’ambito di intervento dell’Istituto, in quanto residuano fattispecie che, pur in assenza di indizi “gravi precisi e concordanti” tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione semplice, potrebbero essere qualificati come infortunio sul lavoro.

Ebbene, nel contesto epidemiologico di riferimento caratterizzato da incertezze scientifiche relative alle modalità di contagio, al grado di virulenza e ai tempi di incubazione, non v’è chi non veda come l’equiparazione del Coronavirus ad infortunio sul lavoro conduca a notevoli criticità connesse alla dimostrazione che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro e, conseguentemente, all’accertamento del relativo nesso di causalità.

Profili di responsabilità del datore di lavoro

Alla luce del quadro sopra descritto, non sono tardate critiche e preoccupazioni da parte dei datori di lavoro in relazione ai possibili profili di responsabilità, anche penali, derivanti dal riconoscimento del contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro.

Al fine di arginare tali timori, l’Inail, in una nota diffusa il 15 maggio u.s. a poche ore dalla riapertura delle attività produttive, ha precisato che la previsione normativa introdotta dal c.d. Cura Italia “non assume alcun rilievo per sostenere un’accusa di responsabilità penale o civile del datore di lavoro”, argomentando che il datore di lavoro ne potrà rispondere solo “se viene accertata la propria responsabilità per dolo e colpa”.

A ben vedere, la nota pubblicata dall’Inail – seppur diffondendo l’illusione di un ’’alleggerimento” dalla responsabilità gravante sul datore di lavoro – ha semplicemente ribadito i principi cardine del nostro ordinamento in tema di responsabilità del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Come noto, infatti, il datore di lavoro, nell’esercizio dell’impresa, è tenuto ad adottare, ai sensi della norma di chiusura del sistema antinfortunistico ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, secondo la miglior scienza ed esperienza del momento, al fine di impedire il verificarsi di eventi dannosi (gli “infortuni”) per la salute e sicurezza dei prestatori di lavoro.

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Fonte: Agendadigitale.eu

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