Il 30 novembre Alberto De Luca parteciperà all’l’Italian Insurtech Summit e sarà relatore all’interno del panel “Insurtech: c’è carenza di talenti?”

Focus:


Il panel si focalizzerà sulla situazione dei talenti nel settore dell’insurtech, focalizzandosi sulla possibile carenza di competenze e sulle strategie per affrontare questa sfida.
Il panel esplorerà le dinamiche del talento nell’insurtech e cercherà soluzioni pratiche per garantire una forza lavoro qualificata e preparata per le sfide del futuro.

Argomenti di discussione:

  • scenario attuale;
  • competenze chiave;
  • strategie di attraction e retention;
  • formazione e sviluppo.

Il panel mira a offrire una prospettiva approfondita sulla questione della carenza di talenti nell’insurtech, fornendo spunti pratici e soluzioni per affrontare questa challenge in modo efficace.

Gli esperti condivideranno le loro esperienze, offrendo insight preziosi su come garantire che il settore dell’insurtech sia dotato delle competenze necessarie per prosperare nell’era digitale.

A questo link tutte le informazioni sul panel: Insurtech: c’è carenza di talenti? | IIA – Italian Insurtech Association (insurtechitaly.com)

1. RIVOLUZIONE DIGITALE E DIRITTO

L’emersione di tecnologie caratterizzate dall’impiego di sistemi di intelligenza artificiale ha inaugurato una nuova stagione di dibattito in merito alle principali questioni etiche, sociali e giuridiche attorno all’impiego di tali tecnologie e alle relative conseguenze.

Le odierne tecnologie – incidendo sempre più sulla società e sui costumi – sollevano infatti il problema della elaborazione di strumenti di tutela dei diritti fondamentali, della sicurezza e della protezione dai dati e ciò al fine di assicurare che il progresso tecnologico si svolga in armonia con le esigenze di tutela individuali e collettive, nel rispetto di una dimensione antropocentrica.

Risulta infatti evidente che lo sviluppo di algoritmi di nuova generazione e di tecniche sempre più sofisticate di trattamento automatizzato dei dati offre nuove opportunità ma, allo stesso tempo, pone complesse sfide che investono pressoché ogni area del diritto.

Il diritto del lavoro non è immune da tale profonda trasformazione che impone un continuo adattamento rispetto alle nuove istanze provenienti dall’esperienza concreta. Si è osservato, in proposito, come questo renda il diritto del lavoro «un diritto necessariamente dinamico avendo alla propria base il contratto di lavoro connesso funzionalmente alle organizzazioni produttive e strutturato in modo che i contenuti del rapporto di lavoro si modifichino in funzione dei mutamenti organizzativi e produttivi».

Uno dei fattori di mutamento dell’organizzazione e dello svolgimento della prestazione lavorativa è senz’altro rappresentato da quella particolare branca dell’informatica denominata intelligenza artificiale (codificato ormai come I.A. o, con il corrispondente acronimo inglese, A.I.).

2. L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA GESTIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

Con il preciso fine di mettere a fuoco le infinite sfaccettature e le molteplici applicazioni del fenomeno, si sono succedute nel tempo molte definizioni di I.A. Particolarmente interessante, data la sua provenienza, è la definizione di Intelligenza Artificiale fornita dalla Commissione Europea nella Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’aprile 2021 che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (I.A. Act).

La Proposta di Regolamento, all’art. 3, definisce il “sistema di intelligenza artificiale” come “un sistema progettato per funzionare con elementi di autonomia e che, sulla base di dati e input forniti da macchine e/o dall’uomo, deduce come raggiungere una determinata serie di obiettivi avvalendosi di approcci di apprendimento automatico e/o basati sulla logica e sulla conoscenza, e produce output generati dal sistema quali contenuti (sistemi di IA generativi), previsioni, raccomandazioni o decisioni, che influenzano gli ambienti con cui il sistema di IA interagisce”.

Funzione specifica del Regolamento, nei termini formulati dalla Proposta, è quella di fissare i requisiti specifici dei sistemi di I.A. e gli obblighi cui deve sottostare chi immette sul mercato questo tipo di prodotti, fino all’utilizzatore, al fine di assicurare che i sistemi di I.A. immessi sul mercato e utilizzati siano sicuri e rispettino i diritti fondamentali e i valori dell’Unione.

Le relative disposizioni si basano su una gradazione del livello potenziale di incidenza dei sistemi sulla collettività, con particolare attenzione alle applicazioni dell’I.A. formalmente qualificabili “ad alto rischio” (ovvero che hanno “un impatto nocivo significativo sulla salute, la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone nell’Unione”.

