In data 16 giugno 2021, Confcommercio Imprese per l’Italia e Manageritalia hanno sottoscritto un accordo per la proroga sino al 31 dicembre 2021 dell’attuale vigenza del CCNL del 21 luglio 2016. Con lo stesso accordo le Parti Sociali hanno modificato alcune previsioni relativi ad istituti regolati dal CCNL stesso. Entrando nel dettaglio delle principali novità, viene confermata la durata massima del periodo di comporto in 240 giorni in un anno solare con la precisazione che per “anno solare” s’intende il periodo a ritroso di 365 giorni rispetto all’ultimo evento morboso. Inoltre, dal 1° luglio 2021,  il datore di lavoro dovrà corrispondere al CFMT (Centro di Formazione Management del Terziario),  un contributo pari a 2.500 Euro – in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, anche a seguito di accordo transattivo o conciliazione, fatta eccezione per le ipotesi di cessazione per giusta causa, licenziamento disciplinare, dimissioni volontarie e risoluzione consensuale – per l’attivazione di un servizio di outplacement o per l’accesso a programmi di politiche attive finalizzate alla ricollocazione dei dirigenti. Vengono anche introdotte novità con riferimento ai termini di decorrenza del periodo di preavviso in caso di dimissioni o licenziamento. Per quanto riguarda le dimissioni, a far data dal 1° luglio 2021 il periodo di preavviso decorre dal 1° o dal 16° giorno di ciascun mese, a seconda che la comunicazione delle dimissioni pervenga al datore di lavoro, rispettivamente, nella seconda quindicina del mese antecedente o nella prima quindicina del mese corrente. Ugualmente, a far data dal 1° luglio 2021, il periodo di preavviso in caso di licenziamento decorre dal 1° o dal 16° giorno di ciascun mese a seconda che la comunicazione di licenziamento pervenga al dirigente, rispettivamente, nella seconda quindicina del mese antecedente o nella prima quindicina del mese corrente. Il dirigente avrà, altresì, diritto a percepire per intero la retribuzione ad egli spettante per la frazione di mese in cui è stata ricevuta la comunicazione di licenziamento.

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Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 12 aprile 2021, ha ritenuto nullo il recesso anticipato di una società, operante nel food delivery (servizio a domicilio), dal contratto di collaborazione a termine in essere con un proprio lavoratore (ciclofattorino). Ciò in quanto la risoluzione anticipata era stata la diretta conseguenza della indisponibilità del lavoratore ad accettare quale fonte regolatrice del rapporto di lavoro il contratto collettivo di categoria dalla stessa scelto e sottoscritto da associazioni sindacali a cui egli non aveva aderito. Il Tribunale, richiamando precedenti della giurispridenza di legttimità in tema di efficacia soggettiva dei contratti collettivi, ha osservato che non esiste nel nostro sistema delle relazioni industriali alcun dovere del signolo lavoratore di accettare passivamente l’applicazione di un accordo sindacale in cui non si riconosce. Secondo il Tribunale, la società avrebbe potuto decidere di recedere ante tempus dal contratto di collaborazione solo nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Principi che non sarebbero stati rispettati poiché la risoluzione non era “necessitata” e la mancata prosecuzione del rapporto con il lavoratore si è palesata proprio come una “discriminazione per motivi sindacali”. Il Tribunale ha così ordinato alla società il ripristino del rapporto di collaborazione alle medesime condizioni di cui al contratto risolto, condannandola, altresì, a corrispondere al lavoratore le retribuzioni che avrebbe percepito dalla illegittima risoluzione del rapporto fino al suo effettivo ripristino, oltre il risarcimendo del danno non patrimoniale.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27757, pubblicata il 3 dicembre 2020, ha affermato che il rinnovo di un Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (“CCNL”) sottoscritto esclusivamente da alcune associazioni datoriali, non pregiudica l’applicazione delle clausole relative al trattamento retributivo anche alle imprese che aderiscono alle associazioni sindacali non firmatarie dello stesso. Nello specifico un lavoratore aveva ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento di una determinata somma, di cui una quota imputata alla mancata corresponsione degli aumenti contrattuali previsti dal CCNL di settore e una quota quale conseguenza degli aumenti contrattuali previsti dal CCNL rinnovato. Il decreto veniva confermato in primo grado mentre in secondo grado veniva revocato e la società condannata al pagamento della differenza tra l’importo di cui al decreto ingiuntivo e la somma dalla stessa erogata al lavoratore a titolo di una tantum in esecuzione di un accordo conciliativo intervenuto tra i sindacati dei lavoratori e quelli datoriali che non avevano inizialmente firmato il rinnovo. Secono la Suprema Corte, adita dalla società datrice di lavoro, nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal CCNL acquista, seppur in via generale, una “presunzione” di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzione ivi stabilite.     

