Q&A

Lavoro subordinato

Poteri e obblighi del datore di lavoro

Ultimo aggiornamento : 15/03/2023
Cosa si intende per “mobbing”?

Il termine “mobbing” racchiude tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali e/o collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore al fine di emarginarlo o costringerlo a uscire dall’ambito lavorativo. A seconda dei soggetti che attuano tali condotte, nella prassi si usa distinguere tra:

  • mobbing verticale, ad opera di superiori gerarchici;
  • mobbing orizzontale, ad opera di colleghi;
  • mobbing ascendente, da parte dei sottoposti ad un superiore.

I principali tratti identificativi del mobbing sono:

  • la sistematica protrazione nel tempo di una pluralità di atti finalizzati alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente, oppure semplicemente a vessare e mortificare lo stesso;
  • la lesione arrecata al lavoratore, sul piano professionale, psicologico, fisico, sessuale o morale;
  • il nesso causale tra la condotta persecutoria e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore.

Il mobbing integra una violazione dell’obbligo del datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. In tema di onere probatorio, spetta al lavoratore, oggetto di atti persecutori, provare di aver subito una lesione della propria integrità psico-fisica nonché il nesso di causalità tra le condotte vessatorie reiteratamente subite e l’evento dannoso.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i principali poteri e obblighi del datore di lavoro?

Il datore di lavoro, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, deve rispettare un generale principio di parità di trattamento tra i lavoratori, che si traduce anzitutto nel divieto di operare
discriminazioni. Le altre obbligazioni che gravano sul datore di lavoro nell’esecuzione del contratto sono molteplici: alcune di carattere generale (previste dal codice civile e dallo Statuto
dei lavoratori) e altre disciplinate da leggi speciali. Il datore di lavoro ha, altresì, una serie di poteri funzionali all’organizzazione dell’impresa, all’esercizio dei suoi diritti e all’adempimento degli obblighi: i principali, previsti dalla legge, sono il potere direttivo, il potere di controllo e il potere disciplinare. Tali poteri incontrano, però, dei limiti dovendosi contemperare con i diritti dei lavoratori, i quali spesso si traducono in divieti a carico dello stesso datore di lavoro.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In che cosa consiste il potere direttivo del datore di lavoro?

Il potere direttivo del datore di lavoro consiste nell’impartire al dipendente una serie di disposizioni con lo scopo di garantire l’esecuzione e la disciplina del lavoro. Tra queste disposizioni rientrano le scelte economico-produttive dell’azienda (sistema di retribuzione o di distribuzione dell’orario di lavoro, ecc.), il mutamento di mansioni, i trasferimenti, le ristrutturazioni e le riconversioni aziendali. Tale potere viene esercitato dal datore di lavoro – direttamente o mediante i propri collaboratori – con margini di ampia discrezionalità, salvo determinati limiti. Al potere di direzione del datore di lavoro corrispondono gli obblighi di obbedienza e diligenza del lavoratore.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In che cosa consiste il potere di controllo del datore di lavoro?

Il potere di controllo è diretto, anzitutto, a verificare che le prestazioni dei lavoratori siano concretamente eseguite sulla base delle mansioni assegnate agli stessi e che le disposizioni aziendali siano rispettate. Tale potere serve anche a tutelare la proprietà aziendale contro eventuali furti o danni. I controlli possono essere realizzati direttamente dal datore di lavoro oppure, nelle aziende di maggiori dimensioni, da personale gerarchicamente preposto (direttori, capi ufficio, capi reparto, ecc.), o ancora attraverso l’opera di personale apposito o di agenzie investigative esterne.

In che consa consiste il potere disciplinare del datore di lavoro?

Il datore di lavoro detta le regole di comportamento da osservare in azienda per garantire uno svolgimento ordinato ed efficiente dell’attività lavorativa. A tale potere è complementare la facoltà del datore di lavoro di adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti del lavoratore in caso di inosservanza delle disposizioni impartite. Poiché il codice civile fa riferimento genericamente alle violazioni degli obblighi di obbedienza, diligenza e fedeltà, senza individuare le singole infrazioni rilevanti sul piano disciplinare (artt. 2104 e 2105 cod. civ.), la determinazione dei comportamenti non consentiti si trova generalmente nei contratti collettivi o nei regolamenti aziendali predisposti dal datore di lavoro. Il potere disciplinare deve essere esercitato attraverso una specifica procedura finalizzata ad impedirne un uso arbitrario e a garantire un’adeguata informazione preventiva al lavoratore, permettendogli di esercitare pienamente il suo diritto di difesa.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Esiste un obbligo di tutela dell'integrità fisica e morale dei lavoratori?

In linea di principio, tutti i soggetti che operano nel luogo di lavoro sono coinvolti nell’organizzazione aziendale finalizzata all’individuazione e all’attuazione delle misure di sicurezza idonee a salvaguardare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori. Principale destinatario dell’obbligo di attuazione delle prescrizioni sulla sicurezza è il datore di lavoro, che esercita i poteri decisionali e di spesa in tale ambito. Tuttavia, la responsabilità è posta in capo a tutti i soggetti che operano in azienda, nei limiti dei compiti ad essi affidati dalla legge e/o tramite la delega rilasciata dal datore di lavoro.

Obblighi del lavoratore

Ultimo aggiornamento : 03/04/2023
Quali conseguenze comporta il rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa?

Il rifiuto immotivato di rendere la prestazione lavorativa costituisce una condotta idonea a determinare la lesione del vincolo fiduciario sottostante il rapporto di lavoro che può comportare anche l’irrogazione di un licenziamento disciplinare nei confronti del lavoratore inadempiente.

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, al ricorrere di determinate condizioni, il rifiuto opposto dal lavoratore può essere considerato legittimo. Di recente, infatti, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 770 del 12 gennaio 2023, ha escluso l’illegittimità del rifiuto alla prestazione lavorativa opposto da un lavoratore e motivato dal fatto che l’esecuzione della stessa, secondo le modalità richieste dal datore di lavoro, avrebbe comportato un pericolo per la sua incolumità.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i principali obblighi del lavoratore?

La principale obbligazione del lavoratore è quella di offrire la propria prestazione lavorativa conformemente alle mansioni assegnate, secondo l’orario di lavoro concordato e nel luogo stabilito. La stessa viene comunque integrata da una serie di altri obblighi “accessori” previsti dal codice civile, quali gli obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In che cosa consiste l’obbligo di diligenza e quali sono le sanzioni previste in caso di violazione?

Il lavoratore nello svolgimento della sua attività deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione e dall’interesse dell’impresa; essa, in sostanza, consiste nell’esattezza e nella scrupolosità nello svolgere il proprio lavoro e varia innanzitutto in base alle mansioni assegnate. La violazione dell’obbligo di diligenza costituisce una forma di inadempimento all’obbligazione contrattuale ed è fonte di responsabilità disciplinare determinando, a seconda della gravità, sanzioni conservative, fino ad arrivare al recesso dal rapporto. Inoltre, se la condotta colposa del lavoratore causa un evento dannoso e ciò è provato dal datore di lavoro, il lavoratore è obbligato al risarcimento del danno; a tal fine, il datore di lavoro deve provare il danno ed il rapporto di causalità fra il danno e la materiale (anche omissiva) condotta del lavoratore, mentre il lavoratore ha l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento, vale a dire di aver adottato la diligenza normativamente richiesta e, più in generale, la propria assenza di colpa.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In che cosa consiste l’obbligo di fedeltà del lavoratore e quali sono le sanzioni previste in caso di violazione?

L’obbligo di fedeltà si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro; esso comporta l’osservanza, da parte del lavoratore, dei divieti: (i) di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore nel medesimo settore commerciale o produttivo (divieto di concorrenza); (ii) di divulgare notizie riguardanti l’organizzazione e i metodi di produzione, oppure di farne uso in modo pregiudizievole per l’impresa (obbligo di riservatezza).
Tale obbligo deve essere rispettato anche al di fuori dell’orario di lavoro e durante la sospensione del contratto. La violazione dell’obbligo di fedeltà è fonte di responsabilità disciplinare e del relativo obbligo risarcitorio quando causa un danno al datore di lavoro e quest’ultimo sia in grado di fornirne la prova.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
L’obbligo di fedeltà consente al lavoratore di utilizzare il patrimonio professionale acquisito durante lo svolgimento del rapporto e in che termini?

L’utilizzo da parte del lavoratore delle notizie aziendali nell’ambito di un’attività esterna all’impresa è legittimo quando rappresenta l’elemento di base del bagaglio di conoscenze professionali acquisite, sempre che non si violino gli obblighi di non concorrenza e di rispetto del segreto professionale.
In secondo luogo la diffusione è consentita nei limiti in cui è ammesso il c.d. diritto di critica in ordine alle condizioni di lavoro, che viene esercitato dal lavoratore, ad esempio, nella sua qualità di sindacalista o di politico. L’esercizio di tale diritto è legittimo quando è condotto nei limiti della correttezza formale e della veridicità dei fatti denunciati. Ne consegue che solo nel caso in cui tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa o a suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In che cosa consiste l’obbligo di riservatezza?