Per quanto qui di interesse, si rileva che l’A.I. Act qualifica, tra l’altro, come “sistemi ad alto rischio” quelli utilizzati “nel settore dell’occupazione, nella gestione dei lavoratori e nell’accesso al lavoro autonomo, in particolare per l’assunzione e la selezione delle persone, per l’adozione di decisioni in materia di promozione e cessazione del rapporto di lavoro, nonché per l’assegnazione dei compiti, per il monitoraggio o la valutazione delle persone nei rapporti contrattuali legati al lavoro”.

Tale classificazione deriva dal fatto che “tali sistemi possono avere un impatto significativo sul futuro di tali persone in termini di future prospettive di carriera e sostentamento”.

2.1 INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA FASE DI RECRUITING

Già nella fase prodromica del rapporto lavorativo, l’I.A. sta acquisendo una sempre maggiore importanza: grande sviluppo sta, infatti, avendo l’algorithmic hiring, inteso quale procedura di selezione del personale integralmente o parzialmente affidata ad algoritmi.

La percezione diffusa è che tali procedure automatizzate siano più rapide, affidabili ed economiche rispetto alle selezioni “canoniche”, consentendo di individuare efficacemente le caratteristiche e le attitudini personali dei candidati tramite l’analisi di una grande mole di dati raccolti durante le interviste virtuali.

Se da un lato l’I.A. rappresenta una grande opportunità, dall’altro, quando non è adeguatamente controllata, può essere influenzata da una problematica insidiosa, ovverosia il pregiudizio umano che si riflette inevitabilmente sugli algoritmi. Richiamando l’A.I. Act sopra citato, sono infatti considerati ad “Alto Rischio”:

  • i sistemi di AI per lo screening dei candidati;
  • la formulazione di classifiche e graduatorie;
  • i sistemi di matching;
  • i sistemi che supportano la valutazione del candidato nel corso di colloqui o test.

Con riferimento ai rischi connessi all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel contesto lavorativo, è stato infatti rilevato che  “durante tutto il processo di assunzione, nonché ai fini della valutazione e della promozione delle persone o del proseguimento dei rapporti contrattuali legati al lavoro, tali sistemi possono perpetuare modelli storici di discriminazione, ad esempio nei confronti delle donne, di talune fasce di età, delle persone con disabilità o delle persone aventi determinate origini razziali o etniche o un determinato orientamento sessuale. I sistemi di IA utilizzati per monitorare le prestazioni e il comportamento di tali persone possono inoltre incidere sui loro diritti in materia di protezione dei dati e vita privata”.

In base alle modalità di costruzione del software, anche l’azienda che non abbia finalità discriminatorie, potrebbe inconsapevolmente introdurre c.d. bias nel processo di trattamento, che, con un effetto a catena, condizionerebbero gli esiti del processo, con effetti discriminatori.

Ciò in quanto i software, per quanto possano essere artificialmente intelligenti, vengono comunque programmati da esseri umani e risentono quindi delle dinamiche giudicanti dei loro stessi programmatori.

A ciò aggiungasi che i dati inseriti nei software rimangono memorizzati all’interno del programma condizionando le analisi predittive future che risulteranno influenzate da dati non aggiornati.

Interessante ricordare, a tal proposito, il noto caso di Amazon.

Il famoso colosso statunitense aveva sviluppato un programma sperimentale di talent finding automatizzato con lo scopo di valutare i candidati secondo una scala di punteggio graduale. Tuttavia, con specifico riferimento a ruoli IT, il sistema non selezionava le candidature in modo neutrale rispetto al genere: le figure femminili venivano escluse automaticamente. La ragione era dovuta al fatto che il software si basava su dati raccolti negli ultimi 10 anni e la maggior parte delle risorse assunte in tale arco temporale in ambito informatico erano, appunto, di genere maschile.

Gli algoritmi hanno quindi individuato e messo in luce i pregiudizi dei loro stessi creatori, dimostrando così che l’addestramento dei sistemi automatizzati su dati imparziali porta a future decisioni non neutrali.

Il caso di Amazon offre un interessante spunto di riflessione sui limiti dell’apprendimento dell’Intelligenza Artificiale e su quanto i c.d. bias umani possano riflettersi sui sistemi automatici, condizionandone gli algoritmi.

2.2 POTERE DIRETTIVO ATTRAVERSO L’ALGORITHMIC MANAGEMENT

Oltre alla fase pre-assuntiva, i sistemi di I.A rappresentano un fattore importante altresì nell’organizzazione del lavoro: si pensi, ad esempio, ai sistemi per la gestione della logistica nei magazzini nonché alle piattaforme utilizzate per la gestione dei riders.

