La Direttiva 2023/970, che introduce nuove tutele per i lavoratori e nuovi obblighi per i datori di lavoro in materia di parità salariale e trasparenza, prevede che gli Stati membri saranno tenuti ad adeguare le loro legislazioni locali, promuovendo (e persino imponendo) la trasparenza salariale anche nel rapporto di lavoro privato.

Gli stessi obblighi saranno previsti per i datori di lavoro che impieghino tra le 150 e le 249 risorse, i quali saranno tenuti a fornire le informazioni entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni. I datori che impieghino, invece, tra 100 e 149 risorse avranno tempo fino al 7 giugno 2031 e successivamente ogni 3 anni.

Gli effetti del recepimento della direttiva in Italia

Nel nostro Paese, come evidenziato, l’attuazione di quanto disposto dalla Direttiva avrà sicuramente un impatto in materia giuslavoristica: in primo luogo, infatti, sarà sicuramente necessario adattare alcune norme già esistenti, come, ad esempio, quelle relative ai tempi e ai modi di effettuazione delle comunicazioni all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e agli altri organismi di controllo.

Anche i contratti collettivi verranno prevedibilmente interessati dall’attuazione della Direttiva, con la probabile introduzione di alcuni specifici meccanismi di consultazione e comunicazione con gli interlocutori sindacali, secondo un meccanismo già rodato, essendo già esistente per i dati occupazionali e di andamento dell’impresa.

Sempre in ambito attuativo, è altamente probabile che a livello di legislazione nazionale venga istituito un meccanismo di controllo e, se del caso, di sanzioni per le violazioni degli obblighi stabiliti. In linea con le premesse della Direttiva, inoltre, gli organismi di parità avranno un ruolo di rilievo sia nella supervisione che nell’applicazione di sanzioni. Riguardo a quest’ultimo aspetto, la possibilità per gli organismi di parità di agire in rappresentanza dei lavoratori contribuirebbe a migliorare l’efficacia e la sostenibilità economica della tutela dei diritti delle parti interessate.

L’introduzione della nuova normativa andrà ad aggiungersi e ad ampliare la portata delle protezioni già esistenti. Esempio ne è il D.Lgs. n. 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità), che già contiene al suo interno delle norme sulla parità di retribuzione, il quale verrà ampliato ed integrato dalla nuova normativa con riferimento agli oneri a carico del datore di lavoro in caso di denuncia di comportamenti di discriminazione salariale.

In proposito, l’attuale formulazione del Codice delle pari opportunità attualmente include un particolare meccanismo di ripartizione dell’onere della prova nei casi di presunta discriminazione salariale. Questo meccanismo prevede che il denunziante debba sopportare un onere della prova ridotto rispetto alle regole generali del processo civile, mentre il datore di lavoro è responsabile di dimostrare l’assenza di discriminazione. La Direttiva amplierebbe ulteriormente questa protezione, introducendo esplicitamente un concetto di “inversione dell’onere della prova”. Di conseguenza, il datore di lavoro si troverà prevedibilmente a dover dimostrare non solo l’assenza di discriminazione, ma anche di aver adempiuto in modo corretto e tempestivo a tutti gli obblighi normativi pertinenti. Ciò comporterebbe una maggiore protezione e garanzia per le persone che si ritengono vittime di discriminazione salariale.

Più difficile, invece, è immaginare che dalla violazione di quanto disposto in attuazione della normativa in questione possano emergere nuove voci di danno, essendo risarcibile esclusivamente il danno effettivamente sofferto dalla parte lesa, nelle sue diverse forme e non trovando dimora nel nostro ordinamento di diritto civile altre voci di danno (come ad esempio i c.d. danni puntivi di matrice anglosassone).

Infine, la legislazione attuativa avrà il difficile compito di rispondere ad una serie di interrogativi che hanno tutt’altro che un trascurabile impatto pratico: cosa accadrà in situazioni in cui non esistano punti di riferimento concreti per effettuare un confronto, come nel caso di mansioni assegnate a un unico dipendente? Sarà possibile fare affidamento su dati statistici o sarà necessario valutare la situazione in tempo reale? Quali implicazioni comporterà l’attuazione di politiche retributive molto diversificate? Come potranno i datori di lavoro proteggere la confidenzialità delle proprie politiche retributive, evitando al contempo di rendere queste informazioni note alla concorrenza?

