Addio al Rito Fornero, ma solo per le cause iniziate dopo il 28 febbraio 2023 (Modulo 24 Contenzioso Lavoro de Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2025 – Vittorio De Luca, Alessandra Zilla)

Categorie: Insights, Pubblicazioni, News, Pubblicazioni | Tag: Rito Fornero, licenziamenti

06 Giu 2025

Con la recentissima sentenza n. 11344 del 30 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che i procedimenti giudiziali introdotti con il c.d. Rito Fornero prima del 28 febbraio 2023 continuano ad essere disciplinati, anche nelle fasi di impugnazione, dalle disposizioni dettate dal medesimo rito, sebbene lo stesso sia stato abrogato dalla c.d. Riforma Cartabia.

Successione di norme processuali in materia di impugnazione del licenziamento e regime transitorio

Il c.d. “rito Fornero” era stato introdotto dalla legge n. 92/2012 (art. 1, commi 47 – 69) per rispondere alla necessità di assicurare celerità nella risoluzione delle controversie in materia di licenziamento.

Se le intenzioni del legislatore erano condivisibili, sin dalle prime applicazioni erano apparsi evidenti i vizi genetici di quella traduzione normativa.

Infatti, il rito Fornero, applicabile soltanto ai licenziamenti disciplinati dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, implicava che la domanda giudiziale potesse riguardare solamente la legittimità del licenziamento e le questioni “fondate sui medesimi fatti costitutivi”. Ciò ha comportato, da un lato, dubbi interpretativi sulle domande ammissibili con tale rito e, dall’altro, un frazionamento delle domande giudiziali connesse al rapporto lavorativo, con conseguente inevitabile proliferazione del contenzioso giudiziario.

Inoltre, il procedimento prevedeva lo svolgimento di due fasi in primo grado davanti allo stesso giudice del lavoro: una prima, c.d. sommaria, introdotta con sostanziale libertà di forma e definita con ordinanza, e una seconda fase di opposizione, a cognizione piena, definita con sentenza.

Al fine di assicurare la celerità del procedimento, il rito Fornero aveva altresì introdotto nuovi termini di impugnazione.

In particolare, la sentenza pronunciata nella fase di opposizione poteva essere impugnata con reclamo dinanzi alla Corte d’Appello entro il termine decadenziale di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione del provvedimento a cura della cancelleria o dalla notificazione ad opera della controparte, se anteriore. Con riferimento poi al giudizio di legittimità, l’articolo 1 comma 62 della legge n. 92/12, prevedeva che “il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore”.

La previsione di un termine (di durata pari a quelli brevi dettati dall’art. 325 c.p.c.) con decorrenza non solo da un atto di iniziativa di parte (la notifica), ma altresì da un fattore esterno alle parti stesse (la comunicazione da parte della Cancelleria) aveva, di fatto, limitato (se non addirittura azzerato) la possibilità, nell’ambito del c.d. rito Fornero, di beneficiare del c.d. termine lungo di impugnazione, pari a 6 mesi, previsto dall’art. 327 c.p.c.

La riflessione sulla evidente scarsa efficacia del rito Fornero, quanto alla possibilità di spiegare quell’effetto deflattivo prefisso, aveva condotto il legislatore già ad un suo “ridimensionamento applicativo” ad opera del D.Lgs. n. 23/2015, che ne aveva escluso l’applicazione ai licenziamenti soggetti al regime delle c.d. “tutele crescenti”, per tutti i rapporti di lavoro instaurati dal 7 marzo 2015.

Del resto, il cd. Rito Fornero non era mai stato particolarmente apprezzato da parte degli addetti ai lavori e ne era stata proposta l’abrogazione anche da parte della «Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi» (istituita presso il Ministero della Giustizia con D.M.12 marzo 2021) e ciò con il duplice fine di “semplificare e chiarire il quadro normativo della disciplina processuale nella materia dei licenziamenti” e di “superare le difficoltà interpretative e applicative che ha fatto emergere l’articolo 1, commi 48 ss., della legge 12 giugno 2012, n. 92, fin dalla sua introduzione, con inevitabili ricadute per i rapporti fra datore di lavoro e lavoratore”.

