Con l’ordinanza n. 24991 dell’11 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha statuito che la disciplina delle dimissioni telematiche e della relativa facoltà di revoca, prevista dall’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015, trova piena applicazione anche nell’ipotesi in cui le dimissioni e la successiva revoca intervengano durante il periodo di prova.

Il fatto affrontato e il giudizio di merito

La controversia trae origine da un rapporto di lavoro instaurato il 4 settembre 2019, per il quale era previsto un periodo di prova. Il giorno successivo all’assunzione, il 5 settembre 2019, il lavoratore rassegnava le proprie dimissioni, per poi revocarle in data 12 settembre 2019, nel rispetto del termine di sette giorni previsto dalla legge. La società datrice di lavoro, tuttavia, non riteneva efficace tale revoca.

Il lavoratore adiva quindi il Tribunale, che accoglieva il ricorso, dichiarando l’efficacia della revoca e condannando la società a riammettere in servizio il dipendente per il completamento del periodo di prova.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello, adita dalla società soccombente.

I giudici di merito hanno fondato la loro decisione sul tenore letterale dell’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015, che disciplina le dimissioni telematiche. Essi hanno osservato come la norma escluda espressamente la sua applicabilità solo a specifiche categorie di rapporti (lavoro domestico, rapporti con le pubbliche amministrazioni) o a particolari modalità di risoluzione (in sedi protette), senza menzionare il patto di prova. La Corte territoriale ha inoltre ritenuto irrilevante la Circolare del Ministero del Lavoro n. 12 del 2016, che suggeriva l’esclusione del periodo di prova dall’obbligo telematico, qualificandola come un atto interno all’amministrazione, privo di efficacia normativa e non vincolante per l’autorità giudiziaria, in quanto introduttiva di una deroga non prevista dalla fonte primaria. Avverso tale sentenza, la società ha proposto ricorso per cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso della società, confermando integralmente la decisione assunta dai giudici di merito e fornendo importanti chiarimenti sull’ambito di applicazione della procedura di dimissioni telematiche.

In primo luogo, la Suprema Corte ha affrontato la questione dell’applicabilità dell’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015 al recesso durante il periodo di prova. Ha ribadito che le eccezioni previste dai commi 7 e 8-bis della norma sono tassative e, in quanto tali, di stretta interpretazione. Poiché il patto di prova non è menzionato tra le ipotesi di esclusione, la disciplina generale, inclusa la facoltà di revoca entro sette giorni, deve considerarsi pienamente operante. La Corte ha altresì disatteso l’argomentazione della società ricorrente basata sulla Circolare ministeriale, sottolineando la natura non vincolante di tali atti per il giudice e specificando che, nel caso di specie, la circolare si era spinta oltre una mera interpretazione, tentando di modificare il dettato normativo.

Inoltre, i giudici di legittimità hanno evidenziato la differente ratio dei due istituti: il patto di prova mira a tutelare l’interesse comune di verifica del contratto, mentre l’art. 26 del D. Lgs. n. 151/2015 è volto a contrastare il fenomeno delle “dimissioni in bianco” e a garantire l’autenticità della volontà del lavoratore.

Queste finalità, secondo la Corte, non interferiscono tra loro, ma si muovono su piani distinti.

In secondo luogo, la Cassazione ha respinto il motivo di ricorso relativo alle conseguenze della revoca. La società sosteneva che, anche in caso di efficacia della revoca, al lavoratore sarebbe spettato solo un risarcimento del danno e non il ripristino del rapporto, data la libera recedibilità che caratterizza il periodo di prova ai sensi dell’art. 2096 c.c.

La Corte ha confutato tale tesi, evidenziando che la giurisprudenza che riconosce il solo risarcimento del danno si riferisce all’ipotesi di recesso illegittimo del datore di lavoro durante la prova. Nel caso in esame, invece, non si discute di un recesso datoriale, ma di un atto di dimissioni del lavoratore reso privo di effetti ex tunc da una successiva e valida revoca. La revoca, esercitata nei termini, elimina l’atto di dimissioni dal mondo giuridico, come se non fosse mai esistito. Di conseguenza, il rapporto di lavoro non si è mai interrotto. La condanna della società alla riammissione in servizio per il completamento della prova è stata quindi confermata dalla Cassazione, ferma ed impregiudicata la facoltà di entrambe le parti di recedere durante il periodo di prova, una volta che questa abbia avuto una durata sufficiente.