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I controlli a distanza e le garanzie previste dallo Statuto dei Lavoratori e dal Codice della Privacy

28 Set 2016

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18302 del 19 settembre 2016, è intervenuta a dirimere una controversia tra l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ed il Garante della Privacy. Nella specie il Garante aveva inibito, con provvedimento del 21 luglio 2011, all’Istituto di conservare e categorizzare i dati personali dei dipendenti relativi ai messaggi di posta elettronica spediti e ricevuti, alla navigazione in Internet e alle utenze telefoniche chiamate. Secondo il Garante tali dati erano stati raccolti in violazione degli articoli 4 e 8 dello Statuto dei Lavoratori. L’Istituto si rivolgeva, quindi, al Tribunale di Roma che rigettava il suo ricorso. Avverso la decisione del Tribunale l’Istituto ricorreva in cassazione. E la Corte di Cassazione, nel confermare le osservazioni avanzate dal Garante, ha dichiarato che, in tema di controlli a distanza, occorre un equo contemperamento tra i diritti del datore di lavoro (in particolare quello della libera iniziativa economica) e la tutela dei diritti del lavoratore, in primis quello alla riservatezza. Bilanciamento questo, sempre secondo la Corte, a cui vi ha provveduto il legislatore proprio con gli articoli 4 e 8 dello Statuto dei Lavoratori. Infatti l’art. 4 è volto ad assicurare che il controllo a distanza, anche solo potenziale, dell’attività lavorativa sia protetto da garanzie procedurali a prescindere dalla finalità per la quale viene disposto. E l’art. 8 vieta al datore di lavoro di “effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”. Pertanto acquisire e conservare dati che contengono (o possono contenere) simili informazioni determina, a parere della Corte, già l’integrazione della condotta vietata, risolvendosi in una indagine non consentita sulle opinioni e condotte del lavoratore, anche se i dati non vengono successivamente utilizzati. La Cassazione, non da ultimo, rimarca la necessità di fornire ai lavoratori una specifica informativa, idonea a soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 13 del D.Lgs. 196/2003. Decisione questa che, pur riguardando principalmente l’interpretazione dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori antecedente le modifiche introdotte dal D.lgs. 151/2015, trova piena corrispondenza e applicabilità anche con riferimento alla sua nuova formulazione.

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