In questi settori, le decisioni in merito alla migliore gestione delle attività e delle risorse umane è sempre più spesso demandata ad algoritmi, in grado di analizzare un’infinita quantità di dati e di individuare la soluzione gestionale ed organizzativa più efficace: algoritmi che determinano l’assegnazione di mansioni in base a determinati parametri, sistemi automatizzati di monitoraggio, sistemi di geolocalizzazione che prevedano segnalazioni o interventi automatici in caso di pericolo.

In tale contesto lavorativo in rapida evoluzione, l’Unione Europea ha sottolineato l’esigenza che i lavoratori siano pienamente e tempestivamente informati in merito alle condizioni essenziali del loro lavoro.

Al fine di garantire al lavoratore e alle organizzazioni sindacali una conoscenza dei sistemi digitali nelle singole organizzazioni imprenditoriali, il legislatore, recependo nell’ordinamento interno la Direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, ha introdotto a carico del datore di lavoro un obbligo di informativa relativo al caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati (art. 1-bis del D.lgs. n. 152/1997 introdotto dal c.d. Decreto Trasparenza, D.Lgs. 104/2022).

Lo scopo della novella legislativa è stato quello, come si evince dalla lettura delle premesse e dell’art. 1 della Direttiva UE, di «migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile, pur garantendo nel contempo l’adattabilità del mercato del lavoro».

Una traduzione in termini pratici di un linguaggio a tratti ostico è che il lavoratore deve poter conoscere se si usano le tecniche automatizzate, se il datore di lavoro si avvale di decisioni algoritmiche e simili; inoltre, il lavoratore ha diritto di sapere come tali tecniche funzionano, quale ne sia la logica e quale gli impatti, anche in termini di rischi per la sicurezza dei dati personali.

Da una lettura combinata dell’art. 1, co. 1, lett. s) e dell’art. 1-bis, co. 1 del D.lgs. 152/1997, si evince che la predisposizione di tale specifica informativa è richiesta nel caso in cui le modalità di esecuzione della prestazione dei lavoratori siano organizzate tramite l’utilizzo di sistemi decisionali e/o di monitoraggio automatizzati, destinati a «fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assunzione o del conferimento dell’incarico della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori».

La portata della norma contenuta nell’art. 1-bis del Decreto Trasparenza ha creato dubbi interpretativi e difficoltà applicative relativi all’individuazione di quali sistemi fossero da includere tra quelli soggetti a tale ulteriore informativa da distinguersi dagli strumenti di controllo a distanza, rispetto ai quali gli obblighi informativi sono viceversa regolati, come ampiamente noto, dall’art. 4 della L. n. 300/1970, ossia da una disposizione fatta espressamente salva dalla novella e che sembra mantenere un suo grado di autonomia.

Con riferimento alle tipologie di strumenti da intendersi quali sistemi automatizzati, la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 19/2022 ha tentato di fornire alcune precisazioni sulle novità introdotte dal D.lgs. 104/2022. In particolare, la Circolare ha escluso l’obbligo informativo nel caso di utilizzo di badge, ovvero di strumenti  automatizzati per la rilevazione delle presenze dei dipendenti in entrata o in uscita, sempre che tale registrazione non generi automaticamente una decisione datoriale, mentre, a titolo puramente esemplificativo ma non esaustivo, ha previsto tale obbligo nel caso di utilizzo di sistemi automatizzati di gestione dei turni, di determinazione della retribuzione, di tablet, GPS, wearables e altro.

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 Ore.

La massima

Salute e sicurezza sul luogo di lavoro – obblighi del lavoratore – rifiuto di indossare la mascherina – rilevanza disciplinare – legittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione

Nella situazione tragica in cui il Paese e il mondo intero si sono trovati a causa dell’epidemia da Covid-19, l’imposizione ai lavoratori dell’utilizzo della mascherina da parte [del datore di lavoro], affermata nel Protocollo condiviso con le OOSS, non è certo misura irrazionale o eccessivamente gravosa, ma risponde pienamente al dovere datoriale di tutelare al meglio i propri dipendenti”. Il comportamento del lavoratore che rifiuti di indossare la mascherina in occasione di una riunione aziendale appare quindi del tutto ingiustificato ed è legittima la conseguente sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione irrogata dal datore di lavoro.

Premessa

Come è noto, l’art 2087 del Codice Civile, impone in capo al datore di lavoro l’obbligo di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Nel contesto emergenziale, dovuto alla diffusione del virus Covid-19, come noto, il Decreto Legge Cura Italia, ha equiparato l’infezione da Covid-19 contratta in occasione di lavoro ad infortunio, rendendo ancor più gravoso l’onere del datore di lavoro di garantire l’osservanza da parte dei lavoratori delle misure introdotte in azienda a tutela della salute e sicurezza degli stessi.

