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Amministratori: la rinuncia al compenso va inserita nel contratto

Categorie: DLP Insights, Giurisprudenza | Tag: Corte di Cassazione, compenso

29 Ott 2018

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 24139/2018, ha chiarito che per escludere l’onerosità della carica di amministratore di una società non è sufficiente la mancanza di rivendicazione dei pagamenti, essendo necessaria una clausola contrattuale o statutaria a prevederne la gratuità.

Il Fatto

La vicenda nasce da una richiesta di pagamento dei compensi avanzata da un amministratore di una società a responsabilità limitata, accolta in primo grado, ma ribaltata in sede di appello.

In particolare, l’amministratore aveva rivendicato compensi per il periodo di incarico dal 2001 al 2006. Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda, riconoscendo il compenso dovuto. La Corte d’Appello territorialmente competente, adita ad iniziativa della società, aveva accolto le doglianze di quest’ultima, rinvenendo nella mancanza di rivendicazione dei compensi, sia durante l’incarico che alla cessazione dello stesso, una rinuncia ai compensi per fatti concludenti.

La Corte di Cassazione, adita dunque su ricorso dell’amministratore, ha invertito nuovamente l’esito del giudizio, accogliendo i motivi di doglianza sollevati.

La decisione della Cassazione

Secondo la Suprema Corte la carica di amministratore si presume essere a titolo oneroso e ciò in applicazione dell’art. 1709 cod. civ. in base al quale: “Il mandato si presume oneroso. La misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice”. Con l’accettazione dell’incarico sorge, pertanto, in capo all’amministratore il diritto a percepire un compenso e l’eventuale comportamento omissivo, consistente nella mancata rivendicazione dei compensi, in pendenza dell’incarico e in fase di cessazione, non è di per sé sufficiente ad integrare gli estremi di una rinuncia tacita valida ed efficace ai sensi dell’art.1236 cod. civ. Ciò in quanto non è rilevabile nella fattispecie esaminata una volontà oggettivamente incompatibile con quella di conservare il diritto al compenso. La Corte sottolinea infine che, stante la presunzione di onerosità, la gratuità dell’incarico deve essere espressamente stabilita o in forza di una apposita previsione dello statuto della società oppure in forza di un accordo specifico in tal senso con l’Amministratore.

Conclusioni

L’amministratore di una società ha diritto al compenso per l’attività svolta, che si presume onerosa. Ciò, a prescindere da qualsivoglia comportamento omissivo dell’amministratore stesso. La gratuità dell’incarico può, quindi, derivare solo da una disposizione ad hoc.

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