Il legislatore dovrà tener conto preventivamente di queste questioni per gestire in modo efficace e sicuro l’impatto della Direttiva e le introduzioni normative che mirano a promuovere la parità di genere, poiché sembrano rappresentare una vera e propria rivoluzione normativa in questo ambito.

Continua a leggere la versione integrale pubblicata su Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore.


È in fase di definizione la riforma del c.d. Whistleblowing. Il Decreto Legislativo di recepimento della direttiva UE 2019/1937 “riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione” (la “Direttiva”) è quasi pronto e porterà con sé importanti novità rispetto alla disciplina entrata in vigore nel 2012 nel settore pubblico (Legge 6 novembre 2012, n. 190) e alla fine del 2017 in quello privato (Legge 30 novembre 2017, n. 179).

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La Legge delega

Il 23 ottobre 2019 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la Direttiva che detta le “norme minime comuni” atte a garantire una protezione efficace degli informatori (c.d. “whistleblowers”) negli ordinamenti degli Stati Membri. Ciò al fine di dare uniformità a normative nazionali assai eterogenee o frammentate nonché di valorizzare siffatto strumento.

Il 23 aprile scorso è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 53/2021 (c.d. legge di delegazione europea) la quale si compone di 29 articoli, che recano disposizioni di delega per il recepimento di direttive europee e per l’adeguamento della normativa nazionale ad alcuni regolamenti UE.

Con tale legge il Parlamento ha, tra le altre, delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per il recepimento proprio della Direttiva. All’art. 23 della Legge in esame viene previsto che il Governo nell’esercizio della delega deve osservare i seguenti principi e criteri direttivi specifici:

  1. modificare, in conformità alla disciplina della Direttiva, la normativa vigente in materia di tutela degli autori di segnalazioni delle violazioni di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un contesto lavorativo pubblico o privato e dei soggetti indicati dall’articolo 4, par. 4, della stessa Direttiva;
  2. curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, assicurando un alto grado di protezione e tutela dei soggetti di cui alla lettera a), operando le necessarie abrogazioni e adottando le opportune disposizioni transitorie;
  3. esercitare l’opzione di cui all’art. 25, par. 1, della Direttiva, che consente l’introduzione o il mantenimento delle disposizioni più favorevoli ai diritti delle persone segnalanti e di quelle indicate dalla Direttiva, al fine di assicurare comunque il massimo livello di protezione e tutela dei medesimi soggetti.

La disciplina così posta è destinata ad incidere su quella nazionale. L’incidenza della nuova disciplina europea parrebbe riguardare, prima che il contenuto della tutela, la sua estensione. Infatti, nelle materie su cui venga ad applicarsi la Direttiva la tutela del segnalante (c.d. whistleblower) non prevede una differenziazione tra settore pubblico e settore privato, invece presente nella legge n. 179/2017.

Ciò premesso, entriamo nel dettaglio delle principali novità introdotte dalla Direttiva.

Ambito di applicazione personale

Nella Direttiva viene meglio definita la figura della persona segnalante e cioè la persona fisica che segnala o divulga informazioni sulle violazioni acquisite nell’ambito del proprio contesto lavorativo.

Vengono ricomprese all’interno di tale figura anche (i) i lavoratori autonomi che prestano la propria attività in favore di un soggetto del settore pubblico ovvero del settore privato, (ii) gli azionisti e i membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza di un’impresa, compresi i membri senza incarichi esecutivi, i volontari e i tirocinanti retribuiti e non retribuiti, nonché (iii) qualsiasi persona che lavora sotto la supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori.

Le misure protettive potranno estendersi, altresì, ai colleghi o parenti delle persone segnalanti ove sussista, a causa della segnalazione, il rischio di ritorsioni nel contesto lavorativo anche nei loro confronti.

In considerazione di quanto sopra esposto, l’ambito di applicazione personale risulta più esteso rispetto a quello della legge italiana e, pertanto, il novero dei soggetti informatori tutelati dovrebbe essere rivisto alla luce della nuova disciplina europea.

