Il Decreto-legge n. 19 del 2 marzo 2024 (c.d. DL PNRR-bis), in vigore dalla stessa data, ha introdotto importanti novità in materia di lavoro, con particolare riferimento agli istituti dell’appalto e della somministrazione di manodopera.

Di seguito si riassumono le novità di maggiore rilievo:

Garanzie nell’appalto: gli appaltatori e i subappaltatori sono tenuti a riconoscere al personale impiegato nell’appalto un trattamento economico complessivo che non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali e territoriali maggiormente applicati nella zona e nel settore connesso alle attività appaltate. 

Responsabilità solidale nell’appalto: l’istituto della responsabilità solidale retributiva e contributiva in capo all’utilizzatore viene esteso anche in caso di utilizzazione illecita per somministrazione abusiva e di appalto e di distacco illecito.

Lavoro nero: sono aumentati del 30% gli importi delle sanzioni per i datori di lavoro che impiegano lavoratori in nero.

Sanzioni appalto e somministrazione illecita: introduzione di una sanzione penale in caso di appalto irregolare che prevede la pena dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. In caso di “recidiva” (se nei tre anni precedenti il datore di lavoro sia già stato destinatario di sanzioni penali per gli stessi illeciti) l’ammenda viene aumenta a 72 euro.

Inasprimento delle sanzioni in caso di fraudolenza: se il datore di lavoro ha l’intento di eludere norme di legge o contratti collettivi, è applicata la sanzione dell’arresto fino a tre mesi o dell’ammenda di 100 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro.

Patente a punti nei cantieri: dal 1° ottobre 2024 saranno tenuti al possesso della “patente” le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili. Il richiedente deve essere in regola con i seguenti adempimenti: iscrizione alla camera di commercio industria e artigianato; obblighi formativi previsti dall’articolo 37 del D.lgs. 81/2008 verso datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori; possesso del Documento Unico Regolarità Contributiva in corso di validità; possesso del Documento di Valutazione dei Rischi; possesso del Documento Unico Regolarità Fiscale.

Imprese agricole e attività stagionali: inasprimento della disciplina sanzionatoria per cui in caso di superamento del limite di 45 giornate annue delle “prestazioni agricole di lavoro subordinato occasionale a tempo determinato” i rapporti di lavoro si trasformano a tempo indeterminato.

Lista di conformità: se all’esito di accertamenti ispettivi in materia di lavoro e di legislazione sociale non emergano violazioni o irregolarità, l’INL rilascia un attestato e iscrive l’impresa in un elenco informatico denominato “lista di conformità INL”.  I datori di lavoro per un periodo di dodici mesi dalla data di iscrizione non saranno sottoposti ad ulteriori verifiche nelle materie oggetto degli accertamenti mentre in caso di violazioni o irregolarità accertate attraverso elementi di prova successivamente acquisti dagli organi di vigilanza, l’INL provvede alla cancellazione del datore di lavoro dalla lista.

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Chi ha il potere di licenziare il dipendente nel caso di contratto d’appalto? La questione, che a un primo impatto può apparire tecnica, in realtà ha un interesse diffuso in Italia, dove è frequente il ricorso a questo strumento. In particolare, le aziende devono fare i conti con l’evoluzione non solo normativa, ma anche giurisprudenziale, per assicurarsi di essere nella legittimità, considerato che le sensibilità si sono modificate decisamente nel corso degli anni. «Il rispetto dei requisiti affinché un appalto sia considerato genuino riguardano l’organizzazione dei mezzi, la direzione, il coordinamento delle risorse e l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore», spiega Vittorio De Luca, name partner dello studio legale De Luca & Partners. «Sebbene la normativa di riferimento sia sostanzialmente immutata da 20 anni, la giurisprudenza, in ragione della particolare sensibilità in materia, ha conosciuto sviluppi che per lo più hanno comportato un aggravamento delle conseguenze negative per il committente». Da ultimo si sta formando un nuovo orientamento giurisprudenziale relativo all’appalto non genuino, che si concretizza quando prevale una direzione esterna da parte dell’impresa committente, che governa la forza lavoro della impresa appaltatrice ingerendo in modo diretto sulle modalità di esecuzione delle attività. In questo caso i giudici possono considerare inefficace il licenziamento del dipendente impiegato nell’esecuzione del servizio se non effettuato dal committente in qualità di datore di lavoro di fatto.

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Da sempre, nel nostro ordinamento, il tema degli appalti e della somministrazione di lavoro è stato oggetto di attenzione da parte del legislatore in campo giuslavoristico. Non a caso, una delle prime leggi di diritto del lavoro ad affiancare la disciplina codicistica è stata la legge 1369 del 1960 la quale sanciva il divieto di intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro.

La normativa, dopo essere stata sostanzialmente immutata per quasi quarant’anni, ha registrato un certo dinamismo a partire dalla cosiddetta legge Treu 1997, con cui è stato introdotto il lavoro interinale, e dalla legge Biagi del 2003, che ha meglio disciplinato se ed a quali condizioni vi può essere un disallineamento tra datore di lavoro formale e il beneficiario della prestazione lavorativa.

Sino a pochi anni fa, le conseguenze della illiceità di un appalto per l’impresa committente – al di fuori delle ipotesi di sfruttamento che configurano il reato di caporalato – sono sempre state di natura puramente economica e consistenti nel pagamento di sanzioni amministrative per mancato versamento dei contributi e mancata assunzione diretta del personale utilizzato nell’ambito dell’appalto simulato.

Da qualche tempo, invece, il rispetto dei requisiti sopra menzionati che legittimano il ricorso all’appalto è divenuto ancor più importante per effetto di due orientamenti giurisprudenziali che si sono affermati.

Il primo è emerso in tema di licenziamento. Secondo tale indirizzo, la Cassazione ha ritenuto che l’appaltante, in quanto datore di lavoro sostanziale in caso di appalto non genuino, non può avvalersi del licenziamento effettuato dall’appaltatore, datore di lavoro formale.

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Il prossimo 15 febbraio alle h 17:00 Vittorio De Luca parteciperà al Welfare & Hr Summit de @Il Sole 24 Ore. L’evento, trasmesso in streaming, verterà sul tema: “Nuovi scenari e sfide organizzative per le imprese del futuro”.

FOCUS

Vittorio De Luca analizzerà gli aspetti giuslavoristici legati alla disciplina degli appalti e le relative conseguenze sanzionatorie in caso di appalto non genuino. Un focus anche sugli istituti della somministrazione fraudolenta e dell’interposizione fittizia di manodopera con le connesse conseguenze penali.

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Nell’ordinanza in commento la conferma dell’orientamento di legittimità teso a differenziare i termini
applicabili alle azioni spettanti ai dipendenti impiegati nell’appalto e quelli invece regolanti le azioni di
recupero contributivo spettanti all’INPS.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38151 del 30 dicembre 2022 , è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità solidale negli appalti, confermando il proprio indirizzo secondo cui il termine di decadenza biennale previsto dall’art. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2003 non troverebbe applicazione relativamente all’obbligazione contributiva.

Ad oggi, sulla base del tenore letterale della diposizione normativa in questione, i committenti restano obbligati in solido con gli appaltatori per le retribuzioni, le quote di TFR nonché per i contributi previdenziali ed i premi assicurativi, restando escluse le sole sanzioni civili. L’obbligazione solidale permane, per espressa previsione di legge per un periodo di due anni decorrenti dalla cessazione dell’appalto.

Quello sopra descritto è un vero e proprio termine di decadenza.

Nel corso del 2011 e del 2012, tanto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali quanto l’INPS avevano fornito indicazioni sulla portata di tale disposizione, sposando un’interpretazione letterale della norma e riconoscendo come assoggettata al termine di decadenza biennale anche l’azione di recupero contributivo a carico dell’ente previdenziale.

Secondo le Istituzioni in parola, in pratica, il termine di decadenza biennale si sarebbe dovuto applicare anche alle pretese creditorie dell’INPS nei confronti del responsabile in solido. Decorso il biennio, l’Ente avrebbe pertanto potuto soddisfare la propria pretesa creditoria solo nei confronti dell’obbligato principale entro il termine di prescrizione di cinque anni.

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