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27422 del 1° dicembre 2020, ha stabilito che la previsione del contratto collettivo nazionale per cui i lavoratori sono chiamati a osservare non solo le disposizioni in esso contenute ma anche quelle stabilite nei regolamenti interni, non vincola automaticamente i dipendenti all’obbligo risarcitorio eventualmente previsto in presenza di una violazione delle sue disposizioni.

I fatti di causa

Nel caso di specie un’azienda aveva effettuato una trattenuta sulla busta paga di un dipendente in relazione ad una contestata incauta custodia di 56 biglietti sottratti allo stesso in occasione del furto di un borsello. Ciò, in forza della previsione contenuta in una circolare interna, precedentemente comunicata ai dipendenti, secondo la quale in caso di smarrimento dei biglietti vi era a loro carico un obbligo di risarcimento in un determinato ammontare. Ad avviso dell’azienda la disposizione era immediatamente applicabile proprio in forza del richiamo operato dal CCNL di settore ai regolamenti interni, cui i dipendenti erano tenuti a conformarsi. Non è stata dello stesso parere la Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Secondo la Suprema Corte la previsione di un danno risarcibile in una circolare o in un regolamento interno per la violazione di una sua disposizione equivale a una clausola penale che, in quanto tale, vincola i dipendenti, solo a fronte della loro espressa accettazione.

A parere della Corte di Cassazione, la clausola penale è un mezzo rafforzativo di specifici obblighi contrattuali e si configura come una “concordata liquidazione anticipata” del danno che deriva dalla loro violazione. La clausola penale presuppone, per le sue caratteristiche, un incontro di volontà che le parti formalizzano in un atto, la cui mancanza impedisce di esigerne l’applicazione. La previsione della penale non rientra tra i poteri unilaterali del datore di lavoro, in quanto ne sono presupposto insostituibile la sua contrattazione specifica e la sua formale approvazione.

Pertanto, i regolamenti, le circolari o gli ordini di servizio che prevedono un obbligo risarcitorio di determinato ammontare per essere vincolanti non possono essere semplicemente comunicati o affissi all’albo aziendale. E’ necessario un atto di adesione e di accettazione da parte di ogni singolo lavoratore.

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Il Ministero del Lavoro, in linea con quanto annunciato alle parti sociali in occasione dell’incontro del 18 novembre 2020, ha emanato, il successivo 19 novembre, la circolare n. 17 esplicativa del dettato normativo che regolamenta l’attività dei ciclo-fattorini (c.d. rider) delle piattaforme digitali.

In particolare, il Ministero ha delineato i caratteri essenziali del Decreto Legislativo del 15 giugno 2015, n. 81, come modificato e integrato dalla Legge del 2 novembre 2019, n. 128, di conversione del Decreto Legge n. 101/2019. Innanzitutto ha precisato, in premessa, che tale normativa si rivolge a due diverse platee di fattorini: da un lato quelli che collaborano con le piattaforme digitali sulla base di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e dall’altro, quelli che hanno un rapporto di lavoro autonomo.

