Dopo una lunga attesa e diversi rinvii, lo scorso 25 marzo 2023 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2023 il Decreto legislativo n. 24 del 10 marzo 2023 (il “Decreto”), con il quale il legislatore italiano ha recepito la Direttiva (UE) 2019/1937 “riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali” (anche nota come “Direttiva Whistleblowing”. Di seguito, per brevità, Direttiva).  

Cosa si deve intendere con il termine “segnalante” o “whistleblower”? 

Con il termine “segnalante” o “whistleblower” – la cui traduzione dalla lingua inglese è letteralmente “soffiatore di fischietto” – si intende colui che, nell’interesse generale, segnala un illecito di cui è venuto a conoscenza in un contesto di lavoro.  

Vale sin da subito la pena chiarire che non costituiscono oggetto di segnalazione, e quindi rimangono escluse dall’ambito di applicazione della normativa, le contestazioni di carattere personale che attengono esclusivamente ai rapporti individuali di lavoro, la protezione del segreto professionale forense e medico e delle deliberazioni degli organi giudiziari. 

Le misure di protezione per i segnalanti sono destinate non solo ai dipendenti in forza ed ai collaboratori ma anche agli apprendisti; ai lavoratori autonomi; ai liberi professionisti e ai consulenti; ai volontari ed ai tirocinanti (anche non retribuiti); agli azionisti; a coloro che esercitano funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza (anche se esercitate in via di mero fatto) e a tutti i soggetti che lavorano sotto la supervisione e direzione di appaltatori, sub-appaltatori e fornitori.  

La tutela dovrà, altresì, essere garantita anche quando il rapporto di lavoro non è stato, ancora, costituito – se le informazioni sono state acquisite durante il processo di selezione o comunque in fase precontrattuale – durante il periodo di prova o dopo lo scioglimento del rapporto, ove le informazioni sulle possibili violazioni siano state acquisite nel corso del rapporto.  

Le misure di protezione sono estese anche ai c.d. “facilitatori”, ossia a coloro che prestano assistenza al lavoratore nel processo di segnalazione; alle persone che operano nel medesimo contesto lavorativo dei segnalanti e che sono legati ad essi da uno stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado; ai colleghi di lavoro del segnalante che lavorano nello stesso contesto lavorativo e che hanno un rapporto abituale e corrente ovvero agli enti di proprietà e agli enti che operano nel medesimo contesto di tali soggetti.  

Chi sono i soggetti del settore privato obbligati ad applicare le nuove disposizioni e quando queste saranno efficaci? 

Le nuove disposizioni: 

  • si applicano ai soggetti del settore privato che nell’ultimo anno: 
  1. hanno impiegato la media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;  
  1. hanno adottato dei Modelli di organizzazione e gestione previsti dal D.lgs. 231/2001 (“MOG”) – anche se hanno impiegato meno di 50 lavoratori – oppure  
  1. operano nei settori regolamentati a livello europeo (es. settore dei mercati finanziari o del credito).  
  • saranno efficaci dal:  
  1. 15 luglio 2023 per i soggetti privati con 250 o più dipendenti;  
  1. 17 dicembre 2023 per le aziende che hanno impiegato una media di lavoratori subordinati fino a 249, nonché per quelle che hanno adottato il modello di organizzazione e gestione previsto dal decreto legislativo 231. 

Come possono essere effettuate le segnalazioni? 