Come noto, nel contesto emergenziale, Governo e Parti Sociali hanno sottoscritto, dapprima in data 14 marzo 2020 il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, successivamente aggiornato dal Protocollo del 24 aprile 2020 e, da ultimo, in data 6 aprile 2021 mediante la sottoscrizione del “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contenimento della diffusione del virus SARS-Co V-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”.

Tra le misure di sicurezza previste dalla normativa emergenziale, rientra a pieno titolo, l’obbligo del datore di lavoro di fornire ai lavoratori mascherine chirurgiche, il cui utilizzo, in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all’aperto, risulta obbligatorio.

Accanto ai doveri imposti in capo al datore di lavoro dalla normativa vigente in materia di salute e sicurezza, si affianca tuttavia un vero e proprio obbligo di cooperazione da parte del lavoratore nell’adempimento delle misure predisposte dal datore di lavoro a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, così come previsto dall’Art. 20 del T.U. in materia di salute e sicurezza.

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore.

Nella Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2019 n. 304, è stata pubblicata la Legge n. 160 del 27 dicembre 2019, c.d.Legge di Bilancio 2020”, in vigore dal 1° gennaio 2020.

Numerose sono le novità in materia di lavoro, occupazione e previdenza sociale.

Novità in materia di lavoro e occupazione

Una delle principali novità che caratterizzano la Manovra 2020, concerne la riduzione del c.d. “cuneo fiscale” a carico dei lavoratori dipendenti. Viene inaugurata una complessiva riforma del regime Irpef attraverso un progressivo piano di riduzione della tassazione in busta paga che produrrà i suoi primi effetti, in termini economici, a partire dal mese di luglio 2020. Parallelamente e a supporto di tale riforma, è stata prescritta l’istituzione di un Fondo per la riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti con una dotazione di 3 miliardi di euro per il 2020 e 5 miliardi di euro a partire dal 2121.

Ciò premesso, si attende di conoscere con certezza i dettagli dei bonus riconosciuti ai lavoratori dipendenti e la possibilità, per le imprese, di rivedere l’ammontare della tassazione sul lavoro. Il testo della Legge di Bilancio 2020, infatti, rimanda all’adozione di un successivo decreto attuativo per disciplinare gli aspetti operativi della Manovra.

Tra le novità apportate, si prevedono nuove soglie di esenzione fiscale sui “buoni pasto” che apportano un limite giornaliero non tassabile di 8 euro per i buoni pasto elettronici e di 4 euro per quelli in formato cartaceo. Per poter usufruire della detassazione introdotta, i buoni pasto devono essere destinati ai lavoratori dipendenti e ai collaboratori la cui remunerazione rientra tra i redditi di lavoro dipendente o, in ogni caso, assimilato.

Con l’entrata in vigore del nuovo provvedimento, inoltre, si confermano i finanziamenti per l’”Industria 4.0” con la condizione sospensiva che le attività attuate debbano garantire la sostenibilità ambientale. Tra le novità contenute all’interno del pacchetto di misure si segnalano gli interventi a sostegno delle start up e delle piccole e medie imprese purché innovative.

Si riconferma il “Bonus Assunzioni 2020” a supporto del rilancio dell’occupazione dei giovani fino a 35 anni di età. I datori di lavoro che, a partire dal 1° gennaio 2020, assumeranno, con un contratto a tempo indeterminato, dei giovani under 35, potranno beneficiare di un’agevolazione fiscale. Detta agevolazione prevede il versamento del 50% dei contributi INPS obbligatori per i primi 3 anni di durata del contratto e, in ogni caso, fino ad un importo massimo di 3.000 euro all’anno di sgravio fiscale. Della novità in esame, potranno usufruire tutti i datori di lavoro a prescindere dalla Regione in cui hanno la propria sede.

Per i datori di lavoro del Sud Italia, invece, il bonus sale al 100% di sgravio sui contributi obbligatori per i primi 3 anni di durata del contratto (c.d. “Bonus Assunzioni Sud 2020”).

In entrambe le ipotesi, resta ferma la condizione per cui per i primi 6 mesi di attività, il giovane assunto non potrà essere licenziato.

Novità in materia previdenziale In tema previdenziale, invece, (i) si conferma la Riforma “Quota 100” per tutto il 2020 e fino al 31 dicembre 2021; (ii) si rinnova il sussidio economico che conduce alla pensione quelle categorie di lavoratori i quali necessitano di una maggiore tutela, la c.d. “APE Social” e (iii) si proroga la c.d. “Opzione Donna” che prevede, per le lavoratrici pubbliche e private, la possibilità di anticipare la pensione anche per il 2020.