Condizioni per la protezione delle persone segnalanti

A differenza di quanto previsto nella Legge 179/2017, per l’applicazione delle protezioni previste a favore della persona segnalante non sarà necessario che le segnalazioni siano circostanziate su condotte illecite, rilevanti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti.

Sarà sufficiente che la persona segnalante abbia avuto, al momento della segnalazione, il ragionevole motivo di ritenere che le informazioni segnalate fossero vere e che la segnalazione o divulgazione pubblica fosse necessaria per fare emergere una violazione di pubblico interesse rientrante nel campo di applicazione del decreto. I motivi posti alla base della segnalazione effettuata dalla persona segnalante sono, invece, considerati irrilevanti fini della sua protezione.

Canali di comunicazioni delle segnalazioni

La Direttiva impone l’istituzione di canali di segnalazione interna prima di effettuare segnalazioni mediante canali di segnalazione esterna (ndr segnalazioni alle autorità designate dagli Stati Membri nonché a quelle competenti a livello europeo), “laddove la violazione possa essere affrontata efficacemente a livello interno e la persona segnalante ritenga che non sussiste il rischio di ritorsione”.

Le aziende con più di 50 dipendenti, indipendentemente dalla natura delle loro attività, nonché tutti i soggetti giuridici del settore pubblico, compresi quelli di proprietà o sotto il controllo degli stessi, dovranno dotarsi di canali di segnalazione interna. L’esenzione delle piccole e medie imprese da tale obbligo non si applica alle aziende che rientrano nel perimetro della disciplina antiriciclaggio e finanziamento al terrorismo.

Inoltre, a seguito di un’opportuna valutazione del rischio, è riconosciuta agli Stati membri la facoltà di esigere che anche società con un numero di dipendenti inferiore istituiscano canali di segnalazione interna in casi specifici.

Con particolare riferimento alle divulgazioni pubbliche di illeciti viene previsto nella Direttiva che la tutela del segnalante si attivi solo al ricorrere di una delle seguenti condizioni:

  • abbia precedentemente segnalato internamente o esternamente l’illecito senza che alla stessa sia stato dato adeguato seguito nei termini previsti; oppure
  • abbia, al momento della segnalazione, fondato motivo di ritenere che:
  • la violazione possa costituire un pericolo imminente o chiaro per il pubblico interesse tutelato o vi sia il rischio di un danno irreversibile, anche all’incolumità fisica di una o più persone oppure
  • in caso di segnalazione interna o esterna vi sarebbe stato il rischio di ritorsioni o la segnalazione non avrebbe garantito sufficienti garanzie di efficacia in base alle circostanze del caso di specie.

La divulgazione pubblica (a determinate condizioni) sopra citata non trova riscontro nella legge italiana.

Tutela dei segnalatori

Ai sensi della Direttiva, gli Stati membri debbono provvedere affinché, fatte salve specifiche eccezioni, l’identità della persona segnalante non sia divulgata, senza il suo consenso esplicito, a nessuno che non faccia parte del personale autorizzato competente a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni. Altrettanto vale per qualsiasi altra informazione da cui si possa dedurre direttamente o indirettamente l’identità del segnalante.

Sempre ai sensi della Direttiva, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per vietare qualsiasi forma di ritorsione contro la personale segnalante, inclusi, tra le altre, il licenziamento, il mutamento di mansioni, la riduzione dello stipendio o la modifica dell’orario di lavoro e la comminazione di sanzioni disciplinari.

Trattamento dei dati personali

La raccolta e il trattamento dei dati dovranno essere effettuati nel rispetto di quanto previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 in materia di protezione dei dati personali.

I dati personali che manifestamente non sono utili al trattamento di una specifica segnalazione, secondo la Direttiva, non devono essere raccolti o, se raccolti accidentalmente, devono essere cancellati senza indugio.

Sanzioni

Ai sensi della Direttiva, dovrebbero essere previste sanzioni elevate in capo a coloro che avranno atteggiamenti ostruzionistici nei confronti delle persone segnalanti. E sanzioni dovrebbero essere disposte anche contro le persone che segnalano o divulgano pubblicamente informazioni su violazioni che risultano scientemente false.

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Non resta che attendere la pubblicazione in Gazzetta del Decreto Legislativo di recepimento della Direttiva.

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