A fronte dell’emergenza pandemica in corso che continua ad interessare tutto il nostro Paese, il Legislatore e il Governo hanno inteso introdurre norme volte alla salvaguardia dei posti di lavoro, consentendo la fruizione delle integrazioni salariali e imponendo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966 e di licenziamento collettivo ai sensi della L. n. 223/1991, fatta eccezione per le ipotesi che seguono:

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, con messa in liquidazione della società (si noti bene: la chiusura di una unità produttiva di per sé non porta alla sospensione del blocco);
  • accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con un incentivo alla risoluzione del rapporto per i dipendenti che aderiscono ai quali viene riconosciuto il diritto alla NASPI, pur trattandosi di una risoluzione consensuale (sembrerebbero escluse le articolazioni territoriali o aziendali);.
  • fallimento senza alcun esercizio provvisorio dell’attività, con cessazione totale della stessa (si noti bene: nel caso in cui sia stato disposto l’esercizio provvisorio dell’attività da parte di un ramo dell’azienda, resteranno esclusi i settori non compresi nel fallimento).

Con riguardo alla fattispecie in esame nel presente contributo, è stata introdotta anche un’ulteriore attenuazione rispetto al divieto di licenziamento, che opera a prescindere dai limiti dimensionali del datore di lavoro. La conversione del D.L. n. 18/2020, attraverso la L. n. 27/2020, ha infatti modificato l’art. 46, in tema di sospensione dei licenziamenti secondo cui la sospensione delle procedure collettive di riduzione di personale e quelle dovute a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, non si applicano nelle «ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto».

Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203del 14 agosto 2020 il Decreto-legge 14agosto 2020 n. 104 (cd. “Decreto Agosto”), rubricato ”Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”.

Di seguito vengono riassunte le principali novità connesse ai profili lavoristici introdotte dal Decreto Agosto.

A. Nuovi trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga

  1. Sono state introdotte ulteriori diciotto settimane di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga fruibili nel periodo dal 13 luglio 2020 al 31 dicembre 2020.Viene precisato che i periodi di integrazione autorizzati ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge n. 27/2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020 sono imputati alle prime nove settimane introdotte dal Decreto Agosto.
  2. Si prevede, inoltre, che l’accesso alle seconde nove settimane di integrazione salariale sia ammesso solo qualora sia stato interamente autorizzato e sia decorso il precedente periodo di nove settimane.

– al 9% se hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al 20%;

– al 18% se non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato.

Il contributo addizionale non è dovuto dai datori di lavoro che hanno subìto una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e per coloro che hanno avviato l’attività di imprese successivamente al primo gennaio 2019.

B. Esonero dal versamento dei contributi previdenziali

  • Ai datori di lavoro che non richiedono l’estensione dei trattamenti di cassa integrazione viene riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali per un massimo di 4 mesi, fruibili entro il prossimo 31 dicembre. Sempre fino al prossimo 31 dicembre i datori di lavoro che assumono lavoratori a tempo indeterminato in presenza di un aumento dell’occupazione netta sono esonerati dal versamento dei contributi previdenziali per massimo 6 mesi dall’assunzione.

C. Modifiche in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine

  • Viene prorogato dal 31 agosto al 31 dicembre 2020 il termine entro il quale i datori di lavoro potranno prorogare o rinnovare i contratti a tempo determinato anche in assenza delle causali prescritte dall’art. 19, comma 1, del Decreto Legislativo 81/ 2015.
  • Viene specificato che l’eventuale rinnovo o proroga potrà avere una durata massima di 12 mesi e si potrà usufruire del regime speciale solo per una volta sia in caso di proroga che di rinnovo. Dovrà in ogni caso essere rispettato il limite di durata massima dei contratti di lavoro a tempo determinato (24 mesi).
  • La deroga alle causali potrà applicarsi anche a quei contratti a tempo determinato che non erano in essere alla data del 23 febbraio 2020.
  • Viene infine abrogato il comma 1 bis dell’art. 93 del decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, che prevedeva la proroga automatica dei contratti di lavoro di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e il certificato di specializzazione tecnica superiore, di alta formazione e ricerca e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche  in  regime  di somministrazione per una  durata  pari  al  periodo  di sospensione dell’ attività lavorativa, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

D. Proroghe e nuove disposizioni in materia di licenziamenti

  • Viene confermato il divieto dei licenziamenti collettivi ed individuali per giustificato motivo oggettivo, così come la sospensione delle procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, per tutti i datori di lavoro che non abbiano interamente fruito delle nuove 18 settimane di ammortizzatori sociali ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del Decreto ad eccezione dei casi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.
  • Vengono esclusi dal divieto in esame:
  • i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale dell’attività medesima,  qualora nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c., ovvero (ii) nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione   del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
  • i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.  Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
  • Viene, altresì, confermato che il datore di lavoro – il quale, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel corso del 2020, abbia proceduto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo – può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge n. 300/1970, revocare in ogni tempo il recesso stesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale con causale COVID, a partire dalla data di efficacia del licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

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I soci e collaboratori dello studio legale De Luca & Partners rimangono a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.

