Alberto De Luca ha partecipato al convegno “Esternalizzazioni, appalti e trasferimento d’azienda” per approfondire le problematiche giuslavoristiche dell’appalto nel lavoro privato.
Il convegno, organizzato da Convenia, si è tenuto a Milano il 9 maggio 2017.
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“DAL 2012 AD OGGI DIMEZZATE LE LITI PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO ADDIRITTURA RIDOTTE AD UN TERZO QUELLE PER RAGIONI DISCIPLINARI LO SCOPO DI SGRAVARE I TRIBUNALI SI PUÒ RITENERE RAGGIUNTO”, DICE L’AVVOCATO VITTORIO DE LUCA
Secondo le statistiche del ministero « della Giustizia, le cause per licenziamenti per giustificato motivo oggettivo si sono dimezzate dal 2012, quelle per licenziamento disciplinare si sono ridotte ad un terzo». Vittorio De Luca, partner dello studio di giuslavoristi De Luca cita i dati del “Censimento permanente dei procedimenti giudiziari in materia di lavoro”, per mostrare come il legislatore abbia raggiunto l’obiettivo: limitare il ricorso al tribunale, considerato un deterrente alle assunzioni. «Le riforme del 2012 (la Fornero) e quella del 2015 (il Jobs Act) spiega il legale sono nate proprio col dichiarato intento di ridurre il contenzioso, favorendo procedure che consentissero l’incontro delle parti e quella che noi legali chiamiamo definizione bonaria delle controversie». Così mentre nei primi otto mesi del 2016 i licenziamenti sui contratti a tempo indeterminato passavano, secondo l’Inps, dai 304.437 (+31%), anche per via dei licenziamenti per giusta causa, passati dai 36.048 del 2015 ai 46.255 (+28 %), il ricorso al giudice si è andato riducendo. Il lavoratore oggi ci pensa bene ad andare in tribunale. Soprattutto per paura di non vincere la causa e di dover pagare anche le spese legali. Inoltre, con la riforma Fornero del 2012 e poi ancora di più con il Jobs Act del 2015, le ipotesi di reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente licenziato illegittimamente sono state limitate. «La riforma Fornero ha modificato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, prevedendo anche l’ipotesi di risarcimento economico e non solo la reintegrazione nel posto di lavoro. E questo anche nel caso in cui il giudice riconosca l’illegittimità di un licenziamento», spiega l’avvocato. Con il Jobs Act del 2015, il legislatore ha reso ancora più difficile per il dipendente riottenere il suo posto di lavoro, «prevedendo che, di norma, se licenziato abbia diritto ad una indennità economica e, solo in casi gravi come ad esempio per l’ipotesi di discriminazione, il giudice possa disporre la reintegrazione». Inoltre, le indennità economiche che il lavoratore può ottenere sono predeterminate dalla legge e sottratte alla valutazione del giudice. Così, sempre più spesso, i termini del licenziamento vengono contrattati in sede extragiudiziale. E il datore di lavoro oggi è la parte più forte. Non solo i lavoratori, anche i giuslavoristi pagano, in un certo senso, le spese di questa riforma. «L’estensione delle assunzioni con contratti a tutele crescenti, secondo alcuni colleghi, limiterà ulteriormente il ricorso ai tribunali». Certo è probabile che cresceranno i processi per licenziamento discriminatorio. Ma di sicuro il lavoratore esce indebolito da questa situazione. Di recente poi, è intervenuta anche una sentenza della Corte di Cassazione che ha destato un grande interesse da parte degli imprenditori che si sono rivolti agli avvocati per capirne la portata. Una decisione che ha fatto molto scalpore: quella sul licenziamento di un dipendente non per difficoltà economiche di un’azienda ma per accrescere il profitto del datore di lavoro. «La sentenza a mio avviso commenta però De Luca ha suscitato un ingiustificato clamore, in quanto, con un’interpretazione più aderente alla legge 604 del 1966 a cui si riferisce, esprime un orientamento non nuovo della Suprema Corte». Secondo il legale, la pronuncia non fa altro che richiamare «due orientamenti prevalenti sul tema della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo optando per una soluzione più aderente al dettato normativo».
La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 52316 del 9.12.16, sulla tortuosa questione giuridica attinente alla responsabilità amministrativa nei gruppi di impresa. Nella specie, si tratta dell’asserito vuoto normativo sussistente nel D.Lgs. 231/01 in punto di responsabilità dei gruppi societari e di concorso di persone nel reato, che ha portato alla configurazione di un interrogativo:
può la capogruppo rispondere per un reato commesso nell’interesse o vantaggio della controllata? La Cassazione, interpellata sul punto, ha chiarito che tutte le società facenti parte di un gruppo societario, compresa la holding, possono rispondere del reato commesso da managers o dipendenti di una controllata, purché nella consumazione del reato concorra una persona fisica che agisca per conto della controllante, o di altra società del gruppo, perseguendo anche l’interesse di quest’ultime. Infatti, afferma la Corte, non esiste un generale “interesse di gruppo”; non è sufficiente, quindi, fare un riferimento generico al gruppo per legittimare la responsabilità da reato della controllante o delle controllate, dovendosi conseguentemente verificare in concreto l’effettiva utilità
derivante dalla commissione del reato presupposto da parte della società interessata.