Il lavoratore non può divulgare le notizie attinenti all’impresa, né quelle coperte da segreto, né quelle che, pur avendo un carattere “neutro”, se diffuse all’esterno possono costituire un pregiudizio per il datore di lavoro. Il pregiudizio in genere è collegato all’utilizzazione delle stesse in attività concorrenziale, ma può anche essere causato dalla comunicazione di informazioni tali da costituire opera di denigrazione dell’azienda. L’inosservanza del divieto di rivelare segreti professionali e scientifico-industriali è sanzionata penalmente.

Periodo di prova

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quale è lo scopo del periodo di prova e quando può essere stipulato il relativo patto?

Il periodo di prova ha lo scopo di permettere al datore di lavoro e al lavoratore di valutare la convenienza del rapporto di lavoro. Durante questo periodo il contratto di lavoro è definitivamente costituito e i diritti e gli obblighi delle parti sono pienamente operanti; l’unica particolarità consiste nel fatto che le parti possono recedere liberamente dal contratto senza obbligo di motivazione e senza obbligo di dare il preavviso o di pagare la relativa indennità sostitutiva. Il relativo patto può essere inserito in ogni tipologia di contratto di lavoro subordinato e deve essere siglato contestualmente alla stipulazione dello stesso e comunque prima della sua esecuzione. Il patto stipulato successivamente all’instaurazione del rapporto è nullo ed il rapporto assume immediatamente carattere definitivo.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
E’ possibile prevedere un periodo di prova nei confronti di dipendenti con i quali è già intercorso un precedente rapporto di lavoro?

La prova può essere concordata anche se tra le parti sono intercorsi precedenti rapporti di lavoro, purché serva per compiere l’esperimento non realizzato prima. Il patto è ammesso, pertanto, nell’ipotesi di rapporti diversi e successivi a condizione che vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare elementi sopravvenuti o ulteriori rispetto alla valutazione già compiuta in precedenza. La prova è illegittima, invece, quando la sperimentazione è già intervenuta con esito positivo nel corso di precedente rapporto di lavoro tra le stesse parti avente ad oggetto le medesime mansioni.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il patto di prova deve avere la forma scritta e cosa deve prevedere?

Il patto di prova deve avere forma scritta ed essere sottoscritto da entrambe le parti, in caso contrario è nullo e viene considerato come non apposto al contratto. La clausola che disciplina il patto deve prevedere l’indicazione delle mansioni affidate al lavoratore, pena la sua nullità e l’automatica conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quanto può durare il periodo di prova?

La legge fissa la durata massima della prova in: (i) 6 mesi per tutti i lavoratori e (ii) 3 mesi per gli impiegati non aventi funzioni direttive. La contrattazione collettiva, tuttavia, può prevedere una durata inferiore rispetto ai limiti legali sopraindicati.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i diritti e gli obblighi delle parti durante il periodo di prova?

Il datore di lavoro e il lavoratore sono obbligati, anzitutto, a consentire e ad effettuare la prova, che pertanto non può essere interrotta prima che sia trascorso il periodo previsto. Ai lavoratori in prova spettano tutti i trattamenti economici e normativi spettanti ai lavoratori non in prova; tra cui ad es. le ferie, il TFR, le mensilità aggiuntive e il decorso dell’anzianità di servizio.

Orario di lavoro

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende con il termine “orario di lavoro”?

Con il termine “orario di lavoro” si intende qualsiasi periodo in cui (i) il lavoratore è al lavoro, (ii) a disposizione del datore di lavoro e (iii) nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni (cfr. art. 1, co. 2, lett. a), D.Lgs. 66/2003). Sorgono in capo al datore di lavoro gli obblighi retributivi e contributivi qualora ricorrano congiuntamente i requisiti di cui ai punti (i), (ii) e (iii). Al contrario, il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro non è da considerarsi orario di lavoro, a meno che non sia indispensabile per la prestazione o se nel tempo impiegato per i propri spostamenti il lavoratore è sottoposto alle istruzioni del datore di lavoro.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
La reperibilità è considerabile come “orario di lavoro”?

La reperibilità deve essere intesa come la richiesta fatta al lavoratore di rendersi disponibile fuori dall’orario di lavoro ad una eventuale chiamata da parte dell’azienda e ad una successiva richiesta di prestazione lavorativa a fronte di esigenze urgenti e indifferibili. La regolamentazione della reperibilità è demandata ai contratti collettivi nazionali di lavoro ovvero, in mancanza di questi, ai contratti territoriali, aziendali o regolamenti interni. In assenza, deve essere regolata tramite appositi accordi con il lavoratore, eventualmente ricompresi nel contratto di assunzione che, in ogni caso, non devono creare un eccessivo disagio nella sua vita familiare e sociale. Il lavoratore deve rendersi reperibile manifestando il proprio consenso e, il datore di lavoro, deve prevedere una apposita indennità a favore del lavoratore.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il “tempo tuta” è considerabile come “orario di lavoro” e deve essere pertanto retribuito?

Con il termine “tempo tuta” si intende il tempo impiegato dai dipendenti per effettuare le operazioni di vestizione/svestizione degli indumenti da lavoro. In merito al trattamento retributivo occorre, innanzitutto, evidenziare che per “orario di lavoro” si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Sulla base di quanto sopra, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che al fine di valutare se il momento della vestizione/svestizione debba essere considerato come orario di lavoro con conseguente onere retributivo da parte del datore di lavoro, occorre distinguere i casi in cui:

  • il dipendente ha avuto in dotazione gli indumenti di lavoro e gli è consentito portarli a casa, recandosi al lavoro avendoli già indossati: in questa ipotesi il tempo impiegato per la vestizione non può essere considerato orario di lavoro;
  • il datore ha fornito al dipendente determinati indumenti, con il vincolo di tenerli e di indossarli sul posto di lavoro: in tal caso, il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientra nel concetto di orario di lavoro e, come tale, va retribuito (in tale ultima ipotesi opera infatti la cd. “etero-direzione” dell’operazione da parte del datore di lavoro).
Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Qual è l’orario normale di lavoro e la sua durata massima?

Il normale orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata inferiore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (cfr. art. 3, D.lgs. 66/2003). L’articolo 4 del D.Lgs. 66/2003 stabilisce che la durata massima dell’orario di lavoro è quella fissata di volta in volta dai CCNL e che, in ogni caso, non può superare per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario. La durata media dell’orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi, che può essere dilatato (sempre con contrattazione collettiva) fino a 6 o a 12 mesi, ma solo per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro specificate negli stessi contratti collettivi. Nel computo della “media” dell’orario di lavoro non devono essere considerati i periodi di ferie annuale e i periodi di assenza per malattia.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende con l’espressione orario di lavoro straordinario?

Con l’espressione “lavoro straordinario” si intende la prestazione svolta oltre il normale orario di lavoro, cioè quello prestato oltre la quarantesima ora ovvero oltre la minore durata stabilita dai contratti collettivi. Il ricorso al lavoro straordinario da parte del datore di lavoro deve essere contenuto e, in assenza di una disciplina collettiva applicabile, è ammesso solo a seguito della sottoscrizione di uno specifico accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come funzionano il riposo giornaliero e le pause giornaliere?

Gli articoli 7 e 8 del D.lgs. 66/2003 regolano rispettivamente il riposo giornaliero e le pause giornaliere. In particolare, il D.Lgs., pur non stabilendo un limite giornaliero di durata dell’orario di lavoro, riconosce al lavoratore il diritto al riposo giornaliero che non può essere inferiore alle 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore. È, invece, rimessa alla contrattazione collettiva l’individuazione della modalità e della durata delle pause giornaliere laddove l’orario giornaliero sia superiore alle 6 ore. Nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva non preveda nulla, al lavoratore dovrà comunque essere concessa una pausa tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti.

Mansioni e inquadramento

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il lavoratore, in corso di rapporto, può essere adibito a mansioni diverse rispetto a quelle assegnate in sede di assunzione?

In via generale, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, il lavoratore può essere adibito a mansioni diverse rispetto a quelle assegnate in sede di assunzione, purché riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte (si parla in questo caso di “mansioni fungibili”), oppure a mansioni corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito (i.e., in caso di promozione). Ogni patto contrario è nullo, fatta eccezione per le ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori per esigenze legate all’attività produttiva o per accordo tra le parti (vedi sotto).

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Entro quali limiti è possibile adibire un lavoratore a mansioni “inferiori”?

Il lavoratore può essere adibito a mansioni inferiori soltanto al ricorrere di determinate situazioni ed entro certi limiti. Da un punto di vista causale, il demansionamento è consentito, soltanto in presenza di (i) una modifica degli assetti organizzativi aziendali, tale da incidere sulla posizione del lavoratore; e/o (ii) al ricorrere delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva. In tali casi il datore di lavoro può assegnare (con comunicazione scritta. a pena di nullità) il lavoratore a mansioni inferiori, purché appartenenti al livello di inquadramento immediatamente inferiore e rientranti nella medesima categoria legale.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
È possibile modificare la categoria legale, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione del lavoratore?

