Chi ha il potere di licenziare il dipendente nel caso di contratto d’appalto? La questione, che a un primo impatto può apparire tecnica, in realtà ha un interesse diffuso in Italia, dove è frequente il ricorso a questo strumento. In particolare, le aziende devono fare i conti con l’evoluzione non solo normativa, ma anche giurisprudenziale, per assicurarsi di essere nella legittimità, considerato che le sensibilità si sono modificate decisamente nel corso degli anni. «Il rispetto dei requisiti affinché un appalto sia considerato genuino riguardano l’organizzazione dei mezzi, la direzione, il coordinamento delle risorse e l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore», spiega Vittorio De Luca, name partner dello studio legale De Luca & Partners. «Sebbene la normativa di riferimento sia sostanzialmente immutata da 20 anni, la giurisprudenza, in ragione della particolare sensibilità in materia, ha conosciuto sviluppi che per lo più hanno comportato un aggravamento delle conseguenze negative per il committente». Da ultimo si sta formando un nuovo orientamento giurisprudenziale relativo all’appalto non genuino, che si concretizza quando prevale una direzione esterna da parte dell’impresa committente, che governa la forza lavoro della impresa appaltatrice ingerendo in modo diretto sulle modalità di esecuzione delle attività. In questo caso i giudici possono considerare inefficace il licenziamento del dipendente impiegato nell’esecuzione del servizio se non effettuato dal committente in qualità di datore di lavoro di fatto.

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Notre associé, Alberto De Luca, a participé à la 31ème réunion annuelle et conférence de l’Inter-Pacific Bar Association (IPBA). Alberto a pris part à la table ronde intitulée : « Maître, je voudrais licencier un employé dans un autre pays pour insuffisance professionnelle. Comment faire et quels sont les risques ? ».

La discussion a concerné un rapport d’enquête sur le droit du travail, impliquant près de 30 pays du monde entier et qui portait sur le règlement extrajudiciaire des litiges (ADR) dans le monde du travail et sur la procédure d’embauche.

Au cours de sa présentation, Alberto a souligné la nécessité de conseiller les clients sur les divers types de licenciement et la résolution des conflits du travail dans le monde entier, en tenant compte des options, des procédures et des risques juridiques potentiels associés à une main-d’œuvre régionale ou mondiale, en accordant une attention particulière aux thèmes suivants :

  • Accords de décharge de responsabilité
  • Médiation/conciliation
  • Arbitrage
  • Litiges (procédure, dommages et intérêts, dépens, appels)

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25287 del 24 agosto 2022, ritorna sul tema dei controlli effettuati dal datore di lavoro e traccia il perimetro entro il quale quest’ultimo può richiedere l’intervento ed il supporto di un soggetto terzo all’organizzazione aziendale quale un’agenzia investigativa.  

Nel caso di specie, un lavoratore veniva licenziato poiché gli veniva contestato di essersi ripetutamente allontanato dal luogo di lavoro, durante l’orario lavorativo, per missioni estranee alla sua attività lavorativa (che per contratto godeva di flessibilità in relazione all’orario e al luogo di lavoro dal quale eseguire la prestazione). Ciò era emerso in occasioni di investigazioni condotte nell’ambito di una più ampia indagine avente ad oggetto la violazione dei permessi ai sensi dell’art. 33 delle Legge n. 104/92 da parte di una collega, con la quale il ricorrente era stato ripreso più volte. 

Mentre il controllo commissionato nei confronti della lavoratrice risultava lecito, quello posto in essere nei confronti del lavoratore si sottraeva alla sfera di competenza dell’agenzia investigativa.  

Secondo la Suprema Corte, infatti, il controllo esterno deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore che, però non siano riconducibili al solo inadempimento dell’obbligazione contrattuale derivante dal rapporto di lavoro. In altre parole, le agenzie investigative per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria. Tale verifica, infatti, è riservata ex lege direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori e può essere effettuata anche mediante l’utilizzo di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo. 

Al riguardo, è opportuno ricordare però che anche le verifiche sull’attività lavorativa vera e propria, affidate alla vigilanza interna, hanno dei limiti di liceità. 

In tema, la norma primaria è, come noto, l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970). Ai sensi di tale disposizione, le informazioni raccolte per il tramite di controlli sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro - compresi quindi quelli disciplinari – ma affinché siano leciti e legittimi devono essere rispettati determinati criteri e “procedure di garanzia”.  

Deve essere fornita adeguata informazione al lavoratore circa le modalità di svolgimento dei controlli posti in essere e, in caso di utilizzo di impianti audiovisivi o altri strumenti di controllo, devono essere fornite informazioni circa le modalità d’uso degli strumenti stessi e di effettuazione dei controlli. 

A ciò, deve aggiungersi, come espressamente indicato dall’ultimo comma dell’articolo 4, che affinché le informazioni raccolte siano utilizzabili per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, devono essere rispettate le disposizioni di cui alla normativa in materia di protezione dei dati personali – attualmente rappresentata dal Regolamento (UE) 2016/679 e dal D.Lgs. 101/2018. 