Le segnalazioni possono essere effettuate attraverso canali di: 

  • segnalazione interna. Dopo aver sentito le organizzazioni sindacali, i soggetti del settore privato devono predisporre canali interni di segnalazione in grado di garantire il massimo livello di riservatezza (i) dell’identità della persona segnalante (ii) della persona coinvolta e menzionata nella segnalazione nonché (iii) del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione. Coloro che nell’ultimo anno hanno impiegato una media di lavoratori subordinati non superiore a 249 possono condividere il canale di segnalazione interna. Le segnalazioni interne possono essere effettuate in forma scritta ovvero in forma orale (attraverso linee telefoniche o messaggi vocali) ovvero, su richiesta, attraverso un incontro diretto. 
  • segnalazione esterna. Il compito di predisporre e gestire il canale di segnalazione esterno è affidato all’Autorità Nazionale Anticorruzione (“ANAC”) che, entro tre mesi dall’entrata in vigore del Decreto dovrà adottare delle specifiche linee guida ma ha già reso disponibile il canale sul proprio sito istituzionale. È previsto il ricorso ad un canale di segnalazione esterna se (i) nel contesto lavorativo del segnalante non è previsto l’obbligo di attivazione di un canale interno, oppure vi è l’obbligo ma il canale non è attivo o, se attivo, non è conforme; (ii) il segnalante ha già presentato una segnalazione attraverso un canale interno ma la segnalazione non ha avuto seguito; (iii) il segnalante ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione attraverso il canale interno non sarà efficace o potrà determinare il rischio di ritorsione ovvero (iv) in caso di pericolo imminente o palese per l’interesse pubblico. 
  • divulgazioni pubbliche effettuabili tramite stampa o mezzi elettronici o di diffusione in grado di raggiungere un numero elevato di persone. 

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Lo scorso 4 maggio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 48/2023 (cd. “Decreto Lavoro”) recante “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro”.

Il Decreto ha introdotto importanti novità in materia di diritto del lavoro, previdenza e assistenza sociale, con effetto dal 5 maggio 2023.

Tra le principali novità introdotte in materia di diritto del lavoro vi è la modifica della disciplina delle causali dei contratti di lavoro a tempo determinato, con un rafforzamento del ruolo della contrattazione collettiva.

In particolare, l’individuazione delle condizioni che legittimano l’apposizione al contratto di un termine superiore a 12 mesi e non eccedente i 24, la proroga oltre i 12 mesi o il rinnovo di un contratto a termine, viene rimessa esclusivamente ai casi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale o, in assenza di suddette previsioni e fino al 30 aprile 2024, alle parti individuali, per esigenze di natura tecnica organizzativa e produttiva.

Il Decreto introduce inoltre una semplificazione delle modalità con cui il datore di lavoro è chiamato ad adempiere agli obblighi informativi introdotti dal “Decreto Trasparenza”.

A differenza del passato, alcune delle informazioni che il datore di lavoro era tenuto a dettagliare all’interno del contratto di lavoro o in un’apposita informativa (durata periodo di prova, formazione, ferie e congedi retribuiti, preavviso di licenziamento e dimissioni, elementi retributivi, orario di lavoro, lavoro straordinario, enti previdenziali e assicurativi) potranno essere ora fornite ai lavoratori indicando semplicemente il riferimento normativo o della contrattazione collettiva, anche aziendale, applicata al rapporto di lavoro.  

Ai fini della semplificazione, e al fine di garantire uniformità alle comunicazioni fornite dal datore di lavoro, quest’ultimo sarà tenuto a consegnare o a mettere a disposizione del personale, anche mediante pubblicazione sul sito web, i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, nonché gli eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro. 

Un ulteriore semplificazione viene inoltre prevista anche mediante la restrizione dell’ambito di applicazione degli obblighi informativi previsti in capo al datore di lavoro in caso di utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati.

Ulteriori misure introdotte dal Decreto riguardano:

  • la modifica alla disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento agli obblighi di nomina e agli oneri a cui deve assolvere il medico competente per il rilascio del parere di idoneità, oltre all’introduzione di ulteriori obblighi formativi in capo al datore di lavoro in caso di utilizzo di attrezzature che richiedano conoscenze particolari;
  • la possibilità per le imprese con più di 1000 dipendenti che abbiamo sottoscritto contratti di espansione di gruppo entro il 31 dicembre 2022 e che non siano ancora conclusi, di stipulare un accordo integrativo in sede ministeriale fino al 31 dicembre 2023;
  • la possibilità di richiedere un ulteriore periodo di CIGS, fino al 31 dicembre 2023, in deroga ai limiti di durata massima, per le imprese che, nel 2022, abbiano attivato piano di riorganizzazione e ristrutturazione e che, per la prolungata indisponibilità dei locali aziendali, non siano riuscite a completarli.

