We Wealth con il supporto di Chiara Torino (partner di Toffoletto De Luca Tamajo) e Stefania Raviele (salary partner di De Luca & Partners) ha elaborato la mappa europea delle normative sulla parità di genere. Ecco le nuove regole per le imprese, quotate e non, dalle donne ai vertici al gender pay gap
La direttiva europea “Women on boards” prevede che almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi nelle società quotate sia occupato da membri del sesso sottorappresentato entro il 2026
In Norvegia la legge sull’eguaglianza di genere n. 45 del 9 giugno 1978 aveva introdotto sin da allora nei consigli di amministrazione delle società quotate un obbligo di presenza delle donne del 40%, pena lo scioglimento della società
In Francia le imprese con almeno 50 dipendenti sono tenute annualmente ad assolvere agli obblighi di rilevazione e rendicontazione del divario retributivo di genere tenendo conto della retribuzione media
Il Parlamento europeo, nella giornata del 22 novembre, ha approvato la direttiva “Women on boards” sulle quote di genere nei consigli di amministrazione. Si tratta di quello che Chiara Torino, partner di Toffoletto De Luca Tamajo, definisce come il “primo vero intervento centrale sul tema dell’equilibrio di genere”. Ma che si inserisce all’interno di una situazione previgente all’interno dei paesi membri dell’Unione estremamente variegata. Ecco cosa cambia per le imprese. E quali sono le altre regole da considerare, paese per paese.
“L’impegno profuso dall’Unione Europea in tema di parità di genere parte da lontano”, racconta Stefania Raviele, salary partner di De Luca & Partners. “Il principio di parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici compare ad esempio già nel Trattato di Roma del 1957; così come nella Carta Sociale europea di Torino del 1961, nel Trattato di Maastricht del 1992 e in quello di Amsterdam del 1997. Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione di Nizza del 2000 viene poi ribadito il divieto di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso e con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1° dicembre 2009, l’uguaglianza tra le donne e gli uomini viene formalmente riconosciuta tra i valori fondanti dell’Unione europea (è infatti stabilita dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea)”.
Negli anni, continua Raviele, si sono poi susseguiti diversi interventi normativi a livello comunitario. Tra i più rilevanti si annoverano la Direttiva 2006/54/CE sull’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego insieme alla Direttiva 2019/1158/UE sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. Fino ad arrivare alla strategia dell’Unione europea per la parità di genere 2020-2025, anche definita come Unione dell’uguaglianza. “Gli obiettivi che si prefigge sono tanti: dalla lotta alla violenza di genere a quella al gender pay gap, dall’eliminazione degli stereotipi sessisti all’equilibrio di genere nella politica”, spiega Raviele. “Tra i primi risultati della strategia, il 4 marzo 2021 la Commissione ha proposto misure vincolanti per la trasparenza retributiva e lo scorso 17 ottobre 2022, il Consiglio europeo ha dato il via libera alla direttiva che promuove una rappresentanza di genere più equilibrata nei consigli di amministrazione delle società quotate”.
Women on boards: cosa prevede la nuova direttiva Ue
La direttiva, adottata in via definitiva anche dal Parlamento il mese successivo come anticipato in apertura, prevede che almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi nelle società quotate sia occupato da membri del sesso sottorappresentato entro il 2026. Qualora gli Stati membri scelgano di applicare le nuove norme agli amministratori con e senza incarichi esecutivi, l’obiettivo scivolerebbe al 33% di tutti i posti di amministratore entro il 2026. “La direttiva stabilisce che le società quotate che non conseguono tali obiettivi dovranno adeguare il loro processo di selezione”, avverte Raviele. “Dovranno porre in atto procedure di selezione e di nomina eque e trasparenti, basate su una valutazione comparativa dei diversi candidati sulla base di criteri chiari e formulati in modo neutro. Ciò significa che quando le società devono scegliere tra candidati aventi le medesime qualifiche, dovrebbero dare priorità al candidato o alla candidata del sesso sottorappresentato”.
Il provvedimento impone inoltre alle società interessate “l’obbligo di fornire annualmente informazioni (da pubblicare anche sui siti aziendali) alle autorità nazionali in merito alla rappresentanza di genere nei loro consigli, nonché al raggiungimento degli obiettivi minimi prescritti dal provvedimento”, interviene Torino. Gli Stati provvederanno a loro volta “a pubblicare e aggiornare un elenco delle società quotate che si siano uniformate alle prescrizioni della direttiva” e dovranno essere “predisposte procedure amministrative o giudiziarie che permettano di imporre il rispetto degli obblighi contenuti nella direttiva nonché sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate in caso di violazioni (come ammende o annullamento in sede giurisdizionale delle nomine effettuate senza il rispetto dei nuovi obblighi procedurali)”, precisa Torino. Sono escluse le micro, piccole e medie imprese che occupino meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non superi i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.
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