Fin dalla fondazione, De Luca & Partners si è posto l’obiettivo di essere un luogo di lavoro eccellente, ponendo al centro dei suoi valori l’impegno verso le persone ed offrendo opportunità professionali motivanti in un ambiente caratterizzato da forti relazioni di fiducia.

Per questo motivo, abbiamo deciso di partecipare all’indagine 2023 di Great Place to Work® Institute Italia per misurare il clima aziendale del nostro Studio e ottenere la certificazione Great Place to Work®, che ci viene confermata.

Un risultato che ci rende particolarmente orgogliosi e che rappresenta un punto di partenza fondamentale in un’ottica di costante miglioramento e valorizzazione delle nostre persone, vero asse portante dello Studio.

È proprio dalla loro viva voce, infatti, che emergono alcune delle motivazioni che rendono De Luca & Partners un Great Place To Work®:

“Reputo questo ambiente di lavoro un posto speciale perché, prima di ogni altro aspetto, vengono messi al centro le persone e il rispetto umano, etico e morale verso tutti coloro che fanno parte dello Studio: valori come onestà, trasparenza, educazione hanno sempre contraddistinto De Luca & Partners fin dal primo giorno in cui ne ho fatto parte.”

“La cura che i direttori hanno verso il personale è una parte fondamentale dello spirito di De Luca & Partners: ti senti parte integrante dell’organizzazione sin da subito e si percepisce il valore che viene dato alle singole persone, facendole sentire ascoltate e capite”.

Clicca qui per visionare la pagina dedicata al nostro Studio sul sito Great Place to Work.

La “giusta causa” di licenziamento, ex articolo 2119 cod. civ., integra una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite la valorizzazione di fattori esterni quali la coscienza generale e i principi del nostro ordinamento tacitamente richiamati dalla norma.

Con ordinanza n. 7029, del 9 marzo 2023, la Corte di Cassazione, ribaltando le conclusioni a cui era addivenuta la Corte d’Appello di Bologna, ha ritenuto sorretto da giusta causa il licenziamento di un lavoratore che, in forma dialettale e con fare irrisorio si era rivolto nei confronti di una collega utilizzando espressioni sconvenienti e offensive quali: “ma perché sei uscita incinta pure tu?”, “ma perché non sei lesbica tu”, “e come sei uscita incinta tu?”.

L’episodio era avvenuto alla fermata dell’autobus dove la collega era in attesa di prendere servizio come autista, alla presenza di altre persone, mentre sia il lavoratore licenziato che la sua interlocutrice erano in divisa e quindi riconoscibili come dipendenti della società datrice di lavoro.

Il dipendente licenziato, impugnato il provvedimento, ne aveva dunque ottenuto l’annullamento nel secondo giudizio di merito avendo ritenuto la Corte d’Appello che l’episodio contestato al dipendente, seppur pacifico dal punto di vista fattuale, andasse relegato nell’ambito di una condotta “sostanzialmente inurbana”, in quanto tale punibile tuttalpiù con una sanzione conservativa (la sospensione dalla retribuzione e dal servizio).

La Corte di Cassazione ha invece in seguito ribaltato la decisione dei giudici di appello partendo dal presupposto che, richiamandosi a consolidata giurisprudenza, la “giusta causa” di licenziamento ex articolo 2119 cod. civ. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite la valorizzazione di fattori esterni quali la coscienza generale e i principi del nostro ordinamento tacitamente richiamati dalla norma.

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Norme e Tributi Plus Diritto de Il Sole 24 Ore.

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Aggressione verbale e licenziamento per giusta causa (Il Quotidiano del lavoro de Il Sole 24 Ore, 25 gennaio 2021 – Enrico De Luca, Antonella Iacobellis)

La legge di Bilancio 2018 a tutela dei lavoratori vittime di molestie (Newsletter Norme & Tributi n. 126 – Camera di Commercio Italo-Germanica – Vittorio De Luca, Luciano Vella)

“Il nuovo protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/ Covid-19 nei luoghi di lavoro propone nuove sfide ma anche nuove responsabilità per i datori di lavoro che aderiscono al progetto”.

L’avvocato Vittorio De Luca, managing partner dello Studio Legale De Luca & Partners, specializzato in Diritto del Lavoro e Gdpr (General Data Protection Regulation), ricorda che “i vaccini sono in primo luogo trattamenti sanitari per i quali, come prevede la Costituzione, solo il legislatore può prevedere l’obbligo di somministrazione”.

Intanto, il protocollo del 6 aprile 2021 permette che i datori di lavoro possano dare la propria disponibilità ad attuare piani aziendali all’interno delle proprie strutture per la predisposizione di punti straordinari di vaccinazione anti Covid-19 da destinare ai lavoratori che ne abbiano fatto volontariamente e liberamente richiesta.  “I datori di lavoro, che decidono di aderire all’iniziativa – spiega l’avvocato -, hanno l’opportunità di concorrere attivamente alla prosecuzione della campagna vaccinale nazionale attraverso un coinvolgimento attivo delle proprie risorse e realtà produttive ma sono chiamati ad assicurare garanzie adeguate a tutela dei dati personali dei lavoratori interessati dall’iniziativa, garantendone la sicurezza e la riservatezza delle informazioni trattate ed evitando qualsiasi forma di discriminazione”.