Il Decreto ha previsto inoltre una serie di misure in materia di previdenza e assistenza sociale, volte soprattutto a sostenere l’occupazione giovanile, a favorire l’inserimento stabile nel mercato del lavoro dei beneficiari dell’Assegno per l’inclusione e a ridurre il cuneo fiscale.

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Come ormai noto, lo scorso 23 febbraio 2023 si è appreso che la Commissione Europea ha richiesto a tutti i dipendenti e collaboratori dell’Istituzione di disinstallare l’applicazione del social network TikTok dai propri dispositivi elettronici, sia aziendali che personali. Tale richiesta è stata accompagnata dall’avviso che, per coloro che non avessero provveduto a disinstallare il social network entro il successivo 15 marzo, non sarebbe stato più possibile accedere ad altre applicazioni aziendali quali la casella di posta elettronica o i servizi Skype.
La decisione assunta dall’Istituzione europea deriva da una esigenza di protezione dei dati e delle informazioni di quanti lavorano per essa nonché dalla necessità di aumentare la sicurezza informatica.

In Italia un datore di lavoro del settore privato potrebbe adottare la stessa decisione?
Nel tentativo di fornire una risposta a tale complesso quesito, occorre anzitutto distinguere tra dispositivi aziendali e dispositivi personali. Se forniti dal datore di lavoro, gli strumenti elettronici, tra i quali rientra il telefono cellulare, costituiscono dotazioni aziendali e, in quanto tali, il datore di lavoro ha la possibilità di adottare su di essi un certo “controllo”.

Tramite, infatti, l’individuazione e l’adozione di politiche interne atte a definire regole per un corretto utilizzo degli strumenti di lavoro di cui sono dotati i suoi dipendenti, il datore di lavoro ha la possibilità di introdurre regole finalizzate a impedire un utilizzo improprio dello strumento assegnato, vietarne un impiego per fini personali piuttosto che inibire la possibilità di installare sul dispositivo applicazioni non connesse all’attività lavorativa.

In caso di assegnazione di strumenti aziendali è dunque altamente raccomandabile adottare politiche e regolamenti interni che disciplinino il corretto uso che gli assegnatari possono farne: tali aspetti, infatti, hanno delle conseguenze trasversali su diversi profili connessi alla gestione del rapporto di lavoro – basti pensare, ad esempio, ai temi in materia (i) di diritto del lavoro che ricomprendono anche aspetti inerenti alle sanzioni disciplinari adottabili in caso di violazione delle regole aziendali nonché di corretto esercizio del potere di controllo esercitabile dal datore di lavoro, (ii) di protezione dei dati personali, tanto dei lavoratori stessi quanto dei dati che trattano in ragione delle loro mansioni nonché (iii) di salute e sicurezza e dei rischi ai quali potrebbero essere esposti i lavoratori che ne fanno uso.

Diverse, invece, sono le conclusioni alle quali si può giungere in tema di dispositivi personali. Trattandosi, infatti, di strumenti propri del lavoratore il datore di lavoro può limitare, o anche eventualmente escludere, l’utilizzo dei telefoni cellulari personali durante la giornata lavorativa senza però entrare nel merito di ciò che sia possibile o non sia possibile installare sugli stessi.

Alle complesse tematiche di cui sopra, si aggiunge, da ultimo che l’uso di strumenti elettronici, siano essi personali o aziendali, espone il patrimonio aziendale al rischio di perdite accidentali, furti e diffusioni. Pertanto, i datori di lavoro devono avere cura di adottare tutte le misure idonee ad assicurare livelli di sicurezza sufficientemente elevati nel pieno rispetto di tutte le normative applicabili in tali circostanze.

