L’onere della prova relativo al pagamento delle retribuzioni è a carico del datore di lavoro

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29 Mag 2024

Con l’ordinanza n. 10663 del 19 aprile 2024, la Cassazione ha affermato che è onere del datore di lavoro provare il regolare pagamento della retribuzione.

I fatti del giudizio

Il lavoratore ha promosso ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere la condanna della società al pagamento di quanto indicato nella busta paga di novembre 2015.

Nel primo grado di giudizio, il Tribunale ha accertato la debenza del credito a favore del lavoratore.

La Corte d’Appello, adita dalla società, ha confermato la pronuncia di primo grado, statuendo che il datore di lavoro non avesse assolto il proprio onere probatorio relativo alla dimostrazione in giudizio dell’avvenuto pagamento della somma ingiunta.

La decisione della Suprema Corte

La Suprema Corte di Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – ha preliminarmente rilevato che, una volta accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, la prova rigorosa del pagamento della retribuzione spetta al datore di lavoro, il quale se non può provare di aver corrisposto la retribuzione dovuta al dipendente mediante la normale documentazione liberatoria rappresentata dalle regolamentari buste paga recanti la firma del lavoratore, deve fornire idonea documentazione dei relativi pagamenti che abbia in effetti eseguito in relazione ai singoli crediti vantati dal dipendente.

Secondo i giudici di legittimità, consegnare ai lavoratori dipendenti all’atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, non attiene alla prova dell’avvenuto pagamento, per la quale non sono sufficienti le annotazioni contenute nel prospetto stesso, ove il lavoratore ne contesti la corrispondenza alla retribuzione effettivamente erogata.

Secondo i Giudici di legittimità, l’onere ricade in capo al lavoratore solo nell’ipotesi in cui questi, dopo aver firmato la busta paga, contesti la corrispondenza tra la retribuzione indicata in detto documento e quella effettivamente erogata.

Non rientrando il caso di specie in quest’ultima fattispecie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla società.

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