Circa le responsabilità del datore di lavoro, assume rilievo il ruolo ricoperto dal “medico competente” che deve essere coinvolto sia nella fase preliminare, fornendo al lavoratore adeguate informazioni su vantaggi, rischi connessi alla vaccinazione e specifica tipologia di vaccino somministrato, anche predisponendo un triage preventivo relativo al suo stato di salute ed avendo cura di acquisire dallo stesso un “consenso informato”. Sia nella fase successiva: la somministrazione della vaccinazione che, una volta eseguita, dovrà registrare attraverso i canali e gli strumenti messi a disposizione dai Servizi Sanitari Regionali (Ssr).

“Alla luce di ciò, appare necessario, e opportuno, richiamare quanto condiviso dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali sul tema”, aggiunge De Luca facendo riferimento alla data del 17 febbraio 2021 scorso quando l’Authority ha pubblicato sul proprio sito alcune FAQ aventi ad oggetto proprio il tema del trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo. “I chiarimenti pervenuti dall’Autorità ricordano che il datore di lavoro non rientra tra i soggetti legittimati a richiedere ai dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o una copia dei documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione dell’interessato”, spiega De Luca puntualizzando che “il solo soggetto legittimato a conoscere e trattare, in via riservata, i dati sanitari dei lavoratori è il medico competente”.

L’avvocato sottolinea poi che “il datore di lavoro non può nemmeno richiedere al medico competente che sia condiviso l’elenco dei nominativi dei lavoratori che abbiano aderito alla campagna vaccinale in corso. Questo non può accadere sia nell’ipotesi in cui il soggetto partecipi alla campagna organizzata dal Sistema Sanitario Nazionale, sia nel caso in cui aderisca al piano straordinario eventualmente organizzato dal datore di lavoro ai sensi del protocollo vaccinale sottoscritto lo scorso 6 aprile”. De Luca osserva che “in conformità con quanto prescritto dalla normativa attualmente in vigore in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovrà limitarsi ad acquisire i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati così come definiti dal medico competente”.

L’avvocato conclude: “Quanto prescritto nel nuovo protocollo siglato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ed il ministero della Salute, d’intesa con le parti sociali, propone nuove sfide ma, al tempo stesso, nuove responsabilità in capo ai datori di lavoro che manifestano la disponibilità ad attuare i piani aziendali ivi previsti, la cui attuazione, in ogni caso, rimane strettamente connessa alla valutazione di fattori quali i costi del piano, di cui deve farsi carico il datore di lavoro, nonché la disponibilità delle dosi vaccinali”.

Fonte: Affari & Finanza – La Repubblica.

L’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del virus Covid-19 ha provocato una vera e propria emergenza economica.
Basti pensare che il “lock-down” unitamente alle altre azioni per prevenire la diffusione del virus disposte con il Dpcm del 22 marzo 2020 e prorogate sino al prossimo 3 maggio 2020 con il Dpcm del 10 aprile 2020, ha imposto la sospensione della gran parte (si stima non meno del 50%) delle attività produttive.
Nei prossimi giorni, l’Italia dovrebbe avviare la Fase 2, in cui si assisterà ad una graduale ripartenza.
In preparazione delle complesse situazioni che le aziende si apprestano ad affrontare, assistiamo ad un susseguirsi di innumerevoli interventi da parte di istituzioni ed enti, a livello sia internazionale, sia nazionale e regionale, volti all’elaborazione di linee guida contenenti misure di prevenzione per ridurre la diffusione del virus nei luoghi di lavoro e per garantire una ripartenza delle attività imprenditoriali in sicurezza.
Basti pensare al “Covid-19: guidance for the workplace” pubblicato dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) e al “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” pubblicato dall’INAIL sottoposto attualmente all’attenzione del Governo che lo utilizzerà come ulteriore fonte sulla quale implementare le prossime misure di prevenzione per l’attesa Fase 2.
Il Documento Tecnico si propone l’obiettivo di fornire all’operatore politico, dunque in ultima analisi proprio al Governo, informazioni anche di natura statistica utili per compiere una valutazione finalizzata a determinare i livelli di priorità progressiva di intervento sulla ripresa delle attività produttive durante la tanto spesso auspicata Fase 2, nonché delle strategie di intervento eventualmente da implementare sui luoghi di lavoro.
Il documento si compone principalmente di due parti: la prima parte contiene un’analisi utile a definire l’ambito di rischio e ad individuare in quale di questi ambiti di rischio ricade ogni lavoratore a seconda del proprio impiego, la seconda, invece, detta linee generali di contenimento del rischio sui luoghi di lavoro.
Tuttavia, anche il Documento Tecnico, seppur di pregevole contenuto, omette di considerare che talvolta la realtà aziendale è così complessa da non potersi esaurire in linee guida o protocolli che individuano generiche, seppur articolate, misure di prevenzione. In altre parole, tutti questi documenti, seppure indubbiamente utili, hanno un limite incolpevole legato alla contingenza pandemica in corso.
A ciò deve essere aggiunto che le modalità di diffusione del COVID-19 (peraltro non tutte note) tramite azione di fattori microbici o virali che penetrano nell’organismo umano sono tali per cui il rischio di contagio si può ridurre ma certamente non eliminare del tutto.

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Fonte: Il Quotidiano del Lavoro