In ragione delle valutazioni sin qui esposte, che in ogni caso meriterebbero di essere ulteriormente approfondite, non appare possibile per un datore di lavoro italiano intervenire direttamente sui dispostivi elettronici personali dei propri dipendenti al pari di quanto fatto dalla Commissione Europea. Tuttavia, definire, adottare e aggiornare nel tempo politiche che regolamentino l’uso degli strumenti di lavoro ovvero l’uso dei dispositivi personali – durante, ad esempio, i tempi di riposo nell’arco della giornata lavorativa – appare una misura fondamentale che le aziende dovrebbero considerare nella più ampia definizione del piano strategico di tutela tanto del patrimonio aziendale quanto dei soggetti che compongono l’organizzazione di riferimento.

Il Tar del Lazio, con la sentenza n. 15644 del 23.11.22, ha chiarito, tra le altre, che il datore di lavoro è il solo soggetto titolare della facoltà di installare impianti audio visivi dai quali possa derivare la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Il caso in esame nasceva a seguito della richiesta di una società operante nel settore del trasporto per conto terzi che, secondo quanto previsto dal contratto
di appalto sottoscritto, avrebbe dovuto installare sui propri mezzi degli impianti di videoregistrazione, mantenendo la disponibilità delle immagini in capo alla committente. I sistemi così concepiti, si legge nella pronuncia, avrebbero fatto capo a soggetti diversi dal datore di lavoro, disattendendo quanto previsto dalla disciplina applicabile in materia. Ciò in quanto le ragioni giustificatrici dell’installazione della
strumentazione necessaria al raggiungimento di tali finalità, ed addotte dall’art. 4 l. 300/70 (lo “Statuto dei Lavoratori”), ossia (i) la tutela del patrimonio aziendale, (ii) la finalità di sicurezza ed incolumità del personale nonché (iii) il corretto adempimento di procedure organizzative e produttive, possono essere riconducibili, ricorda il Tribunale adito, esclusivamente al datore di lavoro.

Con il comunicato stampa del 28 novembre u.s., il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha reso noto il decreto ministeriale del 20 ottobre 2022 con il quale vengono definiti criteri e modalità di concessione dell’esonero contributivo per i datori di lavoro privati che conseguano la certificazione della parità di genere introdotta nel nostro ordinamento dalla Legge n. 162/2021.  

Si tratta di una certificazione volontaria che le aziende più virtuose possono richiedere e il cui ottenimento porta con sé una serie di agevolazioni tra cui: sgravi contributivi in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di € 50.000,00 / anno per ciascuna azienda; criteri di vantaggio in caso di gare d’appalto; possibilità di accedere a un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti. 

Al fine di ottenere l’esonero contributivo, il decreto stabilisce che le aziende in possesso della certificazione potranno inoltrare, esclusivamente per via telematica, la domanda di esonero all’Inps, secondo le istruzioni che l’istituto provvederà a indicare.  

Tale domanda dovrà indicare una serie di informazioni tra cui (i) i dati identificativi dell’azienda (ii) la retribuzione media mensile e l’aliquota media stimata relative al periodo di validità della certificazione di parità (iii) la dichiarazione sostitutiva, rilasciata ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, con cui l’azienda dichiara di essere in possesso della certificazione di parità di genere (iv) il periodo di validità della certificazione.  

L’Inps verificherà le domande sulla base delle informazioni in suo possesso (e di quelle trasmesse dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio) e ammetterà l’azienda al beneficio per l’intero periodo di validità della certificazione. 

L’esonero, parametrato su base mensile, sarà fruito dai datori di lavoro mediante riduzione dei contributi previdenziali a loro carico per tutte le mensilità di validità della certificazione, a condizione che la certificazione non venga revocata e non intervengano provvedimenti di sospensione dei benefici contributivi adottati dall’Ispettorato nazionale del lavoro.  

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