Sundar Pichai, ceo di Google, ha annunciato di recente che la compagnia intende integrare stabilmente il lavoro agile nelle proprie modalità di lavoro. Pur con un approccio ibrido al tema, che preveda ad esempio tre giorni in ufficio e due da remoto.

Dichiarazioni che mettono ben in evidenza l’interesse crescente catalizzato dal lavoro agile, strumento che molte aziende sono state costrette a sperimentare per la prima volta durante il lockdown e che oggi ha assunto le sembianze di una vera e propria rivoluzione. Trasformandosi in molti casi in una scelta strutturale grazie agli indubbi vantaggi, dalla miglior conciliazione di vita lavorativa e personale fino alla riduzione dello stress dovuto agli spostamenti per raggiungere l’ufficio.

UNA NUOVA NORMALITA’

Attualmente, secondo dati Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), il 54% dei dipendenti nelle grandi imprese lavora in tutto, o in parte, da remoto; inoltre, secondo un’analisi condotta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano e da Randstad Research, nei prossimi mesi il lavoro agile potrebbe interessare una platea tra i 3 e i 5 milioni di lavoratori. La strada dovrebbe essere quella tracciata dal ceo di Google: secondo un recente studio di Fondirigenti, si preferirà spezzare la settimana in due o alternare i giorni in presenza e quelli a distanza, così da non sacrificare rapporti sociali e interazione fisica con i colleghi. Secondo Vittorio De Luca, managing partner dello studio legale De Luca & Partners, specializzato in diritto del lavoro e Gdpr (General Data Protection Regulation), “in un futuro divenuto ormai prossimo, le politiche di lavoro agile si prestano a diventare sempre più una regola e non più solo un’eccezione”. A incentivarle negli ultimi mesi è stata anche la normativa: il Decreto Riaperture ha infatti esteso fino al prossimo 31 luglio la possibilità per i datori di lavoro di attivare lo strumento con un atto unilaterale, senza cioè dover sottoscrivere un accordo individuale. Termine che dovrebbe essere prolungato fino al 31 dicembre anche per il settore privato, che andrebbe così ad allinearsi a quanto già previsto per la pubblica amministrazione. “Tuttavia”, evidenzia De Luca, “al termine del periodo emergenziale sarà opportuno e necessario regolamentare puntualmente il rapporto tra le parti in causa, ossia i datori di lavoro da un lato e i lavoratori (smart workers) dall’altro”.

I NODI DA SCIOGLIERE

A introdurre nell’ordinamento italiano il lavoro agile è stata la legge 81 del 2017. Quest’ultimo, spiega De Luca, viene definito all’interno della normativa “come una nuova e flessibile modalità di organizzazione del lavoro subordinato, che prescinde dalla esatta definizione del luogo e dell’orario di lavoro, prevedendo che l’attività possa svolgersi in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, ma nel rispetto dei limiti di durata massima dell’orario giornaliero e settimanale stabiliti dalla legge e dai CCNL di settore. Requisito indispensabile per far sì che questo avvenga”, prosegue, “è la stipulazione di un accordo, rigorosamente in forma scritta (ai fini della prova e della regolarità amministrativa), tra azienda e lavoratore”. E proprio lo svincolo da limiti spaziali e temporali, osserva l’esperto, “se non regolamentato preventivamente, potrebbe causare conseguenze negative sia per il lavoratore sia per il datore di lavoro, tanto sotto un profilo professionale/lavorativo quanto sociale e personale”.

“Il lavoro agile infatti ha sottratto essenzialità al profilo temporale della prestazione, ponendo al centro gli obiettivi e le performance delle risorse interessate”, spiega De Luca. Per il quale “diventa primario per i datori di lavoro avere la possibilità di verificare e misurare i risultati del lavoratore agile”, determinando però al contempo “le forme di esercizio del potere datoriale, con particolare attenzione alle modalità, alle finalità e ai contenuti degli stessi”. Di qui la necessità, conclude, di “introdurre accordi, accompagnati da procedure e regolamenti interni, che disciplinino tali aspetti, istruendo inoltre il lavoratore sull’utilizzo della strumentazione di lavoro e sulla sicurezza aziendale e la protezione dei dati personali”.

L’epidemia da COVID-19 e le connesse esigenze volte, da un lato, a limitare la diffusione del virus e, da l’altro, a garantire la continuità operativa aziendale, hanno risvegliato negli ultimi mesi l’interesse per il lavoro agile.

IL LAVORO AGILE “ORDINARIO”

Come noto, il lavoro agile trova la propria fonte normativa “ordinaria” nella Legge n. 81/2017 che ha disciplinato tale articolazione flessibile della prestazione lavorativa in termini di tempo e di luogo, nella prospettiva di un incremento della competitività e di una maggiore possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Proprio in questa ottica di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro la legge di bilancio per il 2019 ha posto a carico dei datori di lavoro, che stipulano accordi per lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile, l’obbligo di dare priorità alle richieste in tal senso provenienti dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del congedo di maternità, ovvero ai lavoratori con figli disabili che necessitino di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale.

I tratti fondamentali di tale modalità flessibile della prestazione consistono, come espressamente previsto dalla citata norma, nella stipulazione di un accordo tra le parti volto a definire l’esecuzione dell’attività lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore.

Considerate le peculiari modalità di svolgimento della prestazione, l’accordo deve inoltre individuare i tempi di riposo e le misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare il c.d. diritto alla disconnessione del lavoratore.

