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Licenziamento orale: su chi grava l’onere della prova?

Categorie: Insights, Pubblicazioni, Pubblicazioni | Tag: Licenziamento, onere della prova

07 Ago 2025

Il Tribunale di Catania, con la recente sentenza n. 2385 del 5 giugno 2025, ha ribadito che la domanda di impugnativa del licenziamento, con la quale si censura l’inefficacia dell’atto espulsivo per essere stato intimato oralmente, pone a carico del lavoratore, in ossequio ai principi generali di cui all’art. 2697 c.c., l’onere di provare il fatto costitutivo della pretesa, vale a dire che la risoluzione del rapporto di lavoro sia ascrivibile alla volontà datoriale diretta all’estromissione del lavoratore.

Il fatto affrontato

La controversia esaminata dal Tribunale di Catania ha ad oggetto l’impugnazione di un presunto licenziamento orale da parte di un Operatore Socio-Sanitario (OSS) nei confronti di una cooperativa sociale.

Il lavoratore ha adito il Tribunale sostenendo di essere stato licenziato verbalmente, dopo essere stato accusato di aver maltrattato un ospite della struttura. Secondo la ricostruzione del ricorrente, il rappresentante legale della cooperativa lo avrebbe invitato “ad andare via” senza alcuna contestazione formale, in violazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. Di conseguenza, il ricorrente ha domandato al giudice di accertare e dichiarare la nullità e l’inefficacia del licenziamento, con conseguente ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate e maturande, oltre al versamento dei contributi previdenziali.

La società datrice di lavoro, costituendosi tardivamente in giudizio, ha contestato integralmente la versione dei fatti fornita del ricorrente. In particolare, ha negato di aver mai intimato un licenziamento, orale o di altra forma. Ha invece sostenuto che il lavoratore si fosse allontanato di sua spontanea volontà dal posto di lavoro a seguito di una riunione in cui erano stati discussi suoi presunti comportamenti, senza più farvi ritorno. A sostegno della propria tesi, la società ha affermato che il rapporto di lavoro doveva considerarsi ancora in corso, tanto che non era stata effettuata alcuna comunicazione di cessazione del rapporto agli enti competenti.

Il nucleo della questione giuridica che il Tribunale è stato chiamato a risolvere verteva, quindi, sulla prova del licenziamento orale.

L’esito del giudizio

Il Tribunale di Catania ha rigettato la domanda del ricorrente, ritenendo non provato il licenziamento orale.

La decisione si fonda sull’applicazione del principio generale in materia di onere della prova, sancito dall’art. 2697 del Codice Civile. Il giudice ha chiarito che spetta al lavoratore, che lamenta l’inefficacia di un licenziamento perché intimato oralmente, dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa. Tale fatto non è la mera cessazione dell’attività lavorativa, bensì l’atto di “estromissione” da parte del datore di lavoro, ovverosia la manifestazione, anche tramite comportamenti concludenti, della volontà datoriale di risolvere il rapporto.

Il Tribunale ha evidenziato come la semplice interruzione della prestazione sia un “fatto neutro, di significato polivalente“, che potrebbe derivare tanto da un licenziamento, quanto da dimissioni o da una risoluzione consensuale. Citando consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra cui le sentenze n. 3822/2019, n. 13195/2019 e n. 149/2021), il giudice ha ribadito che il lavoratore deve provare “l’atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore dal circuito produttivo“.

Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente non avesse assolto a tale onere probatorio sulla base delle seguenti argomentazioni:

  1. Interrogatorio formale inefficace: Le circostanze del presunto licenziamento, dedotte nei capitoli dell’interrogatorio formale, sono state negate dal rappresentante legale della società resistente.
  2. Prova testimoniale inammissibile: La richiesta di prova per testi è stata giudicata inammissibile per la sua genericità. Il capitolo di prova si limitava a chiedere se fosse vero che il ricorrente era stato licenziato in una certa data, senza specificare le circostanze di tempo e di luogo, né il soggetto che avrebbe materialmente intimato il recesso. Il giudice ha sottolineato che non è possibile supplire a tale omissione di parte attraverso l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio previsti dall’art. 421 c.p.c.
  3. Mancanza di prove su comportamenti concludenti: Altre allegazioni, come la cancellazione del lavoratore dalle chat di servizio su WhatsApp, sono rimaste mere affermazioni non supportate da alcuna prova.

In conclusione, di fronte a una situazione di “incertezza probatoria”, il Tribunale ha rigettato la domanda del lavoratore che non era riuscito a dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, ossia l’estromissione per volontà datoriale. Le spese di lite sono state integralmente compensate tra le parti in ragione della peculiarità della fattispecie e della natura delle parti in causa.

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