È possibile modificare la categoria legale, il livello di inquadramento e la retribuzione del lavoratore tramite la stipulazione di un accordo da sottoscrivere in “sede protetta” o davanti a una commissione di certificazione. La modifica è, tuttavia, consentita soltanto se motivata da un rilevante interesse del lavoratore (i) alla conservazione dell’occupazione, (ii) all’acquisizione di una diversa professionalità e (iii) al miglioramento delle condizioni di vita (i.e., accordo tra le parti finalizzato alla conservazione della posizione lavorativa del lavoratore per evitare il licenziamento conseguente alla soppressione della posizione occupata sino a quel momento dal lavoratore).

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono le azioni esperibili dal lavoratore illegittimamente demansionato?

Il lavoratore illegittimamente demansionato può adire l’autorità giudiziaria al fine di ottenere l’adibizione allo svolgimento delle mansioni per le quali è stato assunto o, in alternativa, a mansioni rientranti nel medesimo livello di inquadramento, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Resta inteso che l’onere della prova in giudizio grava sul lavoratore.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il lavoratore può essere adibito a mansioni superiori?

Il lavoratore può essere adibito a mansioni superiori con diritto al trattamento economico corrispondente all’attività svolta. L’assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo 6 mesi continuativi.

Ferie, Riposi e Permessi

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quando si maturano le ferie?

Le ferie, intese come un diritto irrinunciabile di tutti i lavoratori dipendenti per reintegrare le energie psicofisiche investite nella prestazione lavorativa e partecipare alla vita familiare e sociale, si maturano nell’arco di un periodo stabilito dalla legge in costanza dell’attività lavorativa effettivamente prestata o durante un periodo di assenza che la legge o i contratti collettivi nazionali del lavoro equiparano alla prestazione effettiva. Fatte salve le eccezioni, la durata legale del periodo di maturazione delle ferie è di 12 mesi e, generalmente, viene fissato contrattualmente, a livello nazionale o aziendale. Tale periodo di maturazione può coincidere con l’anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) ovvero può corrispondere ad un periodo di 12 mesi a decorrere dal 1° agosto. È prassi indicare all’interno della busta paga il numero dei giorni di ferie di volta in volta maturati dal dipendente.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
La contrattazione collettiva può ridurre il limite minimo delle 2 settimane consecutive di ferie?

La contrattazione collettiva può ridurre il limite minimo delle 2 settimane consecutive di ferie di cui il lavoratore può godere nel corso dei 12 mesi di maturazione. In ogni caso l’eventuale riduzione non deve vanificare lo scopo della fruizione delle ferie e deve derivare da esigenze lavorative ovvero da esigenze aziendali rilevanti.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per “cessione delle ferie” (o ferie solidali)?

La cessione delle ferie (o ferie solidali) è la possibilità di cedere, a titolo gratuito, le ferie maturate ad altri lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro. Questi ultimi possono utilizzare le ferie cedute al fine di assistere figli minori che necessitano di cure costanti a causa di particolari condizioni di salute. La misura, le condizioni e le modalità con cui ciò può avvenire sono di volta in volta definite dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e applicabili al rapporto di lavoro interessato.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il datore di lavoro può chiedere anticipatamente al lavoratore che assiste un disabile la programmazione delle sue assenze?

Il datore di lavoro, come chiarito nella Risposta ad Interpello del Ministero del Lavoro del 27 gennaio 2012 n. 1, può chiedere preventivamente al lavoratore che assiste un disabile una programmazione dei 3 giorni di permesso mensile riconosciuti dalla legge. Tuttavia, devono essere rispettate le seguenti condizioni:

  • il lavoratore deve essere in grado di individuare in via preventiva le giornate di assenza;
  • così facendo, non deve essere compromesso il diritto del disabile di godere di una assistenza effettiva;
  • la programmazione non deve essere in contrasto con i criteri condivisi con i lavoratori e le loro rappresentanze.

In ogni caso, il lavoratore può modificare unilateralmente la giornata già programmata e comunicata al datore di lavoro.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
La fruizione dei permessi per assistere un disabile influisce sulla maturazione delle ferie e dei ratei di mensilità aggiuntiva?

La fruizione dei permessi per assistere un disabile non influisce sulla maturazione delle ferie e dei ratei di mensilità aggiuntiva. Le ferie i ratei di mensilità aggiuntiva sono soggetti a riduzione solamente nell’ipotesi in cui i permessi per l’assistenza ai disabili sono cumulati con il congedo parentale (Cfr. INPS 7014/2006).

Trasferimento/ Trasferta/Distacco/Missione

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa indica il trasferimento e quando è ammesso?

Il trasferimento configura un mutamento del luogo di lavoro del dipendente che ha carattere definitivo e senza limiti di durata. Ai sensi dell’art. 2103, ultimo comma, cod. civ. il datore di lavoro può decidere unilateralmente di trasferire un lavoratore da un’unità produttiva ad un’altra (purché facente parte della medesima azienda), a condizione che il relativo provvedimento sia motivato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, le ragioni poste alla base del trasferimento devono:

  • sussistere al momento in cui il datore di lavoro assume la decisione di trasferire il dipendente;
  • essere oggettive e non determinate da valutazioni di carattere soggettivo.
Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il lavoratore può rifiutare il trasferimento?

Il lavoratore, se il trasferimento è stato disposto in presenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive di norma, non può rifiutarlo ed in caso di rifiuto il datore di lavoro può, a determinate condizioni, intimargli il licenziamento disciplinare. Il lavoratore, qualora ritenga il trasferimento illegittimo, può opporsi, entro 60 giorni dalla sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la propria volontà. Tale atto rimane inefficacie se non è seguito nei 180 giorni successivi dal deposito di ricorso giudiziale o da comunicazione al datore di lavoro della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Esistono categorie di lavoratori per le quali la legge prevede una disciplina speciale in tema di trasferimento?

Per alcune categorie di lavoratori la legge prevede una disciplina del trasferimento peculiare e precisamente:

  • per i dirigenti sindacali è richiesto il rilascio di un nulla osta preventivo da parte dell’associazione di appartenenza (art. 22 Stat. Lav.);
  • i lavoratori con handicap in situazione di gravità hanno diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede (art. 33 L. 104/92);
  • il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede (art. 33 L. 104/92).

La contrattazione collettiva può prevedere ulteriori limitazioni al potere di trasferimento: il CCNL per i Dirigenti delle Aziende Industriali prevede, ad esempio, che il trasferimento dovrà essere comunicato per iscritto al dirigente con un preavviso non inferiore a mesi tre ovvero a mesi quattro quando il dirigente ha familiari conviventi e che, salvo diverse intese tra le parti, il trasferimento individuale non possa essere disposto nei confronti del dirigente che abbia compiuto il 55° anno d’età.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per trasferimento collettivo?

Per trasferimento collettivo si intende il trasferimento di un’intera parte dell’impresa (reparto, filiale) o dell’azienda nel suo complesso. Tale fattispecie si realizza quando il trasferimento coinvolge bilateralmente (per i lavoratori e per il datore di lavoro) interessi ulteriori rispetto a quelli relativi ad un licenziamento individuale, tali da meritare un vaglio da parte delle organizzazioni sindacali. L’esame in sede sindacale è obbligatorio se previsto dalla contrattazione collettiva.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per trasferta?

A differenza del trasferimento, che comporta un mutamento definitivo e senza tempo del luogo di lavoro del lavoratore, per trasferta si intende l’adibizione temporanea del lavoratore verso un’altra località rispetto a quella in cui egli esegue normalmente la propria attività. La giurisprudenza ha individuato una serie di indici rilevatori della configurabilità della trasferta e, in particolare, (i) la permanenza del legame del lavoratore con l’abituale luogo di lavoro; (ii) la temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa; (iii) l’effettuazione della prestazione lavorativa in esecuzione di un ordine di servizio del datore di lavoro.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i requisiti per un distacco legittimo?

Il distacco, ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. 276/2003, si configura quando un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto (distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. I requisiti richiesti per un distacco legittimo sono dunque i seguenti:

  • l’interesse del datore di lavoro distaccante, che deve sussistere per tutta la durata del distacco;
  • la temporaneità del distacco;
  • lo svolgimento di una attività determinata.

L’interesse del datore di lavoro distaccante può individuarsi in qualsiasi interesse produttivo, anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, purché specifico, rilevante, concreto e persistente. La stessa Corte di Cassazione ha, di recente, ravvisato tale interesse nell’incremento, in una situazione di crisi temporanea, di professionalità del lavoratore distaccato (sentenza 1745/2020). Passando alla temporaneità, questa non deve essere intesa in termini di maggiore o minore durata del distacco, ma come non definitività dello stesso. La durata del distacco può anche non essere predeterminata ab origine, essendo, invece, sempre necessario che la medesima coincida con il perdurare dell’interesse del datore di lavoro. In merito al requisito dello svolgimento di una determinata attività, esso sta a significare che il lavoratore deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante. In sostanza, il distacco non può risolversi in una mera messa a disposizione di personale in maniera generica, senza predeterminazione delle mansioni.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il distacco può comportare un mutamento di mansioni e di luogo della prestazione?