Con riferimento alla prima platea la circolare ha chiarito che l’eventuale sussistenza di elementi attestanti la cosiddetta etero-organizzazione del fattorino rende operante il meccanismo di cui all’art. 2 del D. Lgs 81/2015 (come interpretato dalla sentenza 1663/2020 della Corte di Cassazione) secondo cui, alla collaborazione si applica la disciplina del lavoro subordinato. Ciò, salvo che non vi siano specifici accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore, prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo.

Mentre, con riferimento alla seconda categoria (i.e. quella che riconduce il rapporto nell’alveo del lavoro autonomo) la circolare ha evidenziato che, in mancanza dei requisiti di cui all’art. 2 del D. Lgs. 81/2015, ai fattorini devono essere garantiti i livelli minimi di tutela di cui al Capo V bis del D. Lgs. 81/2015.

Tra questi, l’articolo 47 quater, primo comma, demanda ai contratti collettivi la facoltà di definire criteri di determinazione del compenso complessivo, che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente. Il secondo comma stabilisce, poi, che in mancanza della stipula di tali contratti, i rider non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate e agli stessi deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari. Minimi tabellari, stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Si prevede inoltre, al terzo comma, che ai medesimi lavoratori deve essere, in ogni caso, garantita un’indennità integrativa non inferiore al 10%, per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni meteorologiche sfavorevoli, determinata dai contratti collettivi, o, in difetto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Inoltre, con riferimento alla contrattazione collettiva richiamata dal D. Lgs. 81/2015 il Ministero ha chiarito che i contratti collettivi abilitati a dettare una disciplina prevalente rispetto a quella legale sono, tanto nell’articolo 2, quanto nell’articolo 47 quater, quelli stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Ai fini dell’accertamento del requisito della maggior rappresentatività, secondo il Ministero, deve farsi riferimento: (i) agli indicatori tradizionali definiti dalla giurisprudenza (quali, ad esempio, la consistenza numerica del sindacato, una significativa presenza territoriale sul piano nazionale, la partecipazione ad azioni di autotutela, alla formazione e stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, l’intervento nelle controversie individuali, plurime e collettive); (ii) alla partecipazione degli agenti negoziali all’osservatorio permanente istituito dall’art. 47 octies del D. Lgs. 81/2015: (iii) alle parti firmatarie del contratto collettivo nazionale del più ampio settore, al cui interno, in ragione di particolari esigenze produttive ed organizzative, si avverte la necessità di prevedere discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo di determinate categorie di lavoratori.

Se mancano le condizioni sopra descritte, secondo il Ministero, l’accordo collettivo non è idoneo a derogare alla disciplina di legge e, pertanto, risulterà pienamente applicabile – a seconda dei casi – la previsione dell’articolo 2, primo comma, o quella dell’articolo 47 quater, secondo comma, del D. Lgs. 81/2015.

In questo contesto si insinua, visto il recente sviluppo del mercato del delivery food e la recente evoluzione sotto il punto di vista giuslavoristico, il protocollo sperimentale sottoscritto in data 6 novembre 2020, da Assodelivery e CGIL, CISL e UIL presso la Prefettura di Milano.

Con questo protocollo, volto al rispetto della legalità e ai diritti dei lavoratori del settore con lo scopo di costituire un valido contrasto allo sfruttamento lavorativo, le società aderenti a Assodelivery si impegnano, in particolare, a:

  • adottare, entro sei mesi dalla sua stipula sia un Codice Etico che Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001;
  • costituire un albo nazionale di società autorizzate per le consegne degli ordini al fine di operare esclusivamente attraverso dedicate piattaforme di delivery food senza più ricorrere ad aziende terze per reperire i rider;
  • vigilare sulle dinamiche lavorative dei rider attraverso un Organismo di Garanzia composto dai rappresentanti delle associazioni datoriali e delle organizzazioni sindacali;
  • a comunicare trimestralmente all’Organismo di Garanzia i dati anomali rilevati al fine di riconoscere una soglia di allarme a seguito della quale sarà necessario affrontare ulteriori problematiche e, se necessario, inviare specifiche segnalazione alla Procura della Repubblica.

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