Questo permette infatti alla società, datore di lavoro e titolare del trattamento ai sensi della normativa in materia di protezione dei dati personali, non solo di utilizzare le informazioni raccolte ma anche di non incorrere nelle pesanti sanzioni perviste dal GDPR in caso di trattamenti illeciti di dati personali. 

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Le juge peut à juste titre envisager des solutions différentes pour des cas identiques

Afin d’exclure la proportionnalité du licenciement, il ne suffit pas de soutenir que des comportements similaires commis par d’autres salariés ont été sanctionnés par des mesures conservatoires. En effet, le juge peut à juste titre envisager des solutions différentes pour cas identiques. 

Ce principe a été affirmé par la Cour de cassation dans son ordonnance n° 22115/2022 du 13 juillet 2022, qui a confirmé la légitimité du licenciement infligé au travailleur ayant provoqué, alors qu’il conduisait la voiture de service, un accident de la route à cause du mauvais positionnement de la grue arrière, endommageant ainsi le pont situé sur la route départementale qu’il parcourait. 

En l’espèce, la société employeur avait rompu le contrat de travail sans préavis, en raison de la grave inexécution du salarié à l’origine de l’accident et car celui-ci n’avait pas rempli le disque horaire obligatoire et le chronotachygraphe attestant la vitesse du véhicule. 

La Cour d’appel de Bologne, considérant la sanction du licenciement comme proportionnée, a confirmé la légitimité de ce dernier, en raison de la gravité du comportement du salarié, qui avait fortement porté atteinte au lien de confiance entre les parties. 

Le travailleur avait formé un pourvoi en cassation contre cette décision, en alléguant que la Cour d’Appel n’avait accordé aucune importance, pour vérifier la légitimité du licenciement, au fait que  la société n’avait pas licencié d’autres salariés coupables de comportements similaires. Sur ce point, le travailleur avait mentionné une sentence antérieure selon laquelle « l’identité des situations peut priver le licenciement de sa justification » (Cass. n° 14252/2015). 

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Par son tout récent jugement n° 181, publié le 27 avril 2022, rendu dans le cadre de la procédure d’opposition dite « Procédure Fornero », le Tribunal de Vicenza s’est exprimé sur la question de savoir s’il convient de tenir compte (ou non), dans la période de congé maladie, des absences pour maladie liées au handicap du travailleur.  

Cette affaire fait suite au licenciement signifié à une travailleuse handicapée pour s’être absentée pour maladie pendant plus de 365 jours au cours des trois dernières années travaillées, dépassant ainsi la période de congé prévue par la Convention Collective Nationale du Travail Agidae (Association des Gérants d’Instituts Dépendant des Autorités Ecclésiastiques) de l’assistance sociale applicable au contrat de travail.  

La travailleuse, ayant formé un recours contre ce licenciement, avait excipé la nature discriminatoire pour raisons de handicap et demandé au Juge, à titre principal, d’en déclarer la nullité.   

Pour soutenir sa thèse, la salariée invoquait la réglementation communautaire en matière de discrimination directe et indirecte (Directive UE 2000/78/CE), ainsi que les sentences rendues en la matière par la Cour de Justice Européenne, en soutenant que l’employeur, étant tenu d’adopter des « accommodements raisonnables » afin de « garantir aux personnes en situation de handicap une pleine égalité avec les autres salariés », aurait dû exclure du calcul de la période de congé maladie les jours d’absence liés à sa pathologie d’endométriose, pour laquelle la salariée avait été déclarée handicapée, empêchant ainsi que la période de congé ne soit dépassée.  

Le Tribunal, confirmant l’ordonnance rendue pendant la phase sommaire, a rejeté, sur la base de plusieurs arguments, l’opposition formée par la salariée.  

Si – a précisé le Juge de l’opposition – il est indéniable que la Cour de Justice Européenne a vu une discrimination indirecte au détriment du travailleur handicapé dans la modalité de calcul des absences pour maladie, dans la mesure où le salarié handicapé court un risque majeur d’accumuler des jours de maladie, il est tout aussi vrai que les conclusions de la Cour Européenne ne peuvent être étendues à chaque cas de licenciement d’un travailleur handicapé.  

Cela car c’est toujours le Juge national qui doit, d’un côté, constater si l’employeur a ou non mis en place des solutions raisonnables afin de garantir le respect de la parité de traitement et, de l’autre, vérifier le bien-fondé de la finalité recherchée par la réglementation interne.  

Quant au premier aspect, au cours de la procédure, le Juge a constaté que l’employeur avait mis en place de nombreux « accommodements raisonnables » en faveur de la travailleuse, parmi lesquels des visites médicales qui ont constaté que la salariée était apte à exercer ses fonctions spécifiques.  

En ce qui concerne le second aspect, le Tribunal s’est exprimé à propos de la nécessité de soupeser les intérêts juridiquement pertinents des deux parties, c’est-à-dire l’intérêt du travailleur handicapé à garder un emploi adapté à son état physique et psychique et celui de l’employeur à obtenir une prestation de travail utile pour l’entreprise, compte tenu également du fait que l’art. 23 de la Const. interdit les prestations d’assistance, même à la charge de l’employeur, si elles ne sont pas prévues par la loi… 

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