Lo scorso mercoledì 24 aprile 2024, i deputati del Parlamento europeo hanno adottato il testo della nuova Direttiva sulle condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme digitali. Come si apprende dal comunicato stampa pubblicato sul sito istituzionale del Parlamento, la Direttiva “mira a garantire che i lavoratori delle piattaforme digitali dispongano di una classificazione corretta della loro posizione lavorativa e a correggere il lavoro autonomo fittizio” introducendo “una presunzione di rapporto di lavoro subordinato (rispetto al lavoro autonomo) quando sono presenti fatti che indicano il controllo e la direzione, conformemente al diritto nazionale e ai contratti collettivi […]”.

Tra le novità introdotte dalla Direttiva, per quanto qui di interesse, sono previste limitazioni del trattamento di dati personali effettuato mediante sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Non potranno, ad esempio, essere oggetto di alcuna operazione di trattamento (i) i dati relativi allo stato emotivo o psicologico della persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali; (ii) i dati personali relativi a conversazioni private; (iii) i dati appartenenti alla categoria dei dati particolari (ex dati sensibili) o i dati biometrici o, ancora, (iv) non potranno essere raccolti i dati del lavoratore che svolge attività tramite una piattaforma digitale quando non sta svolgendo la propria attività mediante la piattaforma stessa.

Tutto ciò, sarà valido e dovrà essere applicato sin dall’inizio delle procedure di assunzione e selezione e per tutta la durata del rapporto. Resta inteso che, considerata la tipologia di trattamento e l’elevato rischio che lo stesso può comportare per i diritti e le libertà delle persone fisiche, i trattamenti di dati effettuati tramite una piattaforma di lavoro digitale dovranno essere oggetto di apposite valutazioni di impatto ai sensi dell’articolo 35 del Regolamento (UE) 2016/679. Le valutazioni di impatto svolte dal datore di lavoro dovranno poi essere condivise con i rappresentanti dei lavoratori.

Un altro elemento fondamentale inerisce agli obblighi di trasparenza. Coloro che svolgono attività lavorative tramite piattaforme digitali dovranno essere puntualmente resi edotti, in maniera trasparente, intelligibile e facilmente accessibile con un linguaggio semplice e chiaro, su tutti i tipi di decisioni sostenute o prese da sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Aspetto questo che l’ordinamento nazionale italiano ha già avuto modo di “conoscere” tanto a seguito dell’introduzione delle disposizioni di cui al Regolamento (UE) 2016/679 quanto a seguito dell’adozione del c.d. Decreto Trasparenza.

Resta da ultimo inteso, che gli Stati membri dovranno imporre alle piattaforme di lavoro digitali di garantire risorse umane sufficienti per sorvegliare e valutare in modo efficace l’impatto delle decisioni individuali prese o sostenute dai sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.

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Le prossime fasi

Il testo approvato dal Parlamento europeo dovrà ora essere adottato formalmente anche dal Consiglio per poi essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Dopo la pubblicazione, ciascuno Stato Membro avrà due anni di tempo per integrare le nuove disposizioni nel proprio ordinamento nazionale.

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A far data dal prossimo 1° ottobre 2024, le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dal Testo Unico Sicurezza (nello specifico, art. 89, comma 1, lettera a), del Dlgs. 81/2008), sono tenuti al possesso di una patente rilasciata, in formato digitale, dalla competente sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

È quanto recentemente introdotto dall’articolo 29, comma 19, lettera a), D.L. 2 marzo 2024, n. 19, non ancora convertito in legge, che, sostituendo l’art. 27, comma 1), Testo Unico Sicurezza, introduce un sistema di qualificazione delle imprese, e dei lavoratori autonomi, tramite crediti. La patente sarà rilasciata a fronte del possesso di requisiti specificatamente individuati dalla norma, ossia: (i) l’iscrizione alla Camera di commercio; ​(ii) l’adempimento, da parte del datore di lavoro, dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori dell’impresa, degli obblighi formativi previsti dall’articolo 37 del Testo Unico Sicurezza; (iii) l’adempimento, da parte dei lavoratori autonomi, degli obblighi formativi;​ (iv) il possesso del Documento unico di regolarità contributiva (Durc) in corso di validità; (v) il possesso del Documento di valutazione dei rischi (DVR) ovvero ​(vi) il possesso del Documento unico di regolarità fiscale (Durf). ​

In attesa del rilascio della patente, salvo diversa comunicazione da parte dell’Ispettorato, le imprese e i lavoratori autonomi potranno comunque operare all’interno dei cantieri.​

Il nuovo sistema, che prevede una dotazione iniziale di 30 crediti ed una dotazione minima pari o superiore a 15 crediti – se il punteggio scende al di sotto della soglia minima, e salvo eccezioni, non è infatti possibile operare all’interno dei cantieri temporanei o mobili – prevede delle decurtazioni dei crediti a fronte di determinati eventi, accertamenti ovvero provvedimenti emanati nei confronti dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti dell’impresa o del lavoratore autonomo. Fermo ciò è altresì previsto che i crediti decurtati possano essere reintegrati.

