La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17248 del 2 luglio 2018, ha affrontato la questione della tutela del lavoratore in presenza di una serie di contratti a tempo determinato. In particolare, secondo la Suprema Corte l’indennità compresa nel range tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto di cui all’art. 32, comma 5, della Legge 183/2000 (oggi abrogato), da riconoscersi al lavoratore a seguito della conversione del rapporto a tempo indeterminato, deve necessariamente tenere conto dei pregiudizi, retributivi e contributivi, subiti dallo stesso nel periodo compreso tra la scadenza del contratto e la sentenza di ricostituzione del rapporto. A parere della Corte, l’indennità in questione, invece, non può ritenersi applicabile ai periodi di effettiva prestazione lavorativa durante i quali il lavoratore non può aver subito conseguenze negative né sul piano salariale né su quello contributivo. Secondo la Corte di Cassazione, con riferimento a questi periodi non opera il principio di omnicomprensività dell’indennità ex art. 32 della Legge 183/2000 ed il lavoratore ha diritto alla computazione degli stessi ai fini dell’anzianità di servizio e della maturazione dei relativi scatti di anzianità. In altri termini detto diritto non può essere intaccato ed inglobato nell’indennizzo forfettizzato del danno causato dal non lavoro.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17514 del 4 luglio 2018, ha ritenuto giustificato il licenziamento disciplinare intimato all’autista di pullman di un’impresa di noleggio privato che, durante un lungo periodo di assenza dal lavoro per infortunio in itinere, era stato scoperto mentre lavorava presso un parcheggio di autovetture. In pari data, il 4 luglio 2018, la Corte di Cassazione ha emesso un’altra ordinanza, la n. 17424, in cui ha invece affermato che è illegittimo il licenziamento comminato ad un dipendente inabile al lavoro per una gastroenterite, il quale, nel periodo di assenza, aveva svolto in proprio un’attività di tinteggiatura di esterni. Le predette conclusioni, apparentemente opposte, trovano in realtà il loro punto di incontro nel principio in base al quale lo svolgimento di altra attività lavorativa durante l’assenza dal lavoro per malattia non è automaticamente riconducibile ad un illecito disciplinare. Ciò in quanto è necessario verificare se tale attività risulti incompatibile con la condizione di morbilità o sia idonea ad impedire o ritardare la guarigione. Proprio alla luce di quanto sopra, la Corte, nella sentenza n. 17514, ha ritenuto che le azioni compiute dal lavoratore “apparivano ictu oculi incompatibili con la denuncia di infermità o comunque sicuramente idonei a ritardare se non a compromettere il recupero della forma fisica e delle energie necessarie”. Al contrario, con ordinanza n. 17424, la Corte ha accertato che “lo svolgimento dell’attività (extra) lavorativa durante la malattia non fosse incompatibile con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa, né determinasse un pregiudizio al normale recupero delle normali energie psico-fisiche”.