A nulla valgono i codici etici, i modelli di gestione e controllo, le certificazioni di sostenibilità quando, per il raggiungimento del maggior profitto al più basso costo possibile, si consente la creazione di un sistema produttivo a valle della catena che si basa su una produzione con forza lavoro in condizione di sfruttamento”.


Così ha concluso il Pubblico Ministero della Procura di Milano nelle proprie considerazioni finali esposte al Tribunale di Milano a seguito di quanto emerso dalle indagini svolte dalla Procura per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro effettuate sulla filiera di fornitori di una nota società operante nel settore della moda.

Sulla base delle indagini svolte, infatti, emergeva che la società affidava, tramite contratto di appalto, l’intera produzione a società terze che però provvedevano solo alla campionatura del materiale. Queste, a loro volta, esternalizzavano l’effettiva produzione dell’intera linea a sub-fornitori che impiegavano manodopera irregolare, non comunitaria, in violazione delle normative in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, di orario di lavoro, di retribuzioni minime; tutti indici di grave sfruttamento del lavoro che però permettevano di ridurre i costi.

Alla luce di tutto ciò, con decreto del 3 aprile 2024, il Tribunale di Milano ha disposto, quale misura a carattere preventivo e non sanzionatorio, l’amministrazione giudiziaria della società committente per un periodo di 1 anno. Nonostante non abbia direttamente posto in essere le condotte illecite, il Tribunale ha rilevato che la società non ha mai effettivamente controllato la catena produttiva, “verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate e che sia rimasta inerte pure venendo a conoscenza dell’esternalizzazione di produzioni da parte delle società fornitrici omettendo di assumere iniziative”.

Con lo stesso decreto, il Tribunale ha disposto, tra le altre, che l’amministrazione giudiziaria esamini l’assetto della società con particolare riferimento al modello di organizzazione e gestione redatto ai sensi del D.lgs. 231/2001 nella parte in cui si regola il rapporto con i fornitori e si prevedano le verifiche della filiera produttiva.

Concludendo, anche alla luce degli ultimi avvenimenti accorsi, appare sempre più evidente come attuare efficacemente un Modello di Organizzazione e Gestione permetta all’organizzazione aziendale non solo di ottenere un miglioramento continuo delle prestazioni ma anche il rispetto delle prescrizioni legali​ vigenti e un’attuazione efficacie comporta inevitabilmente l’adozione di Modelli che si adattino alla realtà aziendale e che funzionino, di fatto, nella prevenzione dei rischi reato.​

Seppure l’adozione dei Modelli di Organizzazione e Gestione sia lasciata al libero arbitrio, è ormai dimostrato come esso possa essere uno strumento che permette all’azienda, da un lato, di prevenire la commissione di reati e, dall’altro, di limitare (se non escludere) la propria responsabilità evitando importanti conseguenze anche in termini sanzionatori, economici e reputazionali.

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Con sentenza n. 39129 del 26 settembre 2023, la Corte di Cassazione III Sez. Penale ha affrontato il tema della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001, affermando che “la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito”.

I fatti di causa

Una Società veniva condannata in primo grado per violazione, ossia per il delitto di lesioni personali gravi commesso in violazione delle norme antinfortunistiche in danno di un proprio dipendente (ex art. 25 septies del D.lgs. 231/01).

Nello specifico, veniva rilevato che la Società – committente dei lavori e titolare del cantiere – aveva omesso di dotare la porta scorrevole presente all’ingresso del luogo di lavoro di un sistema di sicurezza per impedire la fuoriuscita del cancello dalle guide o comunque di cadere. Tale omissione provocava la caduta a terra del lavoratore per essere stato schiacciato dal cancello.

I giudici di seconde cure confermavano la sentenza della Corte Territoriale con la quale veniva addebitata l’omessa dotazione di misure di sicurezza volte a prevenire il rischio “per colpa consistita in imperizia, negligenza, imprudenza nonché inosservanza delle norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro”.

La decisione della Corte di Cassazione

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la Società proponeva ricorso per Cassazione, contestando la sussistenza dei requisiti dell’interesse o del vantaggio dell’ente, dal momento la Società, in concreto, non aveva avuto alcun risparmio di spesa né incremento economico. Ciò, in quanto la spesa per riparare il cancello sarebbe consistita in una cifra “irrisoria”.
La Suprema Corte – dichiarando il riscorso inammissibile – ha colto l’occasione per chiarire che i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità amministrativa degli enti rappresentati dall’interesse e dal vantaggio (art. 5 D.lgs. 231/2001):

  • sono alternativi e concorrenti tra loro. Il criterio rappresentato dall’interesse è apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio soggettivo, mentre il vantaggio è valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito ed ha una connotazione invece oggettiva;
  • vanno valutati avendo come termine di riferimento la condotta e non l’evento.

Nel caso di specie, l’infortunio era occorso a causa della mancata affissione di segnaletica informativa e dei dovuti interventi di manutenzione che erano stati omessi per non incidere negativamente sui tempi dell’attività produttiva.

A nulla rileva l’esiguità del vantaggio o la scarsa consistenza dell’interesse perseguito, poiché anche la mancata adozione di cautele che possano comportare limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi in violazione della normativa antinfortunistica.

