Parità di genere nel settore moda: tra inclusività, obblighi normativi e pratiche virtuose
Il settore della moda si trova oggi a confrontarsi con principi come l’inclusività e la parità di genere. Principi che non devono intendersi applicabili solo alle scelte creative o comunicative proprie del settore ma ad obblighi etici e normativi che prevedono il rispetto dei diritti della persona e la responsabilità sociale delle imprese.
L’ordinamento italiano, ad oggi, prevede il:
In aggiunta a ciò, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha introdotto la “Certificazione per la parità di genere”. Disciplinata dal Codice delle pari opportunità e dalla Legge 162/2021, il sistema di certificazione è regolato dalla UNI/PdR 125:2022. Ossia una prassi di riferimento che valuta le politiche aziendali in materia di inclusione, parità retributiva, accesso alle posizioni apicali, conciliazione vita-lavoro e tutela della genitorialità.
A livello europeo, la Strategia per la parità di genere 2020–2025 e la Direttiva UE 2023/970 sulla trasparenza salariale, si pongono l’obiettivo di rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.
A differenza della “Certificazione per la parità di genere” che costituisce uno strumento volontario, gli Stati Membri dovranno recepire la Direttiva entro il 7 giugno 2026. Nel frattempo, è opportuno che le imprese italiane inizino a familiarizzare con i nuovi obblighi previsti considerando l’impatto che gli stessi avranno nelle politiche aziendali tanto nella fase di recruitment e on boarding quanto in quella di gestione del rapporto di lavoro. E in questo scenario, vale la pena rilevare che ottenere la “Certificazione per la parità di genere” rappresenta un importante vantaggio nel percorso di adeguamento alla Direttiva.
Nonostante la forte presenza femminile nel settore, numerosi studi hanno evidenziato che le posizioni dirigenziali e creative sono ancora occupate prevalentemente da uomini.
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In occasione del nostro ultimo Team Meeting tra i vari argomenti, abbiamo presentato una relazione sull’ultima Direttiva UE in materia di parità retributiva di genere.
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. »
D.lgs. 198/2006 (come modificato dalla Legge n. 162/2021) – Codice delle pari opportunità
Benefici:
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Sia nel pubblico che nel privato tutti i lavoratori dovranno avere accesso alle informazioni sui livelli salariali individuali e su quelli medi ripartiti per genere
Entro il 7 giugno 2026 gli Stati della Ue devono recepire la direttiva Europea 2023/970, che introduce nuovi obblighi per i datori di lavoro in materia di trasparenza e parità salariale ed è entrata in vigore il 6 giugno 2023.
L’obiettivo del legislatore europeo è quello di ridurre il divario salariale attraverso l’introduzione di specifici obblighi di trasparenza delle retribuzioni.
Secondo quanto dichiarato nei “considerando” della direttiva, infatti, nell’ambito della Ue le donne guadagnerebbero, a parità di mansioni, in media il 13% in meno degli uomini e questo divario deriva «da una mancanza di trasparenza nei sistemi retributivi».
Entrando nel dettaglio delle previsioni comunitarie, l’ambito di applicazione della direttiva abbraccia tutti i datori di lavoro, sia pubblici che privati, e impone obblighi di trasparenza salariale già dalla fase di selezione.
In particolare, per quanto riguarda la fase preassuntiva è previsto l’obbligo per i datori di lavoro di fornire ai candidati e alle candidate a una posizione lavorativa informazioni dettagliate relative ai livelli salariali specifici per una determinata mansione. In più, sarà impedito ai datori di lavoro di richiedere informazioni sulle retribuzioni attuali o passate dei candidati e delle candidate.
In costanza di rapporto di lavoro, invece, è previsto l’obbligo per i datori di lavoro di consentire a tutti i lavoratori e a tutte le lavoratrici di accedere alle informazioni sui livelli salariali individuali e su quelli medi ripartiti per genere.
Ulteriori obblighi di informazione e trasparenza sono previsti poi relativamente alle informazioni sul divario retributivo di genere individuato per categorie di lavoratori e ripartito in base alle componenti fisse e variabili della retribuzione. Tali informazioni dovranno infatti essere destinate a tutti i lavoratori e alle lavoratrici, ai loro rappresentanti e, su richiesta, all’Ispettorato del lavoro e agli organismi di parità.
Tali soggetti, in forza della direttiva, sono legittimati a chiedere chiarimenti rispetto alle informazioni fornite e qualora eventuali differenze salariali rilevate non siano giustificate da criteri oggettivi, sarà obbligo dei datori di lavoro porvi rimedio.
Quanto alle tempistiche e alla periodicità delle comunicazioni in questione, queste si differenziano a seconda delle dimensioni occupazionali delle imprese. In particolare:
1) per i datori di lavoro con almeno 250 dipendenti, l’obbligo scatterà dal 7 giugno 2027 e avrà periodicità annuale; 2) per i datori di lavoro con una forza lavoro compresa tra 150 e 249 risorse, l’obbligo avrà una periodicità triennale con decorrenza dal 7 giugno 2027;
3) per i datori che impieghino tra 100 e 149 risorse l’obbligo avrà una periodicità triennale con decorrenza dal 7 giugno 2031.
