Enrico De Luca parteciperà al convegno “Smart working e altri strumenti di flessibilità del lavoro” per approfondire la sperimentazione pratica dello smart working. Il convegno, organizzato da Convenia, si svolgerà il prossimo 29 giugno presso l’NH Milano Touring di Milano.
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Il modello di organizzazione, gestione e controllo ha, fra gli altri, lo scopo di tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore impiegato all’interno di una società. Non per nulla, a seguito dell’introduzione del D.Lgs. 81/08, il legislatore ha arricchito il catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, facendovi rientrare le ipotesi di omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Le sanzioni astrattamente configurabili evidenziano la funzione general preventiva sottesa alla volontà del legislatore, prevedendo sanzioni sia interdittive sia pecuniarie per l’impresa. Al fine di evitare il configurarsi delle fattispecie criminose suddette, il datore di lavoro deve far riferimento a quanto stabilito dall’art. 30 D.Lgs. 81/08, il quale prevede che il modello debba essere adottato ed efficacemente attuato, tenendo conto di determinati obblighi giuridici (sorveglianza sanitaria, rispetto standard tecnico-strutturali di legge circa impianti e attrezzature etc.). Di interesse, sul punto, una recente indagine realizzata da Confindustria in collaborazione con TIM, dalla quale è emerso che la maggior parte delle aziende ha deciso di adottare un modello di organizzazione, gestione e controllo proprio a seguito dell’introduzione degli illeciti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, al fine di poter beneficiare dell’esimente di cui al D.Lgs. 231/01.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 22148/2017, è tornata a pronunciarsi in merito alla possibilità per il datore di lavoro di installare telecamere senza esperire la preventiva procedura sindacale di cui all’art. 4 della Legge n. 300/70. Nel caso di specie l’amministratore unico di una società decideva di installare all’interno di una unità locale un impianto di videosorveglianza, formato da due telecamere collegate mediante Wifi e rete ADSL ad un monitor, per mezzo delle quali era possibile controllare l’attività lavorativa dei dipendenti. L’amministratore non si premurava di formalizzare l’apposito accordo sindacale (né di ottenere autorizzazione amministrativa) ma ne dava informativa ai dipendenti i quali acconsentivano al controllo così come dallo stesso perpetrato. All’esito del giudizio instaurato nei confronti dell’amministratore unico, questi è stato condannato al pagamento di una ammenda pari a 600 euro ai sensi dell’art. 38 dello Statuto dei lavoratori. In particolare la Cassazione ha rilevato l’illegittimità del comportamento datoriale poiché l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori ha lo scopo di proteggere un bene giuridico di natura collettiva e non individuale, motivo per il quale il singolo dipendente, non avendo un potere contrattuale pari a quello del datore di lavoro, non può acconsentire a che lo stesso effettui determinate operazioni senza il previo parare delle rappresentanze sindacali laddove sia espressamente previsto dalla legge. La Cassazione ha così ribadito la necessità che l’installazione di apparecchiature – allorquando comportino un controllo a distanza dell’attività lavorativa – sia preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra parte datoriale e rappresentanze sindacali dei lavoratori o, in mancanza di accordo, da una autorità amministrativa. In caso contrario l’installazione in questione è illegittima e penalmente sanzionata.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11027 del 5 maggio 2017, torna a pronunciarsi in tema di licenziamento disciplinare. Nella sentenza in esame, la Corte, richiamando precedenti giurisprudenziali, ha ribadito che il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi soggettivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti. Ciò significa, secondo la Corte, che condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative. In sostanza è illegittimo il recesso adottato in relazione ad una condotta (nel caso di specie diverbio non seguito da vie di fatto) che il contratto collettivo di settore non punisce con la misura estrema.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11404 del 10 maggio 2017, ha osservato che anche in caso di licenziamento collettivo per cessazione dell’attività aziendale non può essere derogato il termine di 7 giorni per l’invio della comunicazione finale sull’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori di cui all’art. 4, comma 9, della legge 223/1991, rivestendo carattere essenziale. Così decidendo la Corte respinge la tesi per cui, in presenza di una simile situazione, non vi sarebbe alcuna esigenza di verificare l’applicazione dei criteri di scelta, verificandosi l’azzeramento dell’intero organico. A parere della Corte, infatti, il rispetto dell’obbligo di comunicare ex post le modalità applicative dei criteri di scelta conserva la sua funzione di garanzia e di controllo anche in caso di dichiarata cessazione dell’attività aziendale. Ciò in quanto è necessario poter verificare che la decisione di eliminare l’organico aziendale non dissimuli fattispecie di segno differente, tra cui la cessione dell’azienda o la ripresa della medesima attività sotto diversa insegna o in diverso contesto territoriale.