La Corte di Cassazione, con sentenza 4670 del 18 febbraio 2019, ha affermato che i controlli, demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, sono consentiti se finalizzati a verificare comportamenti del dipendente che possono configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo.

I fatti

Una società, operante nel settore dell’industria alimentare, aveva scoperto, per il tramite di un’agenzia di investigazione privata, che nei giorni 22, 23 e 24 dicembre 2014 nonché nei giorni 22 e 23 gennaio 2015 e 5 febbraio 2015, un proprio dipendente, anziché prestare assistenza al familiare per il quale aveva chiesto un permesso ex art. 33 della Legge 104/1992, aveva svolto attività varie di tipo personale (presso esercizi commerciali ed altri luoghi comunque diversi da quello deputato all’assistenza).

Pertanto, la società aveva azionato un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente all’esito del quale aveva adottato nei suoi confronti la sanzione espulsiva del il licenziamento per giusta causa.

Il lavoratore aveva adito, dunque, il Tribunale del lavoro affinché dichiarasse illegittimo il licenziamento in questione con tutte le conseguenze di legge che ne sarebbero derivate.

Il Tribunale, pur scorporando dalla contestazione disciplinare le giornate del 22, 23 e 24 dicembre in quanto giorni feriali, avendo l’azienda deciso di sospendere l’attività lavorativa per le festività natalizie, aveva respinto la domanda del lavoratore, dichiarando legittimo il licenziamento.

Il lavoratore aveva così proposto reclamo dinanzi la Corte di Appello territorialmente ai sensi della L. n. 92 del 2012, adducendo altresì che l’agenzia investigativa non avesse la licenza per eseguire l’attività di investigazione.

La Corte di Appello aveva confermato la sentenza di primo grado e, in particolare, aveva dichiarato legittimo il licenziamento sull’assunto che i controlli investigativi finalizzati all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex L. 104/1992 non avevano riguardato l’adempimento della prestazione. Ciò in quanto essi erano stati effettuati al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere tale prestazione.

La Corte distrettuale aveva ritenuto, quindi, utilizzabili gli esiti di tale investigazione e così anche delle dichiarazioni testimoniali rese dagli investigatori che avevano effettuato i controlli, non senza rilevare la tardività delle deduzioni in ordine alla mancanza della licenza prefettizia in favore dell’agenzia investigativa incaricata degli accertamenti.

In conclusione, la Corte aveva ritenuto integrato un abuso del diritto di cui all’art. 33 della L. 104/1992, in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integrante una condotta così grave da giustificare l’adottato provvedimento pur in assenza di precedenti disciplinari.

Il lavoratore ricorreva così in cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello.

La decisione della Corte

La Corte di Cassazione adita, nel confermare la decisione della Corte di Appello territorialmente competente, ha:

  • da un lato, sottolineato la tardività dell’eccezione formulata dal lavoratore in merito alla mancanza della licenza dell’agenzia investigativa, e
  • dall’altro, richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale, osservato che i controlli, demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, riguardanti l’attività lavorativa del dipendente e svolti anche al di fuori dei locali aziendali, non sono preclusi ai sensi degli artt. 2 e 3 st. lav. Resta inteso che detti controlli non devono riguardare l’adempimento della prestazione lavorativa, ma devono essere finalizzati a verificare comportamenti che possono configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo (cfr Cass. 12 settembre 2018, n. 22196; Cass. 11 giugno 2018, n. 15094; Cass. 22 maggio 2017, n. 12810).

Secondo la Corte di Cassazione le agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. E’, pertanto, giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590; Cass. 20 gennaio 2015, n. 848).

A parere della Corte a quanto detto non ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di controllo a distanza di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il lavoratore tenuto ad operare diligentemente durante il rapporto di lavoro (cfr Cass. 10 luglio 2009, n. 16196). Ciò in quanto la condotta assunta dal lavoratore:

  • si palesa come lesiva della buona fede, privando ingiustamente il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nello stesso ed
  • integra nei confronti dell’Ente previdenziale erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.

Conclusioni

Dalla sentenza in commento si evince, in sostanza, che il datore di lavoro può legittimamente rivolgersi ad una agenzia investigativa al fine di verificare se, durante i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per assistenza familiare, il lavoratore anziché assistere il familiare disabile, svolga altra attività e, nel caso di accertamento positivo, può legittimamente procedere con il licenziamento.

 

 

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