La sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4262 del 17 febbraio 2017, ha affrontato il tema della legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente con qualifica di quadro per uso personale dell’utenza telefonica mobile intestata al datore di lavoro e concessa in dotazione per ragioni di servizio. La Cassazione, ritenendo corretta la decisione dei giudici di merito, ha escluso l’asserita violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori eccepita dal dipendente sull’assunto che il datore di lavoro, per accertare la sua condotta illecita, non ha fatto uso di impianti audiovisivi o altre apparecchiature preordinate al controllo a distanza dell’attività lavorativa, bensì delle risultanze emerse dai tabulati del traffico telefonico. Secondo la Corte, infatti, “è del tutto legittimo che parte datoriale, nel controllo di gestione della sua attività, possa rilevare anomalie nell’uso dei beni concessi in dotazione ai propri dipendenti, come ad esempio i telefoni cellulari, dai cui tabulati, relativi al traffico voce o dati (trasmessi unitamente alle relative fatturazioni, peraltro con debite omissioni ed opportuni mascheramenti) emergano stranezze tali da poter indurre a ritenere abusi da parte degli affidatari”. La Cassazione ha, quindi, confermato la piena legittimità del licenziamento intimato, considerando del tutto proporzionale la sanzione espulsiva del recesso rispetto all’addebito mosso nei confronti del dipendente.
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Con ordinanza 1889/2017 del 5 giugno 2017 il Tribunale di Pisa si è pronunciato su un caso di licenziamento per scarso rendimento, individuandone interessanti profili di legittimità. Secondo il giudice di merito, il licenziamento per giusta causa da scarso rendimento è legittimamente configurabile allorquando il datore di lavoro dimostri: – che vi sia un significativo scostamento tra i tempi di lavoro prescritti per la lavorazione e quelli realmente effettuati dal lavoratore; – che la prestazione resa sia al di sotto della media di attività degli altri addetti alle medesime mansioni.Il giudice del lavoro, riprendendo un principio affermatosi nella giurisprudenza di legittimità (Cassazione sezione lavoro sentenza 18678/2014 ) ha statuito che «lo scarso rendimento del ricorrente, protratto e significativo» si pone a fondamento della giusta causa del licenziamento poiché idoneo a far venir meno la «fiducia del datore di lavoro in merito all’esatto adempimento per il futuro» delle prestazioni.
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Alberto De Luca ha partecipato in qualità di Invest in Lombardy Young Leader all’incontro “Nuove idee per i mercati esteri”, organizzato dalla Camera di Commercio di Milano in collaborazione con Invest in Lombardy all’interno del Progetto Tavolo Giovani il giorno 21 giugno 2017.
Nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, gli elementi di valutazione elaborati dalla giurisprudenza sono essenzialmente due: in primo luogo, l’esistenza di riscontri oggettivi circa l’inadeguatezza della prestazione resa dal lavoratore, con analisi comparativa rispetto alla prestazione media resa dai colleghi assegnati alle medesime mansioni; in secondo luogo, rileva l’analisi soggettiva, che va operata soffermandosi dunque sulla imputabilità dello «scarso rendimento» alla colpevole negligenza del prestatore (che pone non pochi ostacoli sul piano probatorio). Va osservato, peraltro, che non necessariamente una pluralità di sanzioni disciplinari può integrare gli estremi del licenziamento per negligenza o scarso rendimento.
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Con l’abolizione dei voucher e l’obbligo di smaltire quelli già acquistati, le aziende quest’estate si trovano dinanzi a un bivio. Che tipologia contrattuale conviene adottare per mettere in regola dei lavoratori stagionali? «Per quest’estate le aziende si stanno già orientando verso soluzioni che prevedono di fare a meno dei voucher», dichiara Vittorio De Luca, Managing Partner di De Luca & Partners. «Un datore di lavoro che ha bisogno di assumere per poche ore un collaboratore finirà per stipulare o una collaborazione autonoma e occasionale, che non prevede alcuna copertura assicurativa né previdenziale, e che spesso dà luogo a contenziosi, oppure ricorrerà a contratti di somministrazione lavoro». Un vero e proprio passo indietro per il nostro Paese, secondo il legale. «Con i voucher si è persa un’occasione. Bisognava lavorare per ridurre ulteriormente gli spazi degli abusi». A partire proprio dal lavoro nero. «Gli imprenditori potrebbero essere tentati di ricorrere a strumenti contrattuali meno tutelanti per i lavoratori. In più, i contratti di somministrazione presentano non poche complessità. Bisogna ad esempio assicurare il contratto con l’agenzia di somministrazione», oltre che seguire numerose trafile e lungaggini burocratiche. «Aver abolito lo strumento dei voucher da una parte ha tolto una possibilità ai datori di lavoro ma dall’altra ha sottratto anche un’opportunità ai giovani e studenti che potevano svolgere lavoretti occasionali aggiunge De Luca -. I buoni lavoro erano utili per attività di breve durata e di modesto valore, visto che il compenso per lavoratori senza professionalità è di 7 euro l’ora», prosegue. Inoltre, nel momento in cui si riduce la possibilità di ricorrere ai voucher, si amplia la categoria del lavoro autonomo che è stato invece regolamentato con il Jobs Act due. «Da quando è stato approvato il contratto a tutele crescenti non ci sono più alibi nel Paese per non procedere all’assunzione a tempo indeterminato».