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Lo sai che…il lavoratore deve comunicare formalmente la gravità della malattia per escluderla dal calcolo del comporto?

Con la sentenza n. 26956 del 7 ottobre 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – ha confermato la legittimità del licenziamento intimato ad un dipendente per il superamento del periodo di comporto, ribadendo che, ai fini dell’esclusione dei giorni di assenza dal computo, non è sufficiente che il lavoratore sia affetto da una patologia grave, ma è necessario che tale condizione sia formalmente comunicata al datore di lavoro tramite idonea certificazione medica.

Nel caso di specie, il lavoratore era stato licenziato per aver superato il limite di 245 giorni di assenza previsto dall’art. 63 del CCNL logistica, trasporto merci e spedizioni. Il dipendente aveva impugnato il licenziamento dinanzi il Tribunale di primo grado, sostenendo che le proprie assenze, dovute a una patologia che richiedeva terapia di dialisi, dovessero essere escluse dal computo, in quanto rientranti nella nozione di “malattie particolarmente gravi” di cui al comma 8 del medesimo articolo.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto il ricorso del lavoratore, mentre la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della decisione del giudice di prime cure, aveva ritenuto che la clausola contrattuale di cui al comma 8 dell’art. 63 del CCNL logistica dovesse essere interpretata in senso restrittivo, limitandone l’applicazione esclusivamente ai casi di patologie che richiedono terapie salvavita formalmente certificate.

La Cassazione ha confermato tale orientamento, precisando che l’esclusione delle assenze dal periodo di comporto costituisce un’eccezione alla regola generale e, come tale, richiede un rigoroso adempimento dell’onere di comunicazione gravante sul lavoratore. Nel caso concreto, sebbene il dipendente avesse informato informalmente il proprio responsabile della malattia tramite messaggi WhatsApp, i certificati medici trasmessi all’azienda non recavano la spunta nella casella dedicata alla “patologia grave che richiede terapia salvavita”. Tale omissione, secondo la Corte, impediva di riconoscere l’operatività della clausola di favore prevista dal CCNL.

Gli Ermellini hanno chiarito che la terapia dialitica rientra, in astratto, tra le terapie salvavita, ma hanno ritenuto decisivo il mancato adempimento dell’onere di comunicazione formale. In applicazione del principio di tipicità e di certezza degli atti che incidono sul rapporto di lavoro, le comunicazioni informali, ancorché tempestive, non possono avere valore probatorio o sostitutivo rispetto alla documentazione medico-legale richiesta.

In conclusione, la semplice conoscenza del datore di lavoro della malattia, acquisita tramite canali informali, non è sufficiente a determinare l’esclusione delle assenze dal periodo di comporto, in mancanza di una certificazione medica espressa e conforme alle modalità previste.

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