La verifica del regolare possesso della patente è demandata al committente o al responsabile dei lavori e l’attività in assenza della patente o in possesso di una patente con un punteggio inferiore alla dotazione minima comporta il pagamento di una sanzione amministrativa fino a euro 12.000 e l’esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici per un periodo di sei mesi.

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In vista del prossimo 1° ottobre 2024, e sempre considerando eventuali emendamenti in sede di conversione, imprese e lavoratori autonomi che rientrano tra i soggetti destinatari dei nuovi obblighi dovranno organizzarsi per garantire la conformità a quanto previsto dal nuovo sistema di qualificazione.

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Con il provvedimento n. 642 del 21 dicembre 2023, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha adottato un documento denominato “Programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati” avente lo scopo di fornire, ai datori di lavoro pubblici e privati, indicazioni di indirizzo sull’utilizzo dei programmi e servizi informatici per la gestione della posta elettronica aziendale.


Il documento viene adottato a seguito di accertamenti effettuati dal Garante in occasione dei quali è emerso il rischio che programmi e servizi informatici per la gestione della posta elettronica, commercializzati da fornitori in modalità cloud o as-a-service, possano raccogliere per impostazione predefinita, in modo preventivo e generalizzato, i metadati relativi all’utilizzo degli account di posta elettronica in uso ai dipendenti conservandoli per un esteso arco temporale. Con “metadati” devono intendersi informazioni quali, ad esempio, giorno, ora, mittente, destinatario, oggetto e dimensione dell’e-mail.

Per assicurare il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati nonché la disciplina di settore in materia di controlli a distanza – come noto, disciplinata dall’art. 4, L. 300/1970 (“Statuto dei Lavoratori”), i datori di lavoro dovranno:

  • verificare che i programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica consentano di modificare le impostazioni di base, impedendo la raccolta dei metadati o limitando il periodo di conservazione degli stessi ad un limite massimo di 7 giorni, estendibili di ulteriori 48 ore in presenza di condizioni specifiche;
  • diversamente, espletare le procedure di garanzia previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, ossia sottoscrivere un accordo sindacale o ottenere una autorizzazione dell’Ispettorato, nazionale o territoriale, del Lavoro. Ciò poiché l’estensione del periodo di conservazione oltre l’arco temporale dei 7/9 giorni può comportare un indiretto controllo a distanza dell’attività del lavoratore;
  • in ogni caso, deve essere assicurata la necessaria trasparenza nei confronti dei lavoratori, fornendo preventivamente agli stessi una specifica informativa sul trattamento dei dati personali.

In altre parole, se per rispondere a esigenze organizzative e produttive, di tutela del patrimonio aziendale e di sicurezza del lavoro, la conservazione dei dati non può essere limitata ai periodi indicati dal Garante, i datori di lavoro dovranno sottoscrivere un accordo sindacale o ottenere una autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

In assenza di ciò, si configura un controllo a distanza delle attività del lavoratore che può avere conseguenze anche penali al quale si aggiunge anche la violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali avente, quale conseguenza, (i) l’illiceità del trattamento dei dati personali, (ii) la violazione del principio di limitazione della conservazione nonché (iii) la violazione dei principi di protezione dei dati fin dalla progettazione e per impostazione predefinita oltreché di responsabilizzazione.


In ogni caso, resta inteso che, nelle more dell’eventuale espletamento delle procedure di garanzia, i metadati non potranno comunque essere utilizzati. ​

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In occasione del nostro Team Meeting di questa settimana, tra i vari argomenti, abbiamo approfondito il tema dei controlli datoriali effettuati tramite agenzia investigativa, analizzando la sentenza n. 28378 dell’11 ottobre 2023 della Corte di Cassazione in cui è stato dichiarato nullo il licenziamento basato su prove raccolte da un investigatore privato che non era stato indicato nominativamente nell’atto di incarico.

