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Lo sai che…il rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso la nuova sede può legittimare il licenziamento?

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 29341 del 6 novembre 2025, ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato ad una dipendente che si era rifiutata di prendere servizio presso la nuova sede di destinazione, ribadendo che il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, anche in presenza di un trasferimento contestato, deve essere conforme ai principi di correttezza e buona fede sanciti dall’art. 1460, comma 2, c.c.

Nel caso di specie, la lavoratrice, trasferita dopo la chiusura della sede di provenienza, si era assenta dal servizio per alcuni giorni, rifiutando di prendere servizio nella nuova sede e giustificando l’assenza con presunte difficoltà familiari e con la pretesa illegittimità del trasferimento. La società, ritenendo il comportamento ingiustificato, aveva irrogato il licenziamento disciplinare.

La Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione del Tribunale di primo grado, aveva ritenuto legittimo il licenziamento, rilevando che le esigenze organizzative alla base del trasferimento erano documentate e incontestate, poiché la società non disponeva più di alcuna sede nella città di origine della dipendente. La lavoratrice, pur sostenendo di trovarsi nell’impossibilità materiale di trasferirsi per ragioni familiari, non aveva mai fornito alcuna indicazione concreta circa tali impedimenti.

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ribadito che l’illegittimità di un provvedimento datoriale non giustifica automaticamente il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione, salvo che non sussista un pregiudizio grave e immediato ai propri diritti fondamentali. La buona fede deve essere valutata in concreto, tenendo conto dell’entità dell’inadempimento datoriale, delle esigenze personali e familiari del lavoratore e dell’impatto del suo comportamento sull’organizzazione aziendale.

Nel caso in esame, gli Ermellini hanno ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito. Il rifiuto, infatti, è giustificabile solo in presenza di un pregiudizio grave e immediato ai diritti fondamentali del lavoratore, da valutarsi secondo i canoni di proporzionalità e buona fede.

In mancanza di tali presupposti, come nel caso in esame, la condotta del dipendente costituisce inadempimento disciplinarmente rilevante e legittima il licenziamento.

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