La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18960 del giorno 11 settembre 2020, ha affermato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non può dirsi tardivo quando il datore di lavoro, prima di intimarlo, attenda un periodo di tempo congruo per svolgere una “prognosi di sostenibilità” delle assenze rispetto al permanere dell’interesse aziendale. Il requisito della tempestività del recesso per superamento del periodo di comporto, secondo la Corte di Cassazione, non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, dovendo essere oggetto di una valutazione di congruità da operare nel concreto con riferimento all’intero contesto fattuale. Pertanto, anche un lasso di tempo notevole tra il superamento del periodo di comporto e il momento in cui il datore di lavoro decide di intimare il licenziamento deve ritenersi in linea con le previsioni dell’ordinamento. Ciò a condizione che il datore utilizzi questo intervallo intermedio per effettuare una verifica sulla compatibilità della malattia rispetto alla prestazione richiesta al dipendente. E’, sempre a parere della Corte di Cassazione, il lavoratore a dover provare, invece, che l’intervallo temporale tra il superamento del periodo di comporto e la comunicazione del recesso ha superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza sì da far ritenere sussistente la volontà tacita del datore di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto di lavoro in essere.

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Licenziamento per superamento del periodo di comporto