L’art. 30 del D.Lgs. 276/2003 prevede espressamente che il lavoratore distaccato può essere adibito a mansioni diverse da quelle originarie solo su base consensuale. La medesima disposizione prevede, altresì, che il distacco, qualora comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, è considerato lecito solo se giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Trattamento retributivo

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono gli elementi base della retribuzione?

Gli elementi base della retribuzione sono quei compensi che fanno parte integrante della busta paga del lavoratore e che realizzano la c.d. retribuzione sufficiente.

Il minimo contrattuale costituisce la retribuzione minima dovuta al lavoratore, la cui determinazione è fissata dai contratti collettivi in relazione a ciascuna qualifica contrattuale. L’indennità di contingenza è un importo che, fino al 31 dicembre 1991, ha avuto la funzione di adeguare la retribuzione agli aumenti del costo della vita tramite un sistema di calcolo che prevedeva l’aggiornamento semestrale di una somma uguale per tutti i lavoratori e di un’altra variabile a seconda del settore di riferimento e della qualifica. Dal 1° gennaio 1992, viene pagato l’importo dell’indennità di contingenza maturato sino a quella data. In alcuni Contratti Collettivi Nazionale di Lavoro è conglobata nel minimo contrattuale. L’elemento distinto della retribuzione (EDR) viene erogato dal 1° gennaio 1993 a tutti i lavoratori del settore privato (tranne che ai dirigenti) e corrisponde ad euro 10,33 mensili per 13 mensilità.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per TFR e quali elementi retributivi concorrono alla sua determinazione?

In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto (TFR). Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e, comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua da tenere in considerazione ai fini della determinazione del TFR comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il datore di lavoro può unilateralmente diminuire la retribuzione del lavoratore?

In linea generale, vige nel nostro ordinamento giuridico, un principio di irriducibilità della retribuzione, in base al quale il lavoratore ha diritto a percepire il trattamento economico pattuito con il datore di lavoro al momento dell’assunzione. Ogni patto contrario con il lavoratore deve considerarsi nullo. L’eccezione alla regola dell’irriducibilità della retribuzione è contenuta nell’art. 2103 cod. civ. laddove prevede la possibilità di stipulare accordi individuali di modifica (in senso peggiorativo per il lavoratore) delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento, nonché della relativa retribuzione. Per essere legittima la riduzione della retribuzione deve avvenire in presenza di un interesse del lavoratore a: (i) la conservazione dell’occupazione, oppure (ii) l’acquisizione di una diversa professionalità, oppure (iii) al miglioramento delle condizioni di vita.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Che cosa si intende per superminimo assorbibile?

Datore di lavoro e lavoratore possono pattuire, nel contratto individuale, un compenso, il cui importo si aggiunge al minimo contrattuale previsto dal CCNL. Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il superminimo può essere assorbito in occasione di aumenti dei minimi tabellari (scatti di anzianità, passaggio di categoria ecc.) in misura corrispondente agli aumenti stessi. L’assorbimento dell’importo corrisposto a titolo di superminimo è escluso nelle ipotesi in cui le parti abbiano pattuito che lo stesso sia da considerarsi non assorbibile o nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva lo vieti.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come si calcola l’indennità sostitutiva di preavviso?

L’indennità sostitutiva del preavviso deve calcolarsi sulla retribuzione in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, computandovi le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. Se il lavoratore è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, premi di produzione o partecipazioni, l’indennità in questione viene determinata sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato.

Sospensione della prestazione lavorativa

Ultimo aggiornamento : 06/07/2023
L’ordinario periodo di comporto è applicabile anche nei confronti dei lavoratori disabili?

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9095 del 31 marzo 2023, ha stabilito che l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore portatore di handicap costituisce una forma di discriminazione indiretta in considerazione del fatto che questi è esposto a un maggiore rischio di assenze per malattia collegate alla disabilità. Ad avviso della Corte di Cassazione, pertanto, per i lavoratori portatori di handicap, il datore di lavoro è tenuto a distinguere le assenze per malattia da quelle per patologie correlate alla disabilità che non incidono ai fini del periodo di comporto.

Ultimo aggiornamento : 22/03/2023
Su chi incombe l’onere della prova circa la compatibilità tra la malattia e le attività extralavorative svolte dal dipendente durante la malattia

Il tema dell’onere della prova circa la compatibilità tra la malattia e le attività extralavorative svolte dal dipendente durante la malattia è oggetto di contrasto giurisprudenziale ancora irrisolto. Secondo un primo orientamento che fa affidamento sul c.d. criterio di vicinanza alla prova (ex multis, Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 9647 del 13 aprile 2021), l’onere della prova incombe sul lavoratore in quanto solo il soggetto malato può conoscere in via diretta o indiretta il fatto (i.e., la malattia) nel suo dettaglio e decorso. Un secondo e maggioritario orientamento ritiene invece che l’onere della prova faccia capo al datore di lavoro incombendo su di esso il dovere di provare tutte le circostanze, oggettive e soggettive, potenzialmente idonee a pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio (ex multis, Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 13063 del 26 aprile 2022).

Ultimo aggiornamento : 22/03/2023
È lecito lo svolgimento di attività ludiche per il dipendente assente dal lavoro per malattia?

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cassazione Civile, Sez. Lav., sentenza n. 6047 del 13 marzo 2018), il dipendente – assente dal lavoro per malattia – deve astenersi dallo svolgimento di attività extralavorative che, in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possano pregiudicare o ritardare anche solo potenzialmente la guarigione ed il rientro in servizio, mentre è allo stesso consentito di svolgere altre attività, anche di natura ludica, purché le stesse non inficino la convalescenza e la ripresa dell’attività lavorativa.

Ultimo aggiornamento : 23/02/2023
Come deve essere calcolato il periodo di comporto previsto dal CCNL per i dipendenti da aziende del terziario della distribuzione e dei servizi?

Il CCNL per i dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi prevede che “durante la malattia, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare”. Di recente, la Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sentenza n. 5288 del 20 febbraio 2023, ha fornito una approfondita disamina dell’istituto esprimendo il principio secondo cui il periodo di comporto previsto nel CCNL per i dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi possa essere calcolato sia con riferimento ad un unico episodio ininterrotto di malattia (c.d. “comporto secco”) che per sommatoria. Secondo i Giudici di legittimità, il rapporto istituito tra il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro (i.e., 180 giorni) e l’anno solare evidenzia l’intenzione comune delle parti di non limitare il comporto al caso di un unico episodio morboso, atteso che a questo fine sarebbe stato sufficiente stabilire che la malattia non avrebbe dovuto superare i 180 giorni.

Ultimo aggiornamento : 23/02/2023
Che cos’è il periodo di comporto?

Il periodo di comporto è il periodo durante il quale il lavoratore subordinato, pur assente a causa di malattia o infortunio, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. La durata e le relative modalità di calcolo sono stabilite dalla legge, dalla contrattazione collettiva nazionale o, in mancanza, dagli usi.

In base alle modalità di calcolo dei periodi di assenza del lavoratore, si usa distinguere tra:

  • comporto “secco”, se il periodo di conservazione del posto è riferito ad un’unica malattia ininterrotta;
  • comporto “per sommatoria” (o frazionato), se il periodo di conservazione del posto di lavoro viene calcolato sommando tutte le assenze per malattia, anche se riferite a differenti e distinti episodi morbosi, intervenute in un dato arco temporale di riferimento.
Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per anno solare ai sensi del CCNL Commercio e, di conseguenza, come si computa il periodo di comporto?

Con riferimento al quesito formulato, si precisa che il CCNL del settore terziario, distribuzione e servizi sottoscritto da Confcommercio, richiede il computo del periodo di comporto in anno solare e non in anno di calendario. Ciò significa dunque che per definirne l’entità è necessario andare a ritroso di 365 giorni rispetto al momento in cui tale computo è effettuato.

Procedimento disciplinare

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quando il datore di lavoro può azionare un procedimento disciplinare?

Il datore di lavoro può azionare un procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente in caso di inosservanza delle disposizioni impartite, dei doveri di fedeltà, correttezza e diligenza imposti dalla legge nonché degli obblighi e dei doveri indicati nel CCNL.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sanzioni disciplinari il datore di lavoro può adottare?

Le sanzioni disciplinari si suddividono in sanzioni conservative e non conservative. Le sanzioni conservative sono: (i) il rimprovero verbale; (ii) l’ammonizione scritta; (iii) la multa; (iv) la sospensione e (v) il trasferimento. La sanzione non conservativa è il licenziamento disciplinare, che a seconda della gravità dell’infrazione commessa, può essere per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa deve fare il datore di lavoro se viene a conoscenza del compimento da parte di un proprio dipendente di un fatto che può integrare un’ipotesi di infrazione disciplinare?

