La sussistenza dei fatti contestati può essere provata con elementi istruttori di un diverso procedimento (Modulo24 Contenzioso Lavoro de Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2022, Vittorio De Luca, Alessandra Zilla)

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30 Nov 2022

La Suprema Corte ha precisato che le sommarie informazioni rese nell’ambito di un procedimento penale sono liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non essendo a tal fine necessario che i dichiaranti abbiano prestato giuramento, in quanto nel sistema processuale civile manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27680 del 21 settembre 2022, ha statuito che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche sulla base di prove atipiche, come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione del relativo utilizzo e senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova. In particolare, la Suprema Corte ha precisato che le sommarie informazioni rese nell’ambito di un procedimento penale sono liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non essendo a tal fine necessario che i dichiaranti abbiano prestato giuramento, in quanto nel sistema processuale civile manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova

Le prove atipiche e i precedenti giurisprudenziali

Il richiamato principio di diritto coinvolge la problematica, dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, relativa all’ammissibilità nel processo del lavoro e, più in generale, nel processo civile ordinario, delle c.d. “prove atipiche”, ovverosia dei mezzi istruttori diversi da quelli previsti e disciplinati dal codice civile e dal codice di rito. ll principio secondo cui il nostro sistema processuale non contiene una norma sulla tassatività dei mezzi di prova è stato più volte affermato in giurisprudenza. In particolare, la Suprema Corte ha statuito che, dall’assenza di una norma di chiusura che indichi un numerus clausus di prove, e tenuto conto del diritto alla prova (quale espressione della garanzia costituzionale del diritto di difesa) nonché del relativo principio del libero convincimento del giudice, “consegue che il giudice può legittimamente porre alla base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo” (Cass. 26 settembre 2000, n. 12763. In termini: Cass. 25 marzo 2004, n. 5965). L’atipicità può riguardare, ad esempio, il fatto che una prova tipica sia stata raccolta in una sede diversa da quella ove viene utilizzata, ovvero che mezzi probatori tipici siano utilizzati con una finalità diversa da quella che tradizionalmente è loro riservata (come avviene nel caso di chiarimenti resi dalle parti al CTU) o ancora può riguardare la modalità con cui la prova viene acquisita al giudizio (come avviene quando vengono depositate in giudizio dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero essere assunte come testimoni). L’atipicità si ricollega, quindi, al fatto che la prova non sia predeterminata, vale a dire non sia una prova inclusa tra quelle tipiche previste nel codice o anche nel caso in cui essa sia acquisita in maniera differente rispetto a quanto previsto dal modello legale. Con riferimento alla valutazione di tali prove atipiche, la giurisprudenza della Suprema Corte ha precisato che il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente – come pure avvenuto nel caso di specie – “le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni” (Cass. n. 22020/2007). E’ stato altresì precisato che nell’accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, “il giudice del lavoro può fondare il proprio convincimento sulle dichiarazioni testimoniali assunte nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento ove il procedimento penale sia stato definito ai sensi dell’articolo 444 cod. proc. pen., potendo la parte contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale” (Cass. n. 132/2008).

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