Il Tribunale di Firenze, con decreto pubblicato il 9 febbraio 2021, ha osservato che la legittimazione ad azionare il procedimento per la repressione della condotta antisindacale prevista dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori non può essere estesa alle organizzazioni sindacali dei rider poiché questi non sono lavoratori subordinati.

I fatti di causa

Nel caso di specie, le tre organizzazioni territoriali della Cgil hanno presentato ricorso contro una società del food delivery, lamentando la condotta antisindacale attuata dalla stessa.

L’antisindacalità, secondo le OO.SS. ricorrenti, sarebbe consistita nell’avere l’azienda imposto ai rider l’applicazione del nuovo contratto collettivo di settore sottoscritto da Assodelivery (associazione dell’industria del food delivery) con Ugl riders. Contratto, tra l’altro, che era stato qualificato – non solo dai sindacati, ma anche dallo stesso Ministero del Lavoro – come “contratto pirata”, poiché stipulato con un sindacato compiacente e carente del necessario requisito della rappresentatività.

La decisione del Tribunale

Secondo il Tribunale adito l’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori – che legittima le articolazioni territoriali delle organizzazioni sindacali nazionali ad agire in giudizio qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale – è una garanzia tipica riconosciuta nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, non può essere estesa alle organizzazioni sindacali di soggetti, quali lavoratori autonomi o parasubordinati.

In conclusione, ad avviso del giudice, nei confronti dei rider non sono applicabili le tutele di cui all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, in quanto essi non sono lavoratori subordinati ma, al più, collaboratori autonomi ai quali è applicabile solo la disciplina sostanziale relativa al trattamento economico e normativo del lavoro subordinato.

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La Corte di Cassazione, con la sentenza 1 del 2 gennaio 2020, ha affermato che non devono confondersi i requisiti di cui all’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori per la costituzione di rappresentanze sindacali, titolari dei diritti di cui al titolo 3, con la legittimazione prevista dall’art. 28 del medesimo Statuto (repressione condotta sindacale). Ciò in quanto l’art 19 richiede la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o aziendali, purché applicati in azienda) oppure la partecipazione del sindacato alla negozazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti dei lavoratori. Invece, l’art. 28 richiede solo che l’associazione sia nazionale. Il relativo procedimento è riservato ai casi in cui venga in questione la tutela dell’interesse collettivo del sindacato al libero esercizio delle sue prerogative. Interesse questo che è distinto ed autonomo rispetto a quello dei singoli lavoratori. E nel caso di specie la Corte di Cassazione ha dichiarato antisindacale la condotta del datore di lavoro che aveva trasferito da uno stabilimento all’altro l’80% dei lavoratori iscritti o affiliati ad una determinata sigla sindacale, indipendentemente dal fatto che le esigenze aziendali poste a fondamento fossero risultate legittime. La condotta datoriale è stata considerata lesiva degli interessi collettivi di cui era portatrice l’organizzazione sindacale. A parere della Corte l’elemento statistico, dal quale emerga una situazione di svantaggio per la sigla sindacale, realizza una presunzione di discriminazione a fronte della quale è onere del datore di lavoro fornire la prova contraria.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 88 del 4 gennaio 2018, ha statuito che non è considerabile quale condotta antisindacale, la decisione del datore di lavoro di modificare l’orario di lavoro, senza consultare la delegazione sindacale, bensì fornendo una semplice informativa, se lo stesso si è limitato a dare esecuzione ad un accordo già raggiunto con le parti sociali. Nel caso di specie, Poste Italiane S.p.A. era stata convenuta in giudizio per condotta antisindacale sull’assunto che avesse proceduto ad una modifica dell’orario di lavoro in violazione delle disposizioni di cui al CCNL applicato, e cioè senza aver proceduto alla preventiva consultazione della delegazione sindacale. Tuttavia, la Corte di Cassazione, nel confermare decisione della Corte Territoriale, ha evidenziato che la società e le organizzazioni sindacali avevano raggiunto uno specifico Accordo operante in caso di nuovi regimi di orario la cui introduzione nell’unità produttiva di riferimento prevedeva l’obbligo di informativa alla Delegazione sindacale cui spettava l’onere, entro i cinque giorni, di provocare – se del caso – la consultazione. Orbene, a parere della Corte, la società aveva rispettato l’onere di informazione, essendo, invece, rimasta inattiva la Delegazione, con conseguente correttezza del comportamento aziendale dimostratosi rispettoso sia delle previsione del CCNL che dell’accordo sindacale.