Il D.Lgs. n. 149/2022 (art. 3, co. 32) – la c.d. Riforma Cartabia – ha cambiato nuovamente le regole processuali afferenti i licenziamenti, attraverso, da un lato, l’introduzione degli artt. 441 bis, ter e quater al codice di procedura civile, che confermano ancora una volta l’attualità della ricerca della celerità della risoluzione delle controversie in materia di licenziamenti e, dall’altro, con l’abrogazione del rito Fornero.

Proprio con riferimento all’abrogazione dei commi da 47 a 69 dell’art. 1 della legge n. 92/2012 (art. 37 del D.Lgs. n. 149/2022), la Riforma Cartabia ha altresì previsto un regime transitorio, descritto all’art. 35 della novella legislativa.

Tale norma prevede, al comma 1, che “le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 ([1]) e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti”.

Con riferimento al primo comma dell’articolo in commento, la Relazione Illustrativa che accompagna il testo della riforma ha precisato che “In via generale, l’articolo 35 prevede al comma 1, al fine di consentire un avvio consapevole, da parte degli operatori, delle novità normative, che le disposizioni recate dal decreto legislativo hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, con la precisazione – a fugare possibili dubbi interpretativi – che ai procedimenti pendenti a quella data continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti”.

Così facendo, prosegue la Relazione, “ci si è assicurati che l’abrogazione delle norme preesistenti e l’applicazione delle nuove norme (si pensi, ad esempio, all’abrogazione del c.d. “rito Fornero” e alle nuove disposizioni in tema di procedimenti di impugnazione dei licenziamenti) operino contestualmente“.

Fermo quanto sopra, occorre rilevare che l’articolo 35 della Riforma Cartabia, prevede, al quarto comma, che “Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283434436-bis437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023”.

Ebbene – per quanto qui di interesse – il quarto comma sopra citato richiama gli articoli 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile (che, come noto, disciplinano il ricorso in appello relativo alle controversie individuali di lavoro), statuendo che le novità legislative modificative di tali articoli “si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023”.

Il combinato disposto del primo e del quarto comma dell’art. 35 ha creato dubbi interpretativi in merito alle modalità e ai termini di decadenza relativi all’impugnazione delle sentenze afferenti ai licenziamenti.

Con la sentenza in commento – e sulla base delle condivisibili argomentazioni che verranno di seguito analizzate – la Suprema Corte ha fugato ogni dubbio, chiarendo che i procedimenti giudiziali introdotti con il rito Fornero prima del 28 febbraio 2023 continuano ad essere disciplinati, anche nelle fasi di impugnazione, dal medesimo rito.

Il fatto affrontato e l’esito dei giudizi di merito 

La vicenda trae origine dall’impugnazione del licenziamento da parte di un lavoratore assunto prima del marzo 2015 e, quindi, soggetto alle tutele di cui all’art. 18 Stat. Lav.

Per comprendere appieno la fattispecie in esame e le motivazioni espresse dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, è opportuno ricostruire le diverse fasi processuali, anche sotto il profilo cronologico.

Il licenziamento veniva impugnato nell’ottobre 2021 con ricorso ex art. 1, commi 47 e ss. della legge 92/2012. Il Tribunale, con ordinanza del 9 novembre 2022, a definizione della fase sommaria, rigettava il ricorso. Il dipendente proponeva quindi opposizione avverso l’ordinanza e il Tribunale, con sentenza del 6 giugno 2023, rigettava l’opposizione.

Circa sei mesi dopo, in data 1° dicembre 2023, il ricorrente adiva la Corte territoriale, depositando ricorso in appello (anziché reclamo) avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale all’esito della fase di opposizione.

La Corte d’Appello giudicava tardiva e, dunque, inammissibile l’impugnazione, in quanto proposta dal dipendente nel termine di sei mesi anziché in quello di trenta giorni previsto per il reclamo.

La Corte di merito interpretava, infatti, gli artt. 35 e 37 del D.Lgs. n. 149 del 2022 ritenendo che l’abrogazione del rito cd. Fornero trovasse applicazione solo per i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023 e che il procedimento in oggetto, in quanto instaurato in epoca anteriore, fosse regolato dalle disposizioni processuali anteriormente vigenti, e quindi dall’art. 1, commi 47 e ss. della legge 92 del 2012.  


[1] L’art. 1, comma 380, della legge n. 197/2022 (legge di approvazione del bilancio) ha modificato l’art. 35, anticipando l’efficacia di cui al primo comma dal 30 giugno 2023 al 28 febbraio 2023.

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