Il datore di lavoro può svolgere indagini al fine di acquisire elementi utili ad incolpare il dipendente e all’esito delle stesse procedere alla rituale contestazione dell’addebito. La contestazione è condizione di legittimità del provvedimento sanzionatorio, anche se il lavoratore è venuto in altro modo a conoscenza dell’addebito.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Entro quanto tempo deve essere contestato l’addebito?

L’addebito deve essere contestato tempestivamente; l’immediatezza della contestazione deve essere valutata con riferimento al momento: (i) della commissione del fatto contestato, oppure; (ii) della piena conoscenza, da parte del datore di lavoro, dell’infrazione, non bastando meri sospetti. Il requisito dell’immediatezza è compatibile con l’intervallo di tempo necessario al preciso accertamento della condotta del lavoratore e alle più ponderate ed adeguate valutazioni e consequenziali determinazioni del datore di lavoro. La tempestività deve essere, invece, esclusa quando il tempo trascorso ha ingenerato nel lavoratore la legittima convinzione della rinuncia al potere disciplinare, per cui la sanzione tardivamente applicata lede il suo legittimo affidamento e diritto di difesa.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come deve essere contestato l’addebito al lavoratore?

La contestazione di infrazioni comportanti sanzioni disciplinari più gravi del rimprovero verbale deve avvenire per iscritto. Tale requisito è considerato imprescindibile sia per esigenze di certezza e di immutabilità, sia per fissare il termine per l’applicazione della sanzione disciplinare. La legge non indica le modalità di consegna dell’atto al lavoratore; in generale vale la presunzione di conoscenza prevista dal codice civile per gli atti unilaterali recettizi, ovvero l’atto si presume conosciuto una volta giunto all’indirizzo del destinatario, a prescindere da un eventuale rifiuto del destinatario di ricevere l’atto. Entro 5 giorni dalla contestazione, il lavoratore ha il diritto di replicare producendo le proprie difese in forma scritta od orale.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per sospensione cautelare non disciplinare?

La sospensione cautelare è una misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione da parte del lavoratore degli obblighi inerenti al rapporto di lavoro che esaurisce i propri effetti con la revoca o con l’adozione dei provvedimenti disciplinari. La sospensione cautelare può essere prevista dalla contrattazione collettiva ma, in caso contrario, il datore di lavoro, in presenza dei presupposti, ha il potere di disporla (Cass. 15.11.1999, n. 12631). La sospensione cautelare è un atto legittimo del datore di lavoro a condizione che (i) al dipendente sospeso sia corrisposta la relativa retribuzione e (ii) la stessa non si protragga oltre la conclusione del procedimento disciplinare.

Risoluzione rapporto di lavoro

Ultimo aggiornamento : 06/07/2023
Quali sono le conseguenze del licenziamento disciplinare comminato oltre il termine previsto dal CCNL?

A prescindere dalle valutazioni circa la sussistenza del fatto addebitato al lavoratore, il licenziamento disciplinare intimato oltre il termine previsto dal CCNL per l’irrogazione del relativo provvedimento, è affetto da “vizio procedimentale” da cui ne consegue il diritto del lavoratore all’indennità risarcitoria c.d. “debole” tra le 6 e le 12 mensilità, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa. L’esclusione della tutela reintegratoria nei casi di violazione formali è stata da ultimo confermata dalla Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 10802 del 21 aprile 2023, allineandosi a quanto statuito sul punto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 30985 del 27 dicembre 2017.

Ultimo aggiornamento : 06/07/2023
Quando il licenziamento è da considerarsi “discriminatorio”?

Si considera “discriminatorio” il licenziamento basato su condizioni particolari e personali del lavoratore quali il credo politico, la fede religiosa, l’appartenenza ad un sindacato o la partecipazione ad attività sindacale nonché su ragioni di razza, lingua o sesso, handicap, età o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente.

Il licenziamento discriminatorio è nullo e comporta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione in misura, comunque, non inferiore a 5 mensilità, oltre al relativo trattamento contributivo previdenziale ed assistenziale. In alternativa alla reintegra, il lavoratore può optare per il pagamento di un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità che determina la risoluzione del rapporto di lavoro. L’onere di provare la natura discriminatoria del licenziamento grava interamente in capo al lavoratore

Ultimo aggiornamento : 23/02/2023
Cosa si intende per “giustificatezza” nel licenziamento disciplinare di un dirigente?

La Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sentenza n. 381 del 10 gennaio 2023, ha affermato che il licenziamento disciplinare di un dirigente può considerarsi legittimo anche in assenza di una “giusta causa”, essendo a tal fine sufficiente che l’atto espulsivo sia “fondato su qualsiasi violazione che possa minare l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel dirigente”.

Ultimo aggiornamento : 23/02/2023
Come va calcolata l’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore nei casi di reintegra disposta dal giudice che abbia accertato la natura ritorsiva del licenziamento?

Con sentenza del 2 febbraio 2023, la Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro ha stabilito che la misura del risarcimento del danno dovuto al lavoratore, il cui licenziamento sia stato dichiarato nullo in quanto ritorsivo, deve essere commisurata al periodo ragionevolmente necessario per trovare una nuova occupazione e non a tutte le mensilità comprese tra la data di licenziamento e la reintegrazione.

Ultimo aggiornamento : 23/02/2023
Che cos’è il licenziamento c.d. “ritorsivo”?

Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il licenziamento può definirsi ritorsivo allorquando sia motivato da un’ingiusta e arbitraria reazione da parte del datore di lavoro ad un comportamento legittimo del lavoratore afferente all’esercizio di diritti derivanti dal rapporto di lavoro o comunque ad esso connessi (ex multis, Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 26395 del 7 settembre 2022). La presenza di un legittimo motivo di licenziamento (i.e., oggettivo o disciplinare) esclude tendenzialmente ogni carattere ritorsivo dello stesso (ex multis, Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 2414 del 27 gennaio 2022). L’onere della prova circa l’intento ritorsivo del datore di lavoro è posto in capo al lavoratore (ex multis, Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 11705 del 17 giugno 2020).

Ultimo aggiornamento : 20/02/2023
Il datore di lavoro può limitare la platea dei dipendenti interessati dal licenziamento collettivo solo a un determinato reparto o settore?

Nell’ambito dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la regola generale prevista dall’art. 5, comma 1, Legge n. 223/1991, prevede che l’individuazione dei lavoratori interessati dal licenziamento avvenga tenendo conto di tutto il complesso aziendale. Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai unanime, da ultimo ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 3511 del 6 febbraio 2023, in presenza di determinati presupposti, il datore di lavoro può restringere la platea dei lavoratori interessati dalla riduzione di personale anche soltanto a quelli addetti ad un determinato reparto, settore o sede dell’azienda.

In particolare, secondo la Cassazione, le esigenze che possono giustificare suddetto restringimento devono essere coerenti con quanto indicato dal datore di lavoro nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo cui all’art.4, comma 3, della Legge n. 223/1991 consentendo alle organizzazioni sindacali di verificare che:

  • l’esubero del personale sia realmente determinato dalle ragioni strettamente collegate alle unità, reparti o settori interessati, indicate dal datore di lavoro;
  • i lavoratori interessati dal licenziamento non svolgano mansioni fungibili con quelle dei dipendenti assegnati ad altri reparti o ad altre sedi aziendali non coinvolti nella riorganizzazione.
Ultimo aggiornamento : 09/02/2023
In che cosa consiste la c.d. “tutela reale”, e in che cosa si differenzia dalla c.d. “tutela obbligatoria”?

In caso di licenziamento illegittimo il legislatore ha approntato un sistema di tutele differenziato.

La tutela reale trova applicazione quando il datore di lavoro occupa alle sue dipendenze complessivamente più di 60 lavoratori nell’intero territorio nazionale, oppure se occupa, presso l’unità produttiva o nel territorio del Comune nel quale ha avuto luogo il licenziamento, più di 15 lavoratori o più di 5 se trattasi di imprenditori agricoli. L’applicazione della tutela reale, ex art. 18, commi 1 e 2 dello Statuto dei lavoratori, comporta che il giudice ordina al datore di lavoro «di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro», condannando il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.

La tutela obbligatoria viene invece applicata ai datori di lavoro che occupano fino a 15 dipendenti (fino a 5 se si tratta di imprenditori agricoli) nell’unità produttiva o nel territorio del Comune dove avviene il licenziamento e non più di 60 dipendenti nel territorio nazionale. In questo ambito, quando il licenziamento risulti intimato senza una giusta causa o un giustificato motivo, o in violazione delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7 della l. 300/1970, il datore di lavoro è tenuto a riassumere (e non a reintegrare) il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in alternativa, a risarcire il danno, la cui entità è predeterminata dalla legge tra un minimo di 2,5 mensilità e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2023
Quando un licenziamento si considera “collettivo”?