Il D.lgs. 136/2016, entrato in vigore lo scorso 22 luglio, ha recepito nel nostro ordinamento le disposizioni comunitarie in materia di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Il decreto, che ha abrogato il vecchio D. lgs. 72/2000, racchiude infatti in un unico testo le norme volte ad attuare sia la direttiva 96/71/CE che la più recente 2014/67/UE. Le imprese straniere che distaccano in Italia, in forza delle nuove disposizioni, saranno d’ora in avanti tenute a garantire alla propria manodopera le medesime condizioni di lavoro e di occupazione applicabili ai lavoratori italiani, se previste da disposizioni di legge. Per quanto concerne il settore delle costruzioni, inoltre, l’obbligo è esteso anche alle disposizioni dei contratti collettivi di cui all’art. 51 del “Jobs Act”. Le condizioni di lavoro e di occupazione per le quali le imprese straniere saranno tenute alla parità di trattamento riguardano un elenco tassativo di materie quali orario di lavoro, sicurezza, ferie e, si noti bene, la materia salariale. Ma vi è di più. Pur nel rispetto dei principi di libertà di prestazione di servizi e di libera concorrenza tra le imprese comunitarie, il D.lgs.136/2016 ha inteso introdurre trattamenti economici e normativi minimi a favore dei lavoratori, anche attraverso l’introduzione dii maggiori controlli, per prevenire le forme elusive di distacco e finalmente rispondere alla carenza di effettività registratasi per le disposizioni che, fin dal 2000, regolavano il distacco di lavoratori in Italia. Le vecchie disposizioni, a differenza di Paesi come Francia e Svizzera dotati di una disciplina antielusiva molto efficace, infatti, in Italia erano rimaste sostanzialmente lettera morta. Per rimediare, il decreto ha introdotto, per tutte le imprese che distacchino lavoratori in Italia, l’obbligo di comunicare il distacco medesimo al Ministero del Lavoro almeno 24 ore prima dell’inizio del distacco stesso (e le successive modifiche, entro 5 giorni) designando un referente domiciliato in Italia tenuto alla conservazione dei documenti attinenti al distacco, nonché un referente tenuto al dialogo con le parti sociali. I nuovi obblighi, entrati in vigore il 26 dicembre scorso, inaugurano una nuova stagione: la direzione perseguita dal decreto è infatti quella di prevenire gli abusi, rafforzando e agevolando i controlli nei confronti delle distaccanti. Dunque, le imprese straniere che, in precedenza, non erano soggette ad obblighi di informazione preventiva nei confronti delle autorità locali per distaccare in Italia la propria manodopera, sono ora obbligate a comunicare preventivamente al Ministero del Lavoro le informazioni indispensabili ai fini dell’accertamento della genuinità del distacco. Il tutto, al fine di neutralizzare le forme di distacco praticate, soprattutto da imprese stabilite nei cosiddetti “Paesi newcomers”, di recente ingresso nell’UE, in danno alla competitività delle imprese nazionali, in particolare le imprese del settore edile.
Il 19 gennaio 2017, a seguito dell’esito positivo della consultazione certificata dei lavoratori, è stato sottoscritto formalmente l’Accordo di Rinnovo del CCNL per l’industria metalmeccanica privata e l’installazione di impianti che è, dunque, pienamente efficace. In tale occasione le Parti hanno, altresì, definito il testo contrattuale relativo alle modalità applicative dell’una tantum forfettaria di 80 Euro lordi da corrispondersi, con la retribuzione afferente al mese di marzo 2017, ai lavoratori in forza alla data del 1° marzo 2017. Nello specifico, questi 80 euro sono suddivisibili in quote mensili in funzione della durata del rapporto nel periodo 1° gennaio – 31 marzo 2017. Viene precisato che la frazione di mese superiore a 15 giorni è considerata come mese intero. Ai fini della determinazione dell’una tantum sono utili tutti i periodi di sospensione o riduzione della prestazione per malattia, infortunio, gravidanze e puerperio, congedo parentale, congedo matrimoniale comprese le tipologie di CIG. Non sono, invece, utili ai predetti fini i casi di aspettativa non retribuita. Si tratta di un importo comprensivo dei riflessi sugli istituti diretti ed indiretti ed è escluso dalla base di calcolo del TFR.