Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 376 dello scorso 23 novembre, ha dichiarato inefficaci i recessi unilaterali effettuati da una piattaforma digitale di consegne di cibo a domicilio (la “Società”) dai rapporti in essere con i singoli lavoratori (“riders” o “ciclofattorini”) a seguito della loro mancata adesione al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (il “CCNL”) siglato da Assodelivery, l’associazione di categoria che rappresenta l’industria italiana del food delivery alla quale aderisce la Società, e UGL rider, il sindacato di categoria.

I fatti di causa

La vicenda nasce nell’ottobre 2020 quando, a seguito della stipula del CCNL con UGL per il tramite di Assodelivery, la Società inviava una comunicazione a tutti i ciclofattorini (circa 8.000) chiedendo loro di sottoscrivere un nuovo contratto di collaborazione come condizione essenziale per proseguire il rapporto con la stessa.

Con ricorso depositato il successivo 25 febbraio 2021, le OO.SS. FILCAM CGIL FIRENZE, NIDIL CGILFIRENZE e FILT CGIL Firenze convenivano in giudizio la Società opponendo il decreto ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori emesso il precedente 9 febbraio con cui era stato respinto il ricorso promosso fra le stesse parti in relazione alla dedotta antisindacalità delle seguenti condotte tenute dalla Società:

  • aver omesso di informare le OO.SS circa la decisione di recedere anticipatamente da tutti i contratti in essere nell’ottobre 2020, omettendo così anche la successiva fase di consultazione;
  • non aver avviato le procedure di informazione e consultazione prevista dalla L. 223/1991;
  • aver condizionato la prosecuzione dei rapporti con i ciclofattorini all’accettazione dell’unico CCNL firmato da Assodelivery e UGL rider, danneggiando le ricorrenti e favorendo quest’ultima.

La decisione del Tribunale di Firenze

Il Tribunale di Firenze ha chiarito, in primo luogo, che i ciclofattorini devono essere considerati lavoratori subordinati e, pertanto, la gestione del rapporto con gli stessi deve sottostare alla relativa disciplina, ivi incluse le norme previste in materia di recesso.

Ciò premesso, con riferimento alla comunicazione inviata dalla Società, il Tribunale ha rilevato che la stessa (i) non è stata preceduta da nessuna attività di informazione e consultazione con i sindacati che le sarebbe stata imposta dal CCNL Terziario Distribuzione e Servizi applicato ai suoi lavoratori dipendenti e (ii) era potenzialmente destinata a cessare contemporaneamente il rapporto con oltre 8.000 riders costituendo, in tal senso, un “rilevante cambiamento nell’organizzazione dell’impresa”.

Secondo il Tribunale, essendo pacifico (in quanto non contestato) che un numero di riders pari o superiore a 5 ha cessato anticipatamente il rapporto a seguito della modifica unilaterale richiesta dalla Società, si sarebbero dovuto utilizzare le procedure previste dalla Legge 223/1991, compresa, quindi, “la preventiva comunicazione per iscritto (in mancanza di rsa o rsu) alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.

Basti considerare, secondo il Tribunale, che le associazioni ricorrenti rientrano nel novero dei destinatari della comunicazione di cui sopra essendo associazioni di categoria, con la precisazione che ciascuna di esse ha tra i suoi iscritti lavoratori eterorganizzati e parasubordinati, aderenti ad una confederazione, la CGIL, sicuramente rappresentativa sul piano nazionale.

Il Tribunale, inoltre, ha osservato che elementi quali le modalità di sottoscrizione dell’accordo, il mancato confronto tra il sindacato e i riders, l’assenza di vertenze avanzate dalla UGL, il contenuto del contratto sottoscritto che ha portato a escludere la UGL dal Comitato Economico e Sociale Europeo e la mancata prosecuzione delle trattative con altre sigle sindacali per la forma di ulteriori e diversi contratti, sarebbero elementi “univoci e concordanti a favore della natura non rappresentativa del sindacato (ndr UGL rider) e della natura discriminatoria dei privilegi concessigli, non giustificati dalla forza contrattuale del sindacato stesso”.

Su tali presupposti, il Tribunale, accogliendo il ricorso delle OO.SS, ha ordinato alla Società la cessazione immediata delle condotte antisindacali, condannandola ad avviare le procedure di consultazione e confronto previste dal CCNL Terziario Distribuzione e Servizi nonché le procedure di informazione e consultazione ex L. 223/1991. La Società è stata, altresì, condannata a pubblicare il testo integrale del decreto a proprie spese e per una sola volta sulle edizioni locali di alcuni specifici quotidiani e al pagamento in favore del sindacato ricorrente delle spese del giudizio (comprese quelle della fase sommaria).

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È bene, comunque, sottolineare che la condanna a cessare immediatamente l’applicazione del CCNL Ugl rider rimane, ad oggi, circoscritta al territorio di competenza del Tribunale di Firenze che si è espresso sulla vicenda.

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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 254 depositata il 26 novembre 2020, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Napoli sulle disposizioni del Jobs Act riguardanti i licenziamenti collettivi intimati in violazione dei criteri di scelta. La Consulta ha ritenuto, per un verso, insufficiente la motivazione del giudice sulla rilevanza e, per altro verso, incerta la richiesta di un suo intervento correttivo.

I fatti di causa

La Corte d’appello di Napoli aveva sollevato un giudizio di legittimità costituzionale in merito all’art. 1, co. 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 e agli artt. 1, 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.

Secondo la Corte partenopea, le disposizioni censurate avrebbero irragionevolmente introdotto un regime sanzionatorio differenziato in caso di violazione dei criteri di scelta nell’ambito della medesima procedura di licenziamento collettivo; nel merito, solo per i rapporti di lavoro instaurati alla data del 7 marzo 2015, sarebbe stata riconosciuta una tutela reintegratoria, mentre, per i rapporti sorti successivamente, sarebbe stata garantita solo una tutela meramente indennitaria.