Ritenendo corretta la valutazione della Corte d’Appello, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile condannando la Società al pagamento delle spese processuali.

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Il 21 settembre Alberto De Luca e Martina De Angeli hanno partecipato come relatori al Webinar organizzato da Convenia dal titolo: “Infortuni sul lavoro e malattie professionali: obblighi e doveri dei soggetti coinvolti”.

FOCUS
Affronteranno il tema del Sistema del D. Lgs. 231/2001 e del Testo Unico salute e sicurezza e nello specifico si focalizzeranno su questi temi:

  • persone giuridiche e la disciplina antinfortunistica;
  • natura e presupposti della responsabilità;
  • criteri di imputazione oggettivi;
  • sistema di controllo nell’attuazione del modello organizzativo;
  • modelli organizzativi e dovere di vigilanza del datore di lavoro.

ISCRIZIONE
Tutte le informazioni sono presenti a questo link: Sicurezza sul lavoro: profili penali e civili

Nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2023, è stato pubblicato il Decreto Legislativo n. 24 del 10 marzo 2023 (il “Decreto”) di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937 “riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali” (c.d. Direttiva Whistleblowing).

Le disposizioni di cui al Decreto si applicano, tra le altre, ai soggetti del settore privato che nell’ultimo anno:

  • hanno impiegato la media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
  • pur avendo impiegato meno di 50 lavoratori subordinati, adottano modelli di organizzazione e gestione previsti dal D.lgs. 231/2001 (“MOG”).

I soggetti del settore privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali, devono istituire ed attivare dei canali di segnalazione interna che garantiscano la riservatezza dell’identità (i) della persona segnalante, (ii) della persona coinvolta ovvero della persona comunque menzionata nella segnalazione nonché (iii) del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione.

La gestione dei canali di segnalazione interna può essere affidata (i) internamente, ad una persona o ad un ufficio interno autonomo a ciò dedicato e costituito da personale specificatamente formato per la gestione del canale di segnalazione ovvero (ii) esternamente ad un soggetto terzo, anch’esso autonomo e con personale specificatamente formato. Sono, inoltre, previste specifiche modalità di gestione dei canali di segnalazione interna che dovranno essere puntualmente implementate ed applicate da parte dei datori di lavoro e le informazioni relative al canale, alle procedure e ai presupposti per effettuare le segnalazioni dovranno essere esposte e rese facilmente visibili a tutti i destinatari.

Ogni trattamento di dati personali deve essere effettuato in conformità con la normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, oggi rappresentata dal Regolamento (UE) 2016/679 (il “GDPR”) e dal D.lgs. 196/2003 così come modificato dal D.lgs. 101/2018 (il “Codice Privacy”). I datori di lavoro destinatari della nuova normativa devono quindi adottare tutti gli adempimenti necessari richiesti dalla normativa in materia a protezione e tutela dei dati personali trattati.

Per la violazione delle disposizioni di cui al Decreto, è prevista la comminazione di sanzioni amministrative da euro 10.000 a euro 50.000:

  • quando sono commesse ritorsioni nei confronti dei segnalanti, è accertato che la segnalazione è stata ostacolata, si è tentato di ostacolarla ovvero è stato violato l’obbligo di riservatezza;
  • se non sono stati istituiti canali di segnalazione, non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione delle procedure non è conforme alle disposizioni di cui al Decreto.

Sono inoltre previste sanzioni da euro 500 a euro 2.500 nelle ipotesi in cui sia accertata la responsabilità penale del segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia.

Le disposizioni di cui al Decreto hanno effetto dal 15 luglio 2023 (17 dicembre 2023 per le aziende con oltre 249 dipendenti).

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Lo scorso 8 novembre, il legislatore nazionale ha approvato due distinti decreti legislativi che introducono nuovi reati presupposto al catalogo della responsabilità amministrativa degli enti ex D. Lgs. 231/2001. In particolare, trattasi del:

  • D.Lgs. n. 184, che ha recepito la Direttiva Europea n. 2019/713 “relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti” e
  • D.Lgs. n. 195, che ha recepito la Direttiva Europea n. 2018/1673 “sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale”,

pubblicati in Gazzetta Ufficiale, rispettivamente, lo scorso 29 e 30 novembre 2021 ed entrati in vigore, rispettivamente, dal successivo 14 e 15 dicembre.

Entrando nel merito, il D.Lgs. n. 184/2021 ha introdotto nel D.Lgs. 231/2001 all’art. 25 octies.1 i “Delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti”.  Viene così sanzionato l’ente nel cui interesse o vantaggio sia commesso il reato di:

  • indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diverso dai contanti;
  • detenzione e diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti;
  • frode informatica nell’ipotesi aggravata dalla realizzazione di un trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale.

Il D.lgs. n. 195/2021, invece, amplia, l’art. 25-octies D.Lgs. 231/2001, prevedendo nei delitti di ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita le contravvenzioni punite con l’arresto da 6 mesi ad un massimo di 1 anno e, nel caso del riciclaggio e dell’autoriciclaggio, anche i delitti colposi.

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