Con la recente ordinanza n. 1170 del 17 giugno scorso, la Cassazione ha fornito interessanti chiarimenti sull’ambito di applicazione del IV comma dell’art. 18 Stat. Lav., norma che – come noto – dispone la reintegrazione in servizio del dipendente illegittimamente licenziato ove venga accertata l’insussistenza del fatto contestato ovvero qualora la condotta rientri tra quelle punibili con una sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi.

Nel caso in esame il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa un dipendente assunto ante Job Act con funzione di responsabile del servizio di contabilità per aver operato senza la necessaria diligenza nell’attività di contabilizzazione.

La Corte d’Appello di Roma – pur accertando, da un lato, la sussistenza del fatto contestato ritenuto, tuttavia, non grave da giustificare il recesso e, dall’altro, l’assenza di specifiche condotte tipizzate nel contratto collettivo – confermava la pronuncia di primo grado, dichiarando l’illegittimità del licenziamento con condanna del datore alla reintegra in servizio del dipendente e alla corresponsione di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto ai sensi del IV comma dell’art. 18 Stat. Lav.

I giudici di merito avevano fondato il proprio convincimento sulla base di una norma di chiusura contenuta nel CCNL che prevedeva l’irrogazione della sanzione conservativa per “quelle mancanze le quali, anche in considerazione delle circostanze speciali che le hanno accompagnate, non siano così gravi da rendere applicabile una maggiore punizione”.

Sulla base di tale previsione contrattuale, la corte territoriale statuiva che, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della novella del 2012, la tutela reale non richiedeva che la norma collettiva prendesse in considerazione lo specifico comportamento del dipendente, risultando applicabile anche “laddove dovesse esistere una ben precisa fattispecie disciplinare, ancorché di carattere generale o “di chiusura” nella quale incasellare il comportamento contestato.

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Fonte: Il Quotidiano del Lavoro

L’Ufficio stampa della Corte Costituzionale lo scorso 25 giugno ha diramato un comunicato per informare che la Consulta ha esaminato, il precedente 24 giugno, le questioni di illegittimità costituzionali sollevate dai Tribunale di Roma e di Bari con riguardo ai criteri di determinazione dell’indennità da corrispondere in presenza di un licenziamento viziato solo da un punto di vista formale e procedurale ex art. 4 del D.Lgs. 23/2015. Nello specifico l’Ufficio ha fatto sapere che è stato dichiarato incostituzionale l’inciso “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. Ciò in quanto, a parere della Corte Costituzionale, lo stesso fissa un criterio rigido ed automatico, legato al solo elemento dell’anzianità di servizio. La Consulta torna così a bocciare il Jobs Act. Si era, infatti, già espressa sul punto nel 2018 allorquando aveva dichiarato illegittimo l’art. 3, comma 1, del D.Lgs 23/2015 limitatamente al criterio di determinazione dell’indennità, da riconoscere in caso di licenziamento privo di giusta causa e giustificato motivo, automaticamente e unicamente ancorato all’anzianità di servizio. Si attendono ora le motivazioni della sentenza che saranno depositate nelle prossime settimane.

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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (“INL”) il 3 giugno 2020 ha emanato la nota n. 160, con cui fornisce chiarimenti in merito alle modifiche e integrazioni apportate al D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (“Decreto Cura Italia”), convertito in  L. n. 27 del 24 aprile 2020, dal D.L. n. 34 del 20 maggio 2020 (“Decreto Rilancio”).

In questa sede, si presterà attenzione alle indicazioni fornite dall’INL in merito ai licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo e alla proroga o rinnovi del contratto a termine.

1.         Licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo

L’INL precisa che, in sede di conversione in legge del Decreto Cura Italia, è stata introdotta una nuova esclusione del divieto di licenziamento nel caso in cui “il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto”.

Pertanto, solo nel caso in cui il nuovo appaltatore proceda con l’assunzione del dipendente, il recesso ad opera del datore di lavoro dal precedente rapporto si ritiene legittimo. Viceversa non potrà procedersi con il licenziamento di quel lavoratore che non è riassunto dal nuovo appaltatore.

Riguardo alla proroga del divieto, viene ribadito che non potranno essere avviate le procedure di licenziamento collettivo a decorrere dal 17 marzo 2020 e fino al 17 agosto 2020, mentre quelle pendenti, avviate dopo il 23 febbraio, sono sospese per il medesimo periodo.

Coerentemente, il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 7, L. n. 604/1966 è prorogato per il medesimo periodo e viene prevista la sospensione delle relative procedure in corso, cioè quelle non ancora definite alla data di entrata in vigore del Decreto Rilancio.

La nota riprende poi il contenuto del co. 1 bis secondo cui, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia esercitato il recesso nel periodo compreso fra il 23 febbraio e il 17 marzo, lo stesso può revocarlo purché “contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, di cui all’articolo 22, dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento” ed “in tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro”.

L’INL non chiarisce, tuttavia, come gestire:

  • quei licenziamenti attuati il 17 e il 18 maggio 2020 in virtù del ritardo dell’emanazione del Decreto Rilancio, fermo restando che non si veda come possa derogarsi al principio dell’irretroattività delle norme;
  • quei licenziamenti di dirigenti, formalmente esclusi dal divieto di licenziamento in quanto la norma si riferisce espressamente ai rapporti rientranti nell’art. 7 L. n. 604/2020.

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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.