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Il 23 novembre Stefania Raviele ha partecipato alla terza edizione di WomenX Impact la manifestazione nata da un’idea di Eleonora Rocca per dar voce alle donne, che si sono distinte nei loro percorsi di carriera, e alle aziende, che si sono impegnate con progetti importanti in ambito Diversity & Inclusion.
Durante l’evento, insieme ad Alice Farella Monti, Stefania ha tenuto un keynote speech intitolato: “Killing It softly: come uccidere i bias di genere che impattano la tua carriera” e ha affrontato l’importanza di riconoscere e comprendere i pregiudizi per imparare non solo a combatterli, ma anche a evitare di normalizzarli.
La Direttiva 2023/970, che introduce nuove tutele per i lavoratori e nuovi obblighi per i datori di lavoro in materia di parità salariale e trasparenza, prevede che gli Stati membri saranno tenuti ad adeguare le loro legislazioni locali, promuovendo (e persino imponendo) la trasparenza salariale anche nel rapporto di lavoro privato.
Gli stessi obblighi saranno previsti per i datori di lavoro che impieghino tra le 150 e le 249 risorse, i quali saranno tenuti a fornire le informazioni entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni. I datori che impieghino, invece, tra 100 e 149 risorse avranno tempo fino al 7 giugno 2031 e successivamente ogni 3 anni.
Nel nostro Paese, come evidenziato, l’attuazione di quanto disposto dalla Direttiva avrà sicuramente un impatto in materia giuslavoristica: in primo luogo, infatti, sarà sicuramente necessario adattare alcune norme già esistenti, come, ad esempio, quelle relative ai tempi e ai modi di effettuazione delle comunicazioni all’Ispettorato Nazionale del Lavoro e agli altri organismi di controllo.
Anche i contratti collettivi verranno prevedibilmente interessati dall’attuazione della Direttiva, con la probabile introduzione di alcuni specifici meccanismi di consultazione e comunicazione con gli interlocutori sindacali, secondo un meccanismo già rodato, essendo già esistente per i dati occupazionali e di andamento dell’impresa.
Sempre in ambito attuativo, è altamente probabile che a livello di legislazione nazionale venga istituito un meccanismo di controllo e, se del caso, di sanzioni per le violazioni degli obblighi stabiliti. In linea con le premesse della Direttiva, inoltre, gli organismi di parità avranno un ruolo di rilievo sia nella supervisione che nell’applicazione di sanzioni. Riguardo a quest’ultimo aspetto, la possibilità per gli organismi di parità di agire in rappresentanza dei lavoratori contribuirebbe a migliorare l’efficacia e la sostenibilità economica della tutela dei diritti delle parti interessate.
L’introduzione della nuova normativa andrà ad aggiungersi e ad ampliare la portata delle protezioni già esistenti. Esempio ne è il D.Lgs. n. 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità), che già contiene al suo interno delle norme sulla parità di retribuzione, il quale verrà ampliato ed integrato dalla nuova normativa con riferimento agli oneri a carico del datore di lavoro in caso di denuncia di comportamenti di discriminazione salariale.
In proposito, l’attuale formulazione del Codice delle pari opportunità attualmente include un particolare meccanismo di ripartizione dell’onere della prova nei casi di presunta discriminazione salariale. Questo meccanismo prevede che il denunziante debba sopportare un onere della prova ridotto rispetto alle regole generali del processo civile, mentre il datore di lavoro è responsabile di dimostrare l’assenza di discriminazione. La Direttiva amplierebbe ulteriormente questa protezione, introducendo esplicitamente un concetto di “inversione dell’onere della prova”. Di conseguenza, il datore di lavoro si troverà prevedibilmente a dover dimostrare non solo l’assenza di discriminazione, ma anche di aver adempiuto in modo corretto e tempestivo a tutti gli obblighi normativi pertinenti. Ciò comporterebbe una maggiore protezione e garanzia per le persone che si ritengono vittime di discriminazione salariale.
Più difficile, invece, è immaginare che dalla violazione di quanto disposto in attuazione della normativa in questione possano emergere nuove voci di danno, essendo risarcibile esclusivamente il danno effettivamente sofferto dalla parte lesa, nelle sue diverse forme e non trovando dimora nel nostro ordinamento di diritto civile altre voci di danno (come ad esempio i c.d. danni puntivi di matrice anglosassone).
Infine, la legislazione attuativa avrà il difficile compito di rispondere ad una serie di interrogativi che hanno tutt’altro che un trascurabile impatto pratico: cosa accadrà in situazioni in cui non esistano punti di riferimento concreti per effettuare un confronto, come nel caso di mansioni assegnate a un unico dipendente? Sarà possibile fare affidamento su dati statistici o sarà necessario valutare la situazione in tempo reale? Quali implicazioni comporterà l’attuazione di politiche retributive molto diversificate? Come potranno i datori di lavoro proteggere la confidenzialità delle proprie politiche retributive, evitando al contempo di rendere queste informazioni note alla concorrenza?
Il legislatore dovrà tener conto preventivamente di queste questioni per gestire in modo efficace e sicuro l’impatto della Direttiva e le introduzioni normative che mirano a promuovere la parità di genere, poiché sembrano rappresentare una vera e propria rivoluzione normativa in questo ambito.
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