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L’offerta di conciliazione come strumento deflattivo del contenzioso

01 Mar 2015

Prende il nome di “offerta di conciliazione” la procedura ispirata al modello tedesco (Legge Hartz IV) e avente il fine di deflazionare il contenzioso giudiziale in materia di licenziamenti.

Il nuovo strumento è disciplinato nel decreto attuativo del Jobs Act che, mentre scriviamo, è già stato firmato dal Presidente della Repubblica ed in procinto di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

La procedura, che è applicabile ai soli lavoratori destinatari del nuovo contratto a tutele crescenti, è ben definita nei tempi e nelle modalità. Infatti, il decreto prevede che:

– il datore di lavoro, entro 60 giorni dal recesso, possa offrire al lavoratore licenziato una somma di denaro a mezzo assegno circolare;

– la somma di denaro debba essere determinata in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore: una mensilità dell’ultima retribuzione percepita per ogni anno di servizio, in misura non inferiore alle 2 e non superiore alle 18 mensilità;

– l’offerta vada formalizzata in specifiche sedi protette (i.e. quelle di cui all’art. 2113 Cod. Civ. e all’art. 76, D.Lgs. n. 276/2003).

L’accettazione dell’offerta determina l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinunzia all’impugnazione, anche se già proposta.

Al fine di rendere attraente il nuovo strumento, il Legislatore ha inoltre previsto che le somme offerte sono esenti da imposte e contributi. L’esenzione non si applica alle eventuali somme corrisposte per differenti pretese, nonché a quelle oggetto di pronunce giudiziali.

La disposizione non precisa le sorti dell’esenzione nel caso in cui il datore di lavoro dovesse proporre una somma diversa da quella prevista dal legislatore. Al riguardo, sarà opportuno attendere i necessari chiarimenti ufficiali.

Altro elemento che dovrebbe rendere interessante lo strumento e conseguