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Mobbing concausa di suicidio (Il Quotidiano del Lavoro, 10 luglio 2015)

10 Lug 2015
Il mobbing può essere concausa di un suicidio. La Corte di cassazione con la sentenza 14274/2015 ha affrontato la tematica del nesso eziologico tra la malattia professionale occorsa a un lavoratore a causa di mobbing subito nel corso del rapporto di lavoro e il suicidio.
Gli eredi del lavoratore deceduto si sono rivolti al giudice del lavoro al fine di accertare il diritto a ricevere il pagamento di una specifica indennità prevista dal regolamento dell’ente presso cui il loro congiunto aveva prestato attività di lavoro subordinato. La pretesa del pagamento degli eredi si fondava sul presupposto che il loro congiunto si era suicidato a causa del mobbing operato da un rappresentante dell’ente in suo danno.
Il tribunale ha rigettato il ricorso. Avverso la decisione del giudice i familiari del lavoratore hanno fatto ricorso. La Corte d’appello ha accertato che lo stato depressivo di cui il lavoratore aveva sofferto era stato causato dal mobbing subito nel corso del rapporto di lavoro e ha accertato anche che, anche a causa della sua “personalità fragile”, il mobbing ha portato il lavoratore alla decisione di suicidarsi. 
Sempre a parere della Corte territoriale, la condotta mobbizzante dell’ente era una “concausa efficiente dell’atto suicida, insieme con i fattori psichici costituzionali”, acclarando così la sussistenza del “nesso di causalità tra il suicido e la malattia professionale indotta dall’ambiente lavorativo”. I giudici di merito hanno condannato, quindi, l’ente al pagamento dell’indennità richiesta dai congiunti.
L’ente ha adito la Corte di cassazione al fine di ottenere la riforma della sentenza di merito. La Cassazione ha rigettato il ricorso, e confermato la sentenza di secondo grado, ritenendo sussistente il nesso eziologico tra il suicidio del lavoratore e la condotta persecutoria posta in essere a suo danno nell’ambiente lavorativo. Pertanto “il fattore lavorativo”, dato appunto dalla molestia psicologica esercitata nei confronti del lavoratore dal responsabile dell’ente nel corso del rapporto di lavoro, è stato ritenuto, se non l’unico motivo – trattandosi comunque di un soggetto con una fragile personalità – quantomeno una concausa della sua decisione di suicidarsi.

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