Jobs act. Lo schema di decreto che riforma l’articolo 2103 del Codice prevede lo spostamento a mansione inferiore anche senza consenso.
Datore libero di agire se si modificano gli assetti aziendali o se previsto dal Ccnl.
La disciplina del mutamento di mansioni riveste un ruolo di primo piano tra le materie che il Governo si è proposto di riformare con l’approvazione degli schemi di decreto elaborati in attuazione della legge delega. Per comprenderne la portata delle modifiche annunciate occorre riepilogare brevemente la disciplina.
La norma di riferimento (articolo 2103 del Codice civile), vige secondo la formulazione introdotta nel 1970 dallo Statuto dei lavoratori, ed è d’impostazione fortemente garantista. La norma esclude in modo categorico che il datore di lavoro possa adibire il lavoratore a mansioni inferiori e si fonda su tre precetti. Il primo è che il datore deve adibire il lavoratore alle mansioni per cui è stato assunto o alle ultime effettivamente svolte (o “equivalenti”), o a quelle superiori successivamente acquisite, senza alcuna riduzione della retribuzione. Il secondo è che l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori diviene definitiva dopo un periodo massimo di tre mesi (salvo che l’assegnazione non avvenga per sostituzione di lavoratori assenti o che il contratto collettivo non preveda un periodo più breve). Il terzo è che ogni patto contrario è colpito da nullità. L’estrema rigidità della norma ha con il tempo favorito la proliferazione di una nutrita giurisprudenza in merito alle varie voci di danno risarcibili al lavoratore in caso di violazione del divieto.
Più recentemente, nonostante il poco spazio lasciato dalla lettera della norma all’interpretazione, l’orientamento dei giudici è arrivato a consentire che l’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori fosse lecita, purché con il consenso dell’interessato, qualora fosse l’unica alternativa al licenziamento. Si è così stilata una sorta di graduatoria dei diritti fondamentali del lavoratore (nella specie: il diritto al lavoro prevale sul diritto alle mansioni e alla retribuzione).
Ebbene, lo schema di Dlgs sul riordino delle tipologie contrattuali (all’esame del Parlamento) si propone di riformare in profondità il senso e lo spirito dell’articolo 2103. Salvo eventuali modifiche, infatti, la nuova formulazione consentirà in primo luogo l’adibizione del lavoratore a mansioni «riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte». Con ciò, si intende superare l’obbligatorietà, nella cosiddetta mobilità orizzontale, della equivalenza delle mansioni, secondo la quale, al fine di escludere l’illecito demansionamento, occorre verificare l’effettiva “parità” sostanziale delle mansioni attribuite rispetto a quelle precedenti (ad esempio in termini di grado di responsabilità ricoperto, prospettive di carriera eccetera). Sicché anche l’attribuzione di mansioni appartenenti al medesimo livello contrattuale previsto dal contratto collettivo, che sino a oggi poteva costituire un demansionamento, in futuro sarà sempre consentita.
Forse ancora più dirompente è poi l’introduzione, al comma successivo, di una vera e propria facoltà datoriale di attuare lecitamente e unilateralmente veri e propri demansionamenti fino a oggi vietati. Il “nuovo” secondo comma, infatti, se approvato nella formulazione proposta, prevederà la possibilità per il datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni appartenenti al «livello di inquadramento inferiore» senza bisogno del consenso dell’interessato in ipotesi di modifica degli assetti organizzativi dell’azienda che incidano sulla posizione lavorativa del lavoratore, oltre che nelle ulteriori ipotesi eventualmente previste dai contratti collettivi. Rimarrà comunque fermo il principio di irriducibilità della retribuzione, salvo che per quegli elementi retributivi riconosciuti in funzione di particolari modalità di svolgimento delle mansioni precedentemente assegnate. Al riguardo, al di là di indennità di funzione e istituti simili, per i quali non sembra esservi spazio di dubbio, ci si chiede se nella definizione debbano rientrare anche piani premiali previsti solo per determinate categorie di soggetti in funzione della loro posizione organizzativa. Il nuovo testo, poi, consoliderà la giurisprudenza formatasi sui patti di demansionamento facendo espressamente salva la possibilità per datori di lavoro e lavoratori di stipulare accordi individuali nelle cosiddette sedi protette (ossia Dtl, sedi sindacali o giudiziali), che prevedano l’assegnazione di mansioni corrispondenti a un livello di inquadramento inferiore con relativa riduzione della retribuzione, a condizione che ciò avvenga nell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, all’acquisizione di una diversa professionalità ovvero al miglioramento delle condizioni di vita. Il nuovo articolo 2103 del Codice civile, infine, prevedrà tempi più lunghi per la maturazione del diritto al livello superiore, aumentando da tre a sei mesi il lasso temporale necessario, escludendo tutti i casi di sostituzione di altri colleghi (anche non assenti) e facendo comunque salva la diversa volontà dell’interessato (oggi irrilevante).
Fatta questa breve disamina, si può concludere che, in netta contrapposizione con il passato, la nuova norma sembra orientata, se confermata nell’attuale formulazione, a consentire ai datori di lavoro di agire in modo assai più flessibile sull’organizzazione del lavoro, senza i vincoli e i rischi previsti dalla legislazione (quasi) previgente. In questo senso, il demansionamento, sino ad oggi vietato senza il consenso del lavoratore, non solo si prepara a godere di piena liceità, ma potrà essere annoverato tra gli strumenti organizzativi a disposizione del datore di lavoro nella realizzazione dell’impresa.
Fonte:
Il Sole 24 Ore
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