IL LAVORO AGILE “EMERGENZIALE”

Con l’emergenza sanitaria in corso, il Governo ha dato nuova vita al lavoro agile, adattandolo alle nuove esigenze emergenziali: ciò ha comportato una sostanziale modifica sia delle finalità dell’istituto sia dei requisiti richiesti per la relativa attivazione.

Quanto al primo profilo, è agevole rilevare come la finalità cardine del lavoro agile, che potremmo definire “emergenziale”, sia consistita e tuttora consista nell’arginare la diffusione del virus nonché, specularmente, nell’evitare il blocco dell’attività d’impresa.

Si rammenta, infatti, che già con il D.P.C.M. del 23 febbraio 2020, il Governo ha introdotto le prime misure di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica, prevedendo, sia pure limitatamente ad alcuni territori del nord Italia (la cd. zona rossa), un’applicazione del lavoro agile “in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio”.

Con il D.P.C.M. del 4 marzo 2020, tale misura di contenimento del virus è stata successivamente estesa a tutto il territorio nazionale, con l’espressa introduzione di modalità attuative derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria per tutta la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (ovverosia fino al 31 luglio 2020).

Il Governo ha, infatti, previsto che il lavoro agile emergenziale possa essere attivato anche in assenza degli accordi individuali e con la possibilità di assolvere agli obblighi di informativa in via telematica ricorrendo alla documentazione resa disponibile dall’INAIL.

Si consideri, altresì, che le parti sociali, con la sottoscrizione del Protocollo del 14 marzo 2020, aggiornato il successivo 24 aprile, hanno ribadito che, ove possibile, il lavoro agile debba essere preferito alle altre modalità di svolgimento della prestazione. Non solo. Le parti sociali hanno precisato, che il lavoro agile deve essere favorito anche nella fase di riattivazione del lavoro, in quanto considerato strumento di prevenzione dal contagio.

Nella fase emergenziale è stata, inoltre, introdotta una serie di diritti e di priorità nell’accesso al lavoro agile in capo a determinate categorie di lavoratori fino al termine dello stato di emergenza.

Basti richiamare a tal proposito l’art. 39 del D.L. Cura Italia (così come convertito dalla L. n. 27 del 24 aprile 2020) che ha espressamente attribuito ai lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’art. 3, comma 3, della Legge n. 104/92 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità il diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, e ciò a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Si pensi ancora alla priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile, pure garantita dall’articolo sopra citato, a quei lavoratori affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa.

Da ultimo, il D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) – oltre a ribadire che la modalità di lavoro agile può essere attuata dai datori di lavoro privati anche in assenza degli accordi individuali – ha riconosciuto, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID, il diritto al lavoro agile ai genitori con figli di età inferiore a 14 anni. Ciò a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore.

Continua qui a leggere la versione integrale dell’articolo.

Fonte: Agendadigitale.eu

De Luca & Partners, per lo speciale di Guida al Lavoro, illustra la disciplina dello smart working o lavoro agile,

  1. ripercorrendo la disciplina dettata dalla L. n. 81/17 nel dettaglio esaminando tra l’altro
  • il diritto alla disconnessione,
  • i requisiti dell’accordo individuale richiesto dalla normativa in esame,
  • il potere di controllo e disciplinare del datore di lavoro,
  • i profili relativi alla salute e sicurezza,
  • gli inerenti profili privacy di interesse
  1. e illustrando l’attuale forma semplificata adottata ai tempi del COVID19
  • con la descrizione di cosa si intende per smart working semplificato,
  • con l’indicazione delle categorie a cui è riconosciuto il diritto o la preferenza all’attivazione smart working.

Lo speciale di Guida al Lavoro offre oltre ad una ricognizione della normative e giurisprudenza sullo smart working anche un interessante spunto di riflessione sui temi critici legati allo smart  working, modalità di lavoro che sarà sempre più diffusa nei prossimi mesi nonchè un formulario estratto dalle banche dati de IlSole24Ore.

Richiedi il contributo integrale compilando il form sottostante.

Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.

Con la principale finalità di consentire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, è stato approvato definitivamente il DDL 2233-B che, per l’appunto, disinclina il c.d. lavoro agile, ossia quella modalità di svolgimento della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali e senza precisi vincoli di orario (c.d. smart working). Le caratteristiche intrinseche del lavoro agile, naturalmente, comportano un’attenuazione del controllo del datore di lavoro e ciò anche in ordine alla valutazione degli elementi che possono incidere sulla salute e sulla sicurezza del lavoratore. In ragione di tale inevitabile conseguenza e, fermo restando che il datore di lavoro resta pur sempre il garante della salute e della sicurezza del lavoratore, il Legislatore ha previsto che egli debba consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta in cui siano individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Dal canto suo, il lavoratore viene responsabilizzato in quanto espressamente tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali. Le previsioni in commento, tuttavia, non esauriscono il dovere di garanzia della salute e sicurezza del lavoratore facente capo al datore di lavoro. Difatti, si ricorda che,  in difetto di deroghe, il datore di lavoro deve attenersi anche alle disposizioni del Testo Unico in materia di sicurezza (D.lgs. 81/2008) per quanto applicabili in ragione delle particolarità che contraddistinguono il lavoro agile.

Scarica qui la versione integrale della legge.