De Luca & Partners

Validità ed effetti del doppio licenziamento (Il Quotidiano del Lavoro, 1 luglio 2015)

La Corte di cassazione (sez. lav., 9 giugno 2015, n. 11910) torna a pronunciarsi sulla legittimità del secondo licenziamento intimato dal datore di lavoro allo stesso dipendente in pendenza dell’impugnazione del primo licenziamento antecedentemente intimato.
La controversia esaminata dalla Corte trae origine da un licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato nel contesto di una procedura ex lege 223/91, impugnata nell’ambito di un giudizio per condotta antisindacale instaurato ex art. 28 della legge 300/70 su ricorso delle OO.SS.
La società datrice di lavoro era risultata soccombente nell’ambito del giudizio in questione, avendo il Tribunale:
 
(a) riconosciuto la natura antisindacale della condotta datoriale consistente nel mancato adempimento all’obbligo di informativa sindacale annuale, stabilito dal Ccnl di settore e nell’insufficiente contenuto della comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge 223/91;
(b) dichiarato l’illegittimità degli otto licenziamenti intimati a valle della procedura di licenziamento collettivo così avviata;
(c) disposto la reintegrazione degli otto lavoratori illegittimamente licenziati e la condanna della società al pagamento, per ognuno di essi, delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento alla reintegrazione.
 
Il giudizio veniva confermato sia in sede di reclamo, sia di appello. Pendente la procedura di impugnazione giudiziale, la società aveva però proceduto a licenziare, sulla base di diversi motivi, due degli otto lavoratori interessati dalla summenzionata procedura di licenziamento collettivo, che venivano confermati come legittimi in sede di merito.
Contro la decisione della Corte territoriale, una lavoratrice interessata dal secondo licenziamento proponeva ricorso in Cassazione e la società proponeva ricorso incidentale.
Con il primo motivo di ricorso, la lavoratrice ha denunciato omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, oltre che violazione degli articoli 1418 cod. civ. e 28 della legge 300/70, per non aver la Corte d’appello ritenuto il secondo licenziamento privo di effetti non potendo essere licenziata fino all’annullamento del primo recesso intimatole per riduzione del personale. In particolare, richiamando la precedente sentenza della Corte (n. 15093/09), la ricorrente ha sottolineato come in caso di due successivi licenziamenti il secondo non produce effetti se il primo non sia stato già annullato, risultando per l’effetto palese la finalità del secondo licenziamento di eludere l’ordine di reintegrazione e quindi la sua nullità ai sensi dell’art. 1418 del codice civile.
La Cassazione, dopo aver ritenuto il motivo parzialmente inammissibile in quanto privo della specifica indicazione del “fatto decisivo”, inteso come fatto storico, oggetto del motivo di ricorso a norma dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ., ha comunque rigettato il motivo di ricorso per infondatezza. In particolare, la Corte ha evidenziato come l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla lavoratrice dovesse ritenersi superato dalla successiva giurisprudenza, tra cui la sentenza n. 1244/11, secondo cui il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimare un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo. 
Ne consegue che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuta l’inefficacia o l’invalidità del primo.
Con il secondo e terzo motivo di ricorso la lavoratrice ha poi introdotto mere obiezioni di merito rispetto al secondo licenziamento impugnato, che la Corte ha correttamente ritenuto inammissibili in sede di legittimità.
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