Se vuoi approfondire questo argomento, contattaci o richiedi qui le nostre slide.

Con Provvedimento del 14 settembre 2023 u.s., l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (il “Garante”) ha rilevato l’illiceità del trattamento di dati effettuato da parte di una società incaricata della lettura dei contatori di gas, luce e acqua (la “Società”), confermando che il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire un completo riscontro alle istanze di esercizio del diritto di accesso, anche comunicando i dati relativi alla geolocalizzazione.

I fatti

La vicenda trae origine dal reclamo presentato al Garante da tre dipendenti della Società che non avevano ricevuto un riscontro soddisfacente alla richiesta di accesso ai propri dati personali raccolti attraverso lo smartphone aziendale, sul quale era stato istallato un sistema di geolocalizzazione che permetteva ai lavoratori di individuare il tragitto da effettuare per raggiungere i contatori oggetto dell’intervento tecnico.

In particolare, i dipendenti chiedevano di conoscere le informazioni utilizzate per elaborare i rimborsi chilometrici e la retribuzione mensile oraria, nonché la procedura per stabilire il compenso dovuto per verificare la correttezza della propria busta paga.

Il Garante, nel corso dell’attività istruttoria, ha rilevato che la Società non aveva fornito un riscontro idoneo rispetto a quanto richiesto dai tre lavoratori, nonostante la richiesta risultasse chiara ed analitica. Infatti, non aveva provveduto a comunicare ai dipendenti i dati trattati attraverso il sistema GPS, ma si era limitata ad indicare le modalità e gli scopi per i quali venivano trattati e a fornire l’informativa già sottoscritta dagli interessati.

L’esito dell’attività istruttoria

All’esito dell’attività istruttoria, il Garante ha rilevato che la Società, nella sua qualità di Titolare del trattamento, ha effettuato il trattamento in violazione:

  • dell’art. 15 del Regolamento (UE) 2016/679 (il “GDPR”), per non aver fornito, nemmeno attraverso la documentazione allegata, un riscontro completo ed esaustivo rispetto a quanto richiesto attraverso le istanze. L’esercizio del diritto di “accesso ai dati personali” deve, infatti, consentire un accesso effettivo ai dati personali eventualmente trattati, che non sia una descrizione generale degli stessi, né un semplice riferimento alle categorie di dati personali trattati dal titolare (così specificato anche nelle “Linee guida 01/2022” sui Diritti degli Interessati dell’EDPB, 28 marzo 2023).

La Società avrebbe dovuto fornire tutti i dati raccolti attraverso il sistema di geolocalizzazione, riscontrando le richieste puntualmente pervenute dai tre reclamanti;

  • dell’art. 12 del GDPR, nella parte in cui dispone che il Titolare del trattamento, a fronte di una richiesta di esercizio dei diritti da parte di un interessato, deve agevolarne l’esercizio fornendo “le informazioni relative all’azione intrapresa […] senza ingiustificato ritardo e, comunque, al più tardi entro un mese dal ricevimento della richiesta” e “se non ottempera alla richiesta dell’interessato, il titolare del trattamento informa l’interessato senza ritardo […] dei motivi dell’inottemperanza e della possibilità di proporre reclamo a un’autorità di controllo e di proporre ricorso giurisdizionale”;
  • dell’art. 5, par. 1, lett. (a) del GDPR, nella parte i cui prevede che i dati personali devono essere trattati in modo “lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato”. Il diritto riconosciuto all’interessato di accedere ai propri dati non può ritenersi soddisfatto attraverso il semplice rinvio a quanto contenuto nell’informativa, senza alcun riferimento al trattamento effettuato nel concreto.

La decisione del Garante

All’esito dell’attività istruttoria, il Garante chiarisce che, dal momento che la Società ha trattato, tra l’altro, dati relativi alla geolocalizzazione degli smartphone forniti ai dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa, da tale trattamento “è derivata indirettamente la geolocalizzazione dei reclamanti stessi”: per tale ragione, la Società avrebbe dovuto fornire un riscontro completo ed esaustivo alle istanze di esercizio del diritto di accesso, comunicando, in particolare, i dati relativi alla geolocalizzazione dei lavoratori oppure motivare una eventuale inottemperanza alle richieste ricevute.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il Garante ha comminato alla Società datrice il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di 20mila euro disponendo, altresì, la pubblicazione del Provvedimento sul proprio sito web.

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