Con l’ordinanza n. 16358 del 17 giugno 2025, la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di licenziamento per giusta causa, fornendo chiarimenti sul riparto dell’onere della prova e sul corretto approccio che il giudice di merito deve adottare quando il recesso datoriale è fondato su una pluralità di addebiti.
Il fatto affrontato
La vicenda trae origine dal licenziamento disciplinare intimato da una Fondazione Lirico-Sinfonica (di seguito, la “Fondazione”) a una sua dipendente, una cantante lirica. La lavoratrice, durante un periodo di assenza per malattia, era stata oggetto di una duplice contestazione disciplinare. In primo luogo, le veniva addebitato di essersi allontanata dalla sua residenza durante le fasce di reperibilità e, in secondo luogo, di aver svolto attività (tra cui, pranzare fuori con il suo compagno, fare acquisti nei negozi e cantare durante cerimonie religiose) a dispetto del suo stato di malattia.
Il Tribunale di Napoli, sia nella fase sommaria sia nell’ambito dell’opposizione del c.d. Rito Fornero, aveva rigettato l’impugnativa della lavoratrice, confermando la legittimità del licenziamento. La Corte d’Appello di Napoli, nel riformare la sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del recesso datoriale, ordinando la reintegrazione in servizio della dipendente oltre ad un risarcimento del danno pari ad otto mensilità.
Il ragionamento della Corte territoriale si era concentrato quasi esclusivamente su un solo addebito. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che le attività canore svolte durante la malattia fossero di modesta portata, occasionali e non qualificabili come prestazione professionale. Sulla base di questa analisi, la Corte d’Appello aveva concluso per “l’insussistenza del fatto contestato“.
La Fondazione ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la totale omissione di valutazione da parte della Corte d’Appello riguardo all’ulteriore ed autonomo addebito.

La decisione
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso promosso dalla Fondazione proprio in merito a tale aspetto, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a una diversa sezione della Corte d’Appello di Napoli per un nuovo esame.
La Cassazione ha infatti censurato la sentenza resa dalla Corte d’Appello per aver concentrato il proprio decisum su un unico addebito.
A tal proposito, la Corte ha ribadito un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui “qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente non in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro” .
In applicazione di tale principio, non spetta al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento si fonda sul complesso delle condotte, ma è onere del lavoratore provare che i singoli episodi, considerati isolatamente, non sarebbero stati sufficientemente gravi da giustificare il recesso. La Corte d’Appello, omettendo completamente l’esame di uno degli addebiti, ha – ad avviso della Corte – violato tale principio.
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