Gruppi di imprese e responsabilità solidale: i presupposti della codatorialità anche in assenza di intento fraudolento

Categorie: Insights, Giurisprudenza, Pubblicazioni, News, Pubblicazioni | Tag: lavoro, Responsabilità Solidale

24 Dic 2025

La sentenza n. 26170 del 25 settembre 2025 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, si inserisce in un consolidato filone giurisprudenziale in materia di codatorialità all’interno dei gruppi di imprese. Con questa pronuncia, la Suprema Corte ribadisce i principi per l’individuazione di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro in capo a più società formalmente distinte, ma legate da un collegamento economico-funzionale. La decisione chiarisce che la codatorialità non presuppone necessariamente l’esistenza di un’operazione fraudolenta di frammentazione societaria, potendo configurarsi anche in presenza di gruppi “genuini”. Il fulcro della questione risiede nell’accertamento di un’integrazione tale tra le attività delle diverse società e di un’utilizzazione promiscua della prestazione lavorativa, da cui discende l’imputazione del rapporto a tutti i soggetti che di fatto esercitano i poteri datoriali, con la conseguente responsabilità solidale per le obbligazioni che ne derivano.

Fatti del giudizio

La controversia trae origine dal ricorso di una lavoratrice, formalmente dipendente di una società, ma impiegata come team leader presso il call center di un’altra realtà aziendale. A seguito del suo licenziamento nell’ambito di una procedura collettiva, la lavoratrice ha adito il Tribunale di Roma chiedendo di accertare l’esistenza di un’intermediazione illegittima di manodopera o, in subordine, un illegittimo frazionamento societario. L’obiettivo era ottenere la declaratoria di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in capo al datore di lavoro che ha beneficiato della propria prestazione lavorativa (datore di lavoro sostanziale).

Il Tribunale di Roma aveva inizialmente respinto la domanda, accogliendo un’eccezione di giudicato esterno derivante da una precedente ordinanza non opposta, con cui il licenziamento collettivo era stato dichiarato illegittimo e la lavoratrice reintegrata alle dipendenze del formale datore di lavoro.

Successivamente, la Corte d’Appello di Roma, pur riformando la motivazione di primo grado, ha rigettato l’appello della lavoratrice. I giudici di secondo grado hanno ritenuto non dimostrati gli elementi costitutivi della codatorialità, quali l’unitarietà del centro di interesse basata su un’operazione fraudolenta, un’ingerenza pervasiva tale da annullare l’autonomia delle singole società e l’utilizzazione promiscua della forza lavoro. La lavoratrice ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione.

Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, relativo alla violazione e falsa applicazione delle norme in materia di gruppo di imprese e centro unitario di interessi.

Nel motivare la propria decisione, la Cassazione ha richiamato il suo orientamento, secondo cui il collegamento economico-funzionale tra imprese, ai fini dell’individuazione di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro, sussiste in presenza di specifici requisiti.

Tali requisiti sono: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.

La Corte ha sottolineato come la giurisprudenza più recente abbia sganciato tali presupposti dalla necessità di provare un intento fraudolento, ammettendo la configurabilità della codatorialità anche in riferimento a gruppi “genuini” e fortemente integrati. In tali contesti, se viene accertata l’utilizzazione promiscua della forza lavoro da parte delle diverse società del gruppo, queste possono essere considerate “codatrici” del medesimo lavoratore. Ciò comporta l’applicazione dello schema dell’obbligazione soggettivamente complessa, con la conseguenza che tutti i fruitori dell’attività lavorativa sono responsabili in solido per le obbligazioni nascenti dal rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà di cui all’art. 1294 c.c..

La Suprema Corte ha quindi ravvisato un “errore di sussunzione” da parte della Corte d’Appello, la quale non aveva adeguatamente valorizzato gli indici di integrazione tra le società e l’utilizzazione promiscua della prestazione della lavoratrice, elementi chiave per configurare una situazione di codatorialità. Per questi motivi, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame della fattispecie applicando i principi di diritto enunciati dalla Cassazione in materia di codatorialità.

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