Il descritto sistema sanzionatorio, secondo le censure dei giudici di merito, oltre a comportare una violazione dei principi sanciti dagli artt. 3, 4, 24, 35, 38, 41, 111, 10 e 117, co. 1, della Costituzione, avrebbero comportato una collisione con alcuni principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, meglio nota come Carta di Nizza.

Con riguardo alla violazione delle norme della Carta di Nizza, veniva contemporaneamente proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e incidente di costituzionalità.

Il 4 giugno 2020, la Corte di Strasburgo ha dichiarato il ricorso manifestamente irricevibile, non riscontrando alcun collegamento fra la menzionata disciplina nazionale, ovvero i criteri di scelta nell’ambito dei licenziamenti collettivi, e un atto di diritto dell’Unione, e pertanto, non si è espressa sull’asserita violazione della Carta di Nizza.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, nella sentenza in analisi, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Ciò in quanto la Corte d’appello ha omesso di (i) descrivere la fattispecie concreta – non offrendo così un ragguaglio sulle ragioni d’illegittimità del licenziamento collettivo del caso di specie per violazione dei criteri di scelta – e (ii) allegare gli elementi idonei a corroborare l’accoglimento dell’impugnazione in virtù di una violazione dei criteri di scelta, impedendole così di valutare la rilevanza delle questioni sollevate.

La Corte Costituzionale, pertanto, si è limitata a ribadire la consonanza con le indicazioni della Corte di Giustizia circa l’ambito di applicazione del diritto UE. Inoltre, la stessa ha affermato che vi è un legame inscindibile tra il ruolo della Corte di Giustizia, chiamata a salvaguardare “il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati e il ruolo di tutti i giudici nazionali, depositari del compito di garantire “una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.

A parere della Consulta, in un sistema integrato di garanzie, riveste un ruolo essenziale la leale e costruttiva collaborazione tra le diverse giurisdizioni, chiamate, ciascuna per la propria parte, a salvaguardare i diritti fondamentali nella prospettiva di tutela sistemica e non frazionata.

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Con la nota n. 160 del 3 giugno 2020 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alcuni chiarimenti in merito alle modifiche apportate dal D.L. n. 34/2020 (“D.L. Rilancio”) al D.L. n. 18/2020 (“D.L. Cura Italia”) già convertito dalla Legge n. 27/2020, al fine di aiutare l’interprete nell’analisi delle varie disposizioni normative che si succedute e sovrapposte negli ultimi mesi.

Le principali indicazioni fornite dall’Ispettorato riguardano il divieto di licenziamento ex art. 46 del D.L. Cura Italia e la disciplina derogatoria dei contratti a termine introdotta durante l’emergenza Covid-19.

Modifiche all’art. 46 D.L. Cura Italia: licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo

Quanto al primo profilo, l’INL ha ricordato che in sede di conversione in Legge del D.L. Cura Italia è stata introdotta una specifica esclusione dal divieto di licenziamento nell’ambito degli appalti e, precisamente, nel caso in cui “il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore”. Da ciò consegue – come precisato nella nota in commento – che il divieto di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo non operi nell’ipotesi in cui il nuovo appaltatore assorba il personale impiegato nell’appalto. Qualora, invece, il personale non venga riassorbito tale divieto permarrà in capo all’appaltatore uscente.

Sempre con riferimento ai licenziamenti, l’INL ha ricordato che il D.L. Rilancio ha esteso per cinque mesi, decorrenti dal 17 marzo 2020, i termini del relativo divieto: durante tale arco temporale non potranno essere avviate procedure di licenziamento collettivo e quelle pendenti, avviate dopo il 23 febbraio, sono sospese per il medesimo periodo.

Allo stesso modo, è stato prorogato per il medesimo periodo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 7, L. 604/1966, con la precisazione che le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso sono sospese.

Nessun chiarimento viene fornito in merito alla finestra temporale che si è determinata per il ritardo dell’emanazione del D.L. 34/2020 (19 maggio 2020) rispetto alla scadenza dell’originario divieto, 16 maggio, previsto dal D.L. 34/2020: potrà essere solo oggetto di interpretazioni giudiziali, fermo restando che l’irretroattività delle norme difficilmente potrà essere superata.

Da ultimo l’INL rammenta che il D.L. Rilancio ha introdotto il comma 1bis che consente aldatore di lavoro che abbia effettuato licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nel periodo dal 23 febbraio al 17 marzo 2020 la facoltà di revocare in ogni tempo il recesso, purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri nè sanzioni per il datore di lavoro.

Proroga o rinnovi del contratto a termine: deroga all’art. 21 del D.Lgs. 81/2015

Quanto ai contratti a termine, l’INL ha fornito chiarimenti in merito alla deroga all’art. 21 D.Lgs. 81/2015 introdotta dal D.L. Rilancio, che consente di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020, anche in assenza delle causali disciplinate all’art. 19, comma 1, D.Lgs. 81/2015.

Con la nota in commento, l’INL ha precisato che, ai fini della proroga o del rinnovo “acausale” di cui alla disposizione contenuta nel D.L. Rilancio, devono ricorrere due condizioni:

  • il contratto a tempo determinato deve risultare in essere al 23 febbraio 2020 (sono quindi esclusi dalla disciplina derogatoria i contratti stipulati per la prima volta dopo il 23 febbraio);
  • il contratto di lavoro prorogato o rinnovato deve cessare entro il 30 agosto 2020.

Resta ovviamente ferma la possibilità di disporre una proroga “acausale” anche oltre il 30 agosto laddove la stessa non comporti il superamento del periodo di 12 mesi.

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