Il licenziamento si considera collettivo qualora un’impresa che occupi più di quindici dipendenti intenda, in una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2023
Quali sono le differenze tra licenziamento collettivo e licenziamento individuale plurimo?

Il licenziamento collettivo costituisce un istituto autonomo, che si distingue radicalmente dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in quanto l’operazione imprenditoriale di ridimensionamento della struttura aziendale deve rispettare specifiche caratteristiche relative alle dimensioni occupazionali dell’impresa (più di 15 dipendenti), al numero dei licenziamenti (almeno 5), all’arco temporale (120 giorni). In mancanza di tali requisiti i licenziamenti si considerano come licenziamenti individuali plurimi.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2023
Ai fini del computo dei 15 dipendenti si considera la singola unità produttiva o tutte le unità produttive anche se non interessate da alcun licenziamento?

Ai fini dell’applicazione della procedura di licenziamento collettivo di cui alla Legge 223/1991, il requisito dimensionale di almeno quindici dipendenti deve essere riferito all’azienda nel suo complesso e non alla singola unità produttiva. Tale principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 1965 del 23 gennaio 2023.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2023
Vi sono procedure da osservare nell’ipotesi di licenziamento collettivo?

La legge n. 223/1991 stabilisce la procedura da osservare prima di comunicare i licenziamenti ai dipendenti interessati.

In particolare, l’impresa deve fornire preventiva comunicazione scritta alle RSA o RSU e alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle RSA o RSU, la comunicazione va fatta alle sole associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione deve contenere: (i) i motivi che determinano l’eccedenza; (ii) i motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; (iii) il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato; (iv) i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; (v) le eventuali misure per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale; (vi) il metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva.

La procedura si compone di due fase: (i) sindacale e (ii) amministrativa. La fase sindacale deve essere esaurita entro 45 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione dell’impresa. Qualora nella prima fase non sia stato raggiunto l’accordo, la Regione (o il Ministero se gli esuberi riguardino unità produttive in diverse province o regione) convoca le parti per un ulteriore esame, anche formulando proposte per un accordo.  Questa seconda fase deve esaurirsi entro 30 giorni dall’invio della comunicazione con cui si comunica l’esito negativo della fase sindacale.

Una volta esaurita la procedura, tanto nel caso in cui sia stato raggiunto l’accordo quanto in mancanza di accordo, l’impresa può licenziare.

Da ultimo, si segnala che i termini sopra indicati si dimezzano qualora il numero dei lavoratori interessati dalle procedure di licenziamento collettivo sia inferiore a dieci.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2023
In caso di licenziamento individuale illegittimo, quali sono le caratteristiche peculiari del regime sanzionatorio, introdotto dal Jobs Act per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti?

Il D.Lgs. 23/2015 ha confermato il regime delle tutele differenziate introdotto dalla legge Fornero (Legge 92/2012), vale a dire: ​(i) la tutela reintegratoria «piena» (art. 2), nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale, senza distinzioni riferibili alla dimensione aziendale; ​(ii) la tutela reintegratoria «attenuata» (art. 3, c. 2) nelle ipotesi di licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore; ​(iii) la tutela indennitaria «forte» (art. 3, c. 1) in tutti i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e negli altri casi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa; ed infine (iv) la tutela indennitaria «attenuata» (art. 4) in caso di licenziamento illegittimo per vizi formali e procedurali

 

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono le principali differenze tra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo?

Il licenziamento per giusta causa e quello per giustificato motivo soggettivo rientrano nella categoria dei c.d. licenziamenti disciplinari ossia intimati per motivi connessi alla condotta del lavoratore, tali da provocare una lesione del vincolo fiduciario su cui si fonda il rapporto con il datore di lavoro. La giusta causa viene definita come un comportamento (anche extra-lavorativo) del lavoratore talmente grave da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto di lavoro. In tal caso, il datore di lavoro potrà recedere dal rapporto senza dare al lavoratore alcun preavviso (c.d. licenziamento in tronco). Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, può essere intimato al verificarsi di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, non così gravi da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. In tal caso il datore di lavoro è tenuto a dare il preavviso o a pagare al lavoratore la relativa indennità sostitutiva.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per licenziamento per giustificato motivo oggettivo (g.m.o.)?

Nel novero dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rientrano tutti quei licenziamenti legati a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Secondo la giurisprudenza, perché il licenziamento per g.m.o. possa considerarsi legittimo è necessario che: (i) le ragioni siano effettive e fondate su circostanze esistenti al momento del licenziamento; (ii) vi sia un nesso causale tra le ragioni apposte a fondamento del licenziamento e il licenziamento del lavoratore; (iii) la scelta del dipendente da licenziare sia avvenuta secondo criteri di correttezza e buona fede; (iv) sia verificata la l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni (c.d. repechage); (v) sia rispettato il preavviso o pagata la rispettiva indennità sostitutiva.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In quali ipotesi di risoluzione del rapporto il datore di lavoro è tenuto a concedere al lavoratore il preavviso o a riconoscergli la relativa indennità sostitutiva?

Il datore di lavoro è tenuto a concedere al lavoratore il preavviso (previsto dal CCNL applicato e variabile seconda dell’inquadramento del lavoratore e della sua anzianità di servizio) o a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva, in tutte le ipotesi di licenziamento, ad eccezione del licenziamento intimato per giusta causa. Il lavoratore ha, altresì, diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso in caso di dimissioni per giusta causa, ossia dovute ad un grave inadempimento del datore di lavoro tale da non permettere la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto (i.e., mancato o ritardato pagamento della retribuzione). L’indennità sostitutiva del preavviso è dovuta anche in caso di morte del lavoratore, al coniuge, ai figli e, se vivevano a suo carico, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come devono essere formalizzate le dimissioni dal rapporto di lavoro?

Le dimissioni devono essere formalizzate, a pena di inefficacia, con modalità telematica, tramite appositi modelli resi disponibili dal ministero del lavoro e trasmessi al datore di lavoro e all’ITL competente. Tale procedura non si applica nei seguenti casi: (i) dimissioni durante il periodo di prova; (ii) lavoro domestico; (iii) dimissioni rassegnate da genitori lavoratori (durante il periodo di gravidanza o nei primi tre anni di vita del figlio; in questo caso è prevista una specifica procedura di convalida dinanzi all’ITL); (iv) lavoro marittimo.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il lavoratore che ha rassegnato le proprie dimissioni può revocarle?

Il lavoratore che ha rassegnato le dimissioni può, entro 7 giorni dalla data di trasmissione del relativo modulo, revocare le dimissioni. In tal caso il rapporto di lavoro prosegue regolarmente.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In quali ipotesi di risoluzione del rapporto il dipendente può accedere all’indennità di Naspi?

Fermi i requisiti contributivi richiesti, la Naspi è riconosciuta:

  • ai lavoratori che hanno perso involontariamente la propria occupazione. Il Ministero del Lavoro ha precisato che rientra nell’ipotesi di “disoccupazione involontaria” anche il licenziamento comminato all’esito di un procedimento disciplinare (Min. Lav., Interpello 13/2015);
  • ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa. In tal caso il lavoratore dovrà corredare la domanda con documentazione da cui risulti la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale;
  • nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della Legge n. 604/1966 (co. 2, art. 3, D.Lgs n. 22/2015);
  • nell’ipotesi di licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui all’art. 6 del D.Lgs. 23/2015. L’accettazione da parte del lavoratore, infatti, comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia alla sua impugnazione, ma non muta il titolo della risoluzione del rapporto di lavoro;
  • nei casi di risoluzione consensuale a seguito del rifiuto da parte del dipendente al trasferimento presso una sede lavorativa distante oltre 50 km dalla propria residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi pubblici;
  • in caso di dimissioni avvenute durante il periodo tutelato di maternità.

Patto di non concorrenza

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per patto di non concorrenza e quali sono i suoi requisiti?

Il patto di non concorrenza può essere stipulato, se le parti sono d’accordo, prima, durante o dopo la firma del contratto di lavoro. Con esso le parti concordano che successivamente alla cessazione del rapporto il lavoratore sarà obbligato a non svolgere attività in proprio o alle dipendenze di altri, in concorrenza con il precedente datore di lavoro. A pena di nullità, il patto di non concorrenza deve: (i) essere stipulato in forma scritta; (ii) stabilire un vincolo contenuto entro determinati limiti di oggetto, luogo e tempo; (iii) prevedere un corrispettivo a favore del lavoratore.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Per quanto tempo può essere previsto il vincolo di non concorrenza?

Il limite temporale massimo di durata di un patto di non concorrenza è di tre anni (cinque per i dirigenti), che decorrono dal primo giorno successivo alla cessazione dell’attività lavorativa. L’eventuale durata maggiore convenuta non determina nullità dell’intero accordo ma l’applicazione automaticamente del termine legale di tre anni (cinque per i dirigenti).

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come si determina il corrispettivo da assegnare al lavoratore?

