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Rito Fornero, la Cassazione interviene sulla portata della fase di opposizione (Il Quotidiano del Lavoro de Il Sole 24 Ore, 23 maggio 2019 – Enrico De Luca, Antonella Iacobellis)

Categorie: DLP Insights, Pubblicazioni | Tag: Rito Fornero

23 Mag 2019

La Suprema Corte, il 15 maggio 2019 con ordinanza n. 13025 , è tornata ad occuparsi della giusta portata da riconoscere alla seconda fase (c.d. fase di opposizione) del giudizio di primo grado instaurato ai sensi dell’art. 1 co. 51, L. n 92/2012 (“Rito Fornero”).
La Corte di Cassazione ha osservato che la fase di opposizione deve essere intesa non come una mera revisio prioris instantie della prima fase (cd. fase sommaria) ma come una vera e propria prosecuzione del giudizio di primo grado che si ri-espande acquisendo i caratteri del procedimento ordinario del lavoro.
Sul punto la stessa ha, infatti, evidenziato che “in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione di una sola delle parti, l’altra parte può riproporre nella fase a cognizione piena, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni non accolte, anche dopo la scadenza del termine pe presentare autonoma opposizione e senza necessità di formulare una domanda riconvenzionale con relativa istanza di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., atteso che l’opposizione non ha natura impugnatoria, ma produce la ri-espansione del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare l’oggetto dell’originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della cognizione integrale”.
Entrando nel merito dei fatti di causa, un lavoratore aveva adito il Tribunale di Caltanissetta affinché venisse dichiarato illegittimo/nullo/invalido il licenziamento disciplinare intimatogli dalla Banca sua ex datrice di lavoro.
Sia nella prima fase del procedimento Fornero sia in quella dell’opposizione, il Tribunale di Caltanissetta aveva confermato l’illegittimità del licenziamento de quo, riconoscendo al lavoratore una tutela esclusivamente indennitaria. Il datore di lavoro veniva, infatti, condannato al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità.
In fase di opposizione, lo stesso Tribunale aveva anche ritenuto il datore di lavoro decaduto dalla possibilità di proporre opposizione incidentale, stante l’omessa impugnazione nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento giudiziale. Il datore di lavoro si era, invece, costituito 10 giorni prima dell’udienza prefissata per il giudizio di opposizione.
Avverso la decisione del Giudice di prime cure, proponeva appello (i) in via principale il lavoratore reclamando, tra l’altro, una maggiore tutela – quella reintegrativa o quella risarcitoria ma nella misura di 24 mensilità – e (ii) in via incidentale il datore di lavoro. Nello specifico, quest’ultimo censurava la ritenuta decadenza dall’opposizione incidentale, ribadendo le medesime doglianze formulate con l’opposizione incidentale già ritenuta inammissibile in primo grado.
La Corte territorialmente competente nel respingere i motivi di reclamo proposti dalle parti, si soffermava in particolar modo e prioritariamente sul reclamo incidentale del datore di lavoro.
Secondo la Corte distrettuale era corretta la decisione di inammissibilità dell’opposizione incidentale (con conseguente incontrovertibilità della statuizione sulla illegittimità del licenziamento) espressa dal Tribunale. Ciò in quanto non può essere applicata, nell’ambito del giudizio di opposizione del c.d. ‘rito Fornero’, la disciplina dell’impugnazione tardiva di cui all’art. 334 c.p.c.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, ricorreva in cassazione il lavoratore con due motivi e il datore di lavoro, in via incidentale, con quattro motivi. Ai nostri fini, rileva soffermarsi sul primo mezzo di gravame proposto dal datore di lavoro.
Nell specifico il datore di lavoro denunciava “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 51, L. n. 92/2012 nella parte in cui la Corte d’Appello ha confermato la tardività, già dichiarata in prime cure, della richiesta di riforma parziale dell’ordinanza ex art. 1, co. 49, L. n. 92/2012 formulata” dallo stesso in sede di costituzione nel giudizio radicato per effetto dell’impugnazione dell’ordinanza della prima fase del Rito Fornero proposta dal lavoratore.
Questo motivo veniva ritenuto dalla Suprema Corte pregiudiziale e assorbente investendo la questione della legittimità del licenziamento per giusta causa e, pertanto, meritevole di essere trattato per primo.
I Giudici della Suprema Corte, nell’accogliere il motivo in questione, riprendevano i dettami della pronuncia delle Sezioni unite civili n. 19674 del 2014 secondo cui il carattere peculiare del rito Fornero – finalizzato all’accelerazione dei tempi del processo relativo all’applicazione delle tutele modellate dal novellato art. 18 L. n. 300/70 – risiede nella scissione del giudizio di primo grado in due fasi: una a cognizione sommaria e l’altra, definita di opposizione, a cognizione piena, con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti per la dimensione ordinaria.
Cosa accade quindi con la seconda fase di opposizione? Allorquando una delle parti propone “opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all’articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore” (comma 51), viene meno l’attitudine dell’ordinanza emessa in fase sommaria ad acquisire la stabilità della cosa giudicata (cfr. Cass. SS.UU. n. 17443 del 2014; Cass. SS.UU. n. 19674/2014 cit.), che consegue solo al caso in cui la stessa non venga opposta da alcuno nel termine di decadenza previsto (cfr. Cass. n, 21720 del 2018, in motivazione)”. Tant’è che “in seguito all’opposizione, l’ordinanza è integralmente sostituita dalla sentenza pronunciata all’esito della seconda fase che “provvede … all’accoglimento o al rigetto della domanda” (comma 57 che richiama la stessa formula del comma 49) e non già alla semplice revoca o conferma dell’ordinanza emessa”.
In altri termini, secondo gli Ermellini, l’espresso richiamo
– all’art. 414 c.p.c., quanto ai requisiti del ricorso in opposizione,
– all’art. 416 c.p.c., quanto alla memoria di costituzione, e
– all’art. 421 c.p.c., quanto ai poteri d’ufficio del giudice
non può non implicare che l’opposizione debba essere modellata sulla disciplina dell’ordinario giudizio di primo grado di cui agli artt. 413 e ss. c.p.c., alla quale deve farsi riferimento per integrare quella speciale prevista dai commi 51-57 dell’art. 1 della L. n. 92/2012.

 

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