Il 31 dicembre 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Correttivo (D. Lgs. n. 209/2024) al Codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. 36/2023.

Tale decreto mira a razionalizzare e semplificare la disciplina codicistica, migliorandone l’omogeneità, la chiarezza e l’adeguatezza, per agevolare il rilancio degli investimenti pubblici anche nella fase successiva all’attuazione del PNRR.

Tra i temi sostanziali sui quali è intervenuto il Decreto Correttivo, si rinvengono anche importanti misure per la tutela dei lavoratori negli appalti, introdotte con l’obiettivo di assicurare il rispetto degli standard normativi ed economici contenuti nei contratti collettivi di lavoro.

In particolare, a seguito della modifica dell’art. 11 del Codice dei contratti pubblici, è ora previsto che le stazioni appaltanti debbano indicare, in tutte le fasi della gara (inclusi i documenti iniziali e la decisione a contrarre), il CCNL applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto, da determinarsi con le modalità previste dal nuovo Allegato I.01., previa valutazione (i) della stretta connessione dell’ambito di applicazione del contratto collettivo rispetto alle prestazioni oggetto dell’appalto e (ii) del criterio della maggiore rappresentatività comparativa sul piano nazionale delle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro. Per tale seconda verifica, le stazioni appaltanti devono fare riferimento ai CCNL stipulati tra le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale presi a riferimento dal Ministero del lavoro nella redazione delle tabelle per la determinazione del costo medio del lavoro, ovvero, in assenza di tali tabelle, richiedere al Ministero di indicare, sulla base delle informazioni disponibili, il CCNL stipulato tra le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale applicabile alle prestazioni oggetto dell’appalto.

In presenza di prestazioni scorporabili, secondarie, accessorie o sussidiarie, qualora le relative attività siano differenti da quelle prevalenti oggetto dell’appalto e si riferiscano, per una soglia pari o superiore al 30% alla medesima categoria omogenea di attività, le stazioni appaltanti devono indicare altresì il contratto collettivo in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono tali prestazioni ed applicabile al personale nelle stesse impiegato, utilizzando i medesimi criteri sopra esposti.

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Chi ha il potere di licenziare il dipendente nel caso di contratto d’appalto? La questione, che a un primo impatto può apparire tecnica, in realtà ha un interesse diffuso in Italia, dove è frequente il ricorso a questo strumento. In particolare, le aziende devono fare i conti con l’evoluzione non solo normativa, ma anche giurisprudenziale, per assicurarsi di essere nella legittimità, considerato che le sensibilità si sono modificate decisamente nel corso degli anni. «Il rispetto dei requisiti affinché un appalto sia considerato genuino riguardano l’organizzazione dei mezzi, la direzione, il coordinamento delle risorse e l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore», spiega Vittorio De Luca, name partner dello studio legale De Luca & Partners. «Sebbene la normativa di riferimento sia sostanzialmente immutata da 20 anni, la giurisprudenza, in ragione della particolare sensibilità in materia, ha conosciuto sviluppi che per lo più hanno comportato un aggravamento delle conseguenze negative per il committente». Da ultimo si sta formando un nuovo orientamento giurisprudenziale relativo all’appalto non genuino, che si concretizza quando prevale una direzione esterna da parte dell’impresa committente, che governa la forza lavoro della impresa appaltatrice ingerendo in modo diretto sulle modalità di esecuzione delle attività. In questo caso i giudici possono considerare inefficace il licenziamento del dipendente impiegato nell’esecuzione del servizio se non effettuato dal committente in qualità di datore di lavoro di fatto.

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