La legge non stabilisce né la forma del corrispettivo né le modalità di erogazione; esso, tuttavia, secondo i canoni elaborati dalla giurisprudenza, deve essere congruo, cioè proporzionato all’obbligo imposto al lavoratore. Sono, pertanto, nulli i patti che prevedano compensi simbolici o sproporzionati (al ribasso) rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore. Il compenso, per essere congruo, deve essere determinato in connessione con gli altri elementi e deve essere tanto maggiore quanto più è: (i) elevata la posizione gerarchica del lavoratore e la retribuzione; (ii) ampio il vincolo territoriale; (iii) ampio il novero delle attività e/o dei datori individuati come concorrenti;(iv) estesa la durata. Nessun compenso, per quanto cospicuo, può rendere valida la rinuncia a ogni possibilità d’impiego.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il datore di lavoro può, unilateralmente, recedere dal patto di non concorrenza o abbreviarne la durata?

Il patto di non concorrenza può essere sciolto solo con il consenso di entrambe le parti. E’ nulla la clausola che affida la possibilità di risoluzione del patto stesso unicamente al datore di lavoro, alla data della cessazione del rapporto o per il periodo successivo. Non è possibile, infatti, attribuire al datore il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l’attribuzione patrimoniale pattuita, a nulla rilevando che il recesso unilaterale dal patto avvenga in costanza di rapporto di lavoro laddove i rispettivi obblighi delle parti si cristallizzano al momento della sottoscrizione del patto.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa succede se il lavoratore viola il patto di non concorrenza?

La violazione del patto di non concorrenza – quale contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive – costituisce inadempimento contrattuale e legittima le richieste di adempimento o di risoluzione del contratto e/o di risarcimento del danno per responsabilità contrattuale. Inoltre, è possibile prevedere all’interno del patto di non concorrenza una penale specifica per l’inadempimento. Il diritto del datore di lavoro a pretendere la penale (e il corrispettivo già erogato) non è condizionato alla prova di aver subito un danno. Il giudice può ridurre la penale ritenuta eccessiva.

Lavoro agile

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Per ricorrere al lavoro agile (c.d. Smart working) è necessario stipulare un accordo?

La stipulazione di un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore è un requisito indispensabile per il ricorso allo svolgimento dell’attività in regime “agile”. L’accordo, che può essere a termine o a tempo indeterminato, serve a disciplinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali. A causa dell’emergenza sanitaria da COVID-19 la modalità di lavoro agile può essere applicata dai datori di lavoro, nel rispetto della normativa vigente, anche in assenza degli accordi individuali; i datori di lavoro infatti possono limitarsi a comunicare al Ministero del Lavoro, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile senza depositare gli accordi.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Entro quanto tempo deve essere effettuata la comunicazione telematica di avvio al lavoro agile (o smart working) “emergenziale”?

La comunicazione telematica per avviare il lavoro agile (o smart working) secondo la modalità semplificata prevista a fronte dell’emergenza epidemiologica – e utilizzabile sino al 31 dicembre 2021 – deve essere effettuata entro il giorno antecedente a quello di inizio della prestazione lavorativa in modalità agile. La mancata comunicazione è soggetta ad una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro per ogni lavoratore. Dal 1° gennaio 2022 la comunicazione (con il deposito dei relativi accordi) dovrà avvenire entro 5 giorni dall’inizio dell’attività in modalità agile.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i poteri del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che svolgono la prestazione in regime di lavoro agile (o smart working)?

Il lavoro agile (o smart working) valorizza maggiormente il risultato della prestazione rispetto ai tempi, al luogo e alle specifiche modalità di svolgimento della stessa; esso comporta pertanto inevitabilmente una rilettura di alcune prerogative datoriali. Tra queste rientrano sia il potere di controllo che il potere disciplinare del datore di lavoro. In particolare, il datore di lavoro può esercitare il potere di controllo sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto dei limiti generali imposti dall’art. 4 della L. 300/70. Il datore di lavoro può, altresì, esercitare il proprio potere disciplinare (con la conseguente applicazione delle sanzioni) relativamente alle condotte connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, espressamente individuate nell’accordo.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
In cosa consiste il diritto alla disconnessione del lavoratore agile?

Il diritto alla disconnessione, ai sensi della Legge n. 61 di conversione del Decreto Legge 30/2021, è il diritto dei lavoratori a disconnettersi dai dispositivi tecnologici e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. Tale diritto è necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute dei lavoratori.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il lavoratore a cui non è consentito esercitare il diritto alla disconnessione a quale rischio è esposto?

Il lavoratore a cui non è consentito esercitare il diritto alla disconnessione è esposto al rischio di tecnostress, ovverosia la sindrome che colpisce l’individuo che deve gestire forme di conoscenze complesse e il flusso informativo offerto dalle nuove tecnologie. Nel 2007 il tecnostress è stato riconosciuto come malattia professionale a seguito di una sentenza emessa dalla Procura del Tribunale del Torino. Esso è proprio tra i rischi emergenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro in conseguenza della digital trasformation, quale tipologia specifica di stress lavoro-correlato.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
La parte che ha intenzione di recedere da un accordo di smart working è tenuto a dare un preavviso all’altra parte?

In caso di accordo a tempo indeterminato, le parti possono recedere dando un preavviso non inferiore a 30 giorni. Nel caso di lavoratori disabili il termine di preavviso da pare del datore di lavoro deve essere pari o superiore a 90 giorni, al fine di consentire loro un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura. In caso di accordo a termine il recesso è ammesso allo spirare del termine medesimo. Si può recedere prima della scadenza o senza preavviso solo in presenza di un giustificato motivo. In ogni caso, a seguito di recesso dall’accordo l’attività lavorativa continua a svolgersi secondo le modalità ordinarie.

Welfare aziendale

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende con l’espressione “Welfare aziendale”?

Con l’espressione “Welfare aziendale” si intende una serie di beni/servizi che un’azienda offre ai propri dipendenti al fine di soddisfare alcuni bisogni/necessità di carattere extra lavorativo. Ciò avviene sulla base di uno specifico accordo con le rappresentanze sindacali, con agevolazioni fiscali entro certi limiti di spesa per l’azienda, ovvero di una scelta unilaterale della stessa. Entro determinati limiti di spesa, i beni/i servizi erogati sono detassati per i lavoratori dipendenti, perché rientrano tra le voci che non concorrono a formare reddito imponibile in quanto finalizzati a soddisfare esigenze e interessi meritevoli di tutela, come il miglioramento delle condizioni di vita loro ovvero dei loro nuclei familiari (sul punto cfr. art. 51, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TIUR).

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i beni/i servizi che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente?

A titolo esemplificativo, ai sensi dell’articolo 51, comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TIUR, non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente:

  • i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20;
  • le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi; le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica; le indennità sostitutive delle somministrazioni di vitto corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione fino all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29;
  • le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici;
  • le somme erogate o rimborsate alla generalità o a categorie di dipendenti dal datore di lavoro o le spese da quest’ultimo direttamente sostenute, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei familiari;
  • l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari;
  • le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari;
  • le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti;
  • i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie;
  • il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a lire 4 milioni (Euro 2.000,00), a condizione che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione; qualora le azioni siano cedute prima del predetto termine, l’importo che non ha concorso a formare il reddito al momento dell’acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione.
Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa succede se il dipendente non fruisce per intero della somma destinata dal piano welfare?

Qualora un lavoratore destinatario di un piano welfare non utilizzi per intero il credito riconosciutogli entro i termini di scadenza indicati, potrebbero verificarsi tre diverse ipotesi. Nello specifico, potrebbe accadere che: (i) il valore del bonus venga azzerato e il lavoratore costretto a rinunciare alla differenza di cui non ha usufruito; (ii) il valore non utilizzato venga trasferito all’annualità successiva oppure (iii) venga destinato ad azioni di aiuto generiche. In ogni caso, il regolamento che disciplina il piano di welfare aziendale deve indicare in maniera chiara, specifica e precisa l’ipotesi opzionata.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa deve intendersi per “categoria di dipendenti” ai fini della predisposizione di un piano di welfare aziendale?

L’Agenzia delle Entrate, da ultimo, con la Risoluzione n. 55/E/2020, del 25 settembre 2020, ha ribadito che l’espressione “categorie di dipendenti” è da intendersi in senso ampio e non limitato alle categorie previste dal codice civile. Sono considerate “categorie”, ad esempio, i dipendenti che hanno maturato un determinato “livello”, un determinato “inquadramento” o una certa “anzianità di servizio”.

Invenzioni

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
A chi spettano i diritti derivanti dalle invenzioni effettuate dal lavoratore nell’esecuzione del rapporto di lavoro?

Se l’attività inventiva rientra nell’oggetto del contratto o del rapporto ed è a tal scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione spettano al datore di lavoro, mentre, il lavoratore ha diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione. Se, invece, l’attività inventiva non rientra nell’oggetto del rapporto di lavoro o non è previsto un compenso per l’attività inventiva, i diritti derivanti dall’invenzione spettano comunque al datore di lavoro, ma, il lavoratore avrà diritto a: (i) essere riconosciuto autore dell’invenzione; (ii) ricevere un “equo premio” se il datore di lavoro ottiene il brevetto o utilizza l’invenzione in regime di segretezza industriale.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali diritti il datore di lavoro ha sulle invenzioni effettuate dal lavoratore al di fuori dello svolgimento del rapporto di lavoro?

Quando l’invenzione avviene al di fuori dell’attività lavorativa, ma rientra nel campo di attività del datore di lavoro, a quest’ultimo dovrà essere garantito: (i) un diritto di opzione per l’uso esclusivo o meno, dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto; (ii) la facoltà di chiedere o acquisire, per la stessa invenzione, brevetti all‘estero verso corresponsione del canone o del prezzo.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come deve essere calcolato l’”equo premio” dovuto al lavoratore?

L’equo premio va parametrato in base al: (i) l’importanza dell’invenzione; (ii) le mansioni del lavoratore; (iii) la retribuzione percepita da quest’ultimo; (iv) contributo che il lavoratore ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro ai fini dell’invenzione (C. Cass., 20 gennaio 2020, n. 1111).

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Come sono disciplinate le invenzioni nei rapporti di lavoro autonomo?

Salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
A chi spetta la competenza giurisdizionale a decidere sull’equo premio, sul canone e sul suo prezzo?

Il giudice ordinario è competente a decidere sull’ an debeatur (ossia sulla sussistenza) del diritto all’equo premio, al canone o al prezzo. Il quantum debeatur (ossia la quantificazione dell’equo premio, del canone o del prezzo) è stabilito da un collegio composto da tre arbitri, nominati uno da ogni parte e il terzo dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale del luogo dove il lavoratore esercita abitualmente la propria attività. Il collegio procede con equo apprezzamento. Se la determinazione è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice.

Appalto

Ultimo aggiornamento : 21/02/2023
Qual è il termine entro il quale i dipendenti degli appaltatori possono avanzare pretese creditorie nei confronti delle società committenti?

Il regime della responsabilità solidale negli appalti è disciplinato dall’art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003 in base al quale i committenti, per un periodo di due anni dalla cessazione dell’appalto, restano obbligati in solido per le retribuzioni, le quote di TFR nonché per i contributi previdenziali ed i premi assicurativi, restando escluse le sole sanzioni civili.

Ultimo aggiornamento : 21/02/2023
Qual è il termine entro il quale l’INPS può agire per il recupero contributivo nei confronti di committenti per i dipendenti impiegati nell’appalto?

Secondo un orientamento giurisprudenziale che si è sviluppato negli ultimi anni (cfr. da ultimo Corte di Cassazione, ordinanza n. 38151 del 30 dicembre 2022) – contrariamente a quanto precedentemente indicato da INPS e il Ministero del Lavoro rispettivamente con circolare n. 5/2011 e messaggio n. 3523/2012 – l’azione di recupero contributivo spettante all’INPS nei confronti del committente non è soggetta al termine di decadenza biennale di cui all’art. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2003, ma al termine di prescrizione ordinaria per il mancato pagamento dei contributi.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i requisiti di un appalto “genuino”?

Negli anni, la giurisprudenza ha individuato una serie di indici rilevatori utili a identificare la genuinità di un appalto. In particolare, l’appalto può ritenersi “genuino”, quando l’appaltatore è un imprenditore che:

  • impiega una propria organizzazione di mezzi;
  • assume su di sé i rischi della realizzazione dell’opera o del servizio pattuito con il committente;
  • è in possesso di un comprovato livello di specializzazione e professionalità.

Il requisito dell’organizzazione dei mezzi può risultare (specialmente negli appalti in cui l’apporto di attrezzature e macchinari è marginale rispetto a quello delle prestazioni di lavoro) anche dall’effettivo esercizio dei poteri organizzativi e direttivi dell’appaltatore sui lavoratori impiegati nell’appalto.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per responsabilità solidale nei contratti di appalto?

Nei contratti di appalto opera un regime di responsabilità solidale tra committente ed appaltatore nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto. In virtù di tale regime, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto (TFR), nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, con esclusione invece di qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il lavoratore può agire nei confronti del committente per ottenere quanto dovutogli in esecuzione dell’appalto decorsi due anni dalla cessazione dell’appalto?

Il lavoratore può agire nei confronti del committente per ottenere quanto dovutogli nell’ambito dell’appalto decorsi due anni dalla sua cessazione, nei limiti del debito residuo del committente verso l’appaltatore, in relazione al contratto.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quando e come il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro in capo al committente?

Nel caso in cui l’appalto non rispetti i requisiti di genuinità sopra individuati, il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente. Ciò deve avvenire tramite atto scritto, idoneo a rendere nota la propria volontà al committente, da recapitarsi al più tardi entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto (inteso come cessazione dell’attività resa in favore dell’appaltatore). Tale atto, perde efficacia, se non è seguito nei successivi 180 giorni del deposito di apposito ricorso dinanzi Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, o dalla richiesta a controparte di tentativo di conciliazione o arbitrato.

Collocamento obbligatorio

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Cosa si intende per collocamento obbligatorio?

Il datore di lavoro, in linea generale, può scegliere liberamente i lavoratori da assumere, ma ha l’obbligo di comunicarlo alle strutture preposte. Le aziende con determinate caratteristiche sono obbligate ad assumere una percentuale di lavoratori che a causa delle loro condizioni fisiche non troverebbero facilmente lavoro e che, pertanto, sono meritevoli di una particolare tutela (c.d. quote di riserva). L’obbligo di assunzione riguarda i disabili (un regime particolare è previsto a favore dei lavoratori non vedenti) ed i soggetti appartenenti alle c.d. categorie protette (ad esempio: familiari dei caduti sul lavoro, vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e del dovere e loro familiari).

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono i datori di lavoro sui quali ricade l’obbligo di assunzione?

I datori di lavoro che occupano almeno 15 dipendenti sono obbligati ad assumere un numero di soggetti disabili che varia in base al numero dei lavoratori validi occupati e computabili (si fa riferimento al numero complessivo dei lavoratori occupati in azienda e non alla singola unità produttiva). In particolare, i datori di lavoro che occupano (i) da 15 a 35 lavoratori, sono tenuti ad occupare 1 lavoratore disabile, (ii) da 36 a 50 dipendenti, sono tenuti ad occupare 2 lavoratori disabili, (iii) più di 50 dipendenti sono tenuti ad occupare lavoratori disabili nella percentuale del 7% dei lavoratori occupati.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono gli adempimenti che deve effettuare il datore di lavoro obbligato ad assumere disabili e/o appartenenti a categorie protette?

Al superamento della soglia occupazionale prevista dalla legge, il datore di lavoro deve adempiere all’obbligo di assunzione. In particolare, entro i 60 giorni successivi a quello in cui è raggiunta la soglia occupazionale che fa scattare l’obbligo, il datore di lavoro deve presentare domanda di assunzione obbligatoria agli uffici competenti. La domanda di avviamento al lavoro si intende presentata anche attraverso l’invio del prospetto informativo annuale agli uffici competenti, oppure attraverso la richiesta di stipula di una convenzione.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Il datore di lavoro può essere esonerato dall’obbligo di assunzione?

Quando l’attività aziendale risulta faticosa, pericolosa (anche per le condizioni o modalità di svolgimento) o non è possibile adibire i disabili a mansioni compatibili con le loro condizioni e capacità lavorative, il datore di lavoro con più di 35 dipendenti può chiedere il parziale esonero dall’obbligo di assunzione. La prova della sussistenza delle condizioni descritte è a carico del datore di lavoro e la misura percentuale massima di esonero è determinata nel 60% della quota di riserva.

Ultimo aggiornamento : 09/02/2022
Quali sono le sanzioni in caso di violazione dell’obbligo di assunzione?

Se l’azienda non adempie agli obblighi previsti o rifiuta l’assunzione del lavoratore: (i) gli uffici competenti trasmettono gli atti all’ITL ai fini dell’accertamento e dell’eventuale irrogazione delle sanzioni; (ii) il lavoratore può chiedere solo il risarcimento del danno, non essendo ipotizzabile la costituzione automatica e forzosa del rapporto di lavoro. Poiché l’obbligo di assumere il soggetto avviato dagli uffici competenti non è assoluto, esso viene meno ed il rifiuto dell’assunzione è da ritenersi giustificato se il datore di lavoro dimostra l’impossibilità di un utile collocamento dell’invalido nella struttura operativa complessiva dell’impresa. Il datore di lavoro inadempiente all’obbligo di assunzione del lavoratore avviato numericamente è tenuto a risarcire l’intero pregiudizio patrimoniale subìto dal lavoratore durante tutto il periodo in cui si è protratta l’inadempienza. Tale pregiudizio può essere in concreto determinato, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, sulla base del complesso delle utilità che il lavoratore avrebbe potuto conseguire ove tempestivamente assunto.

I contenuti della presente Sezione non costituiscono un parere tecnico e/o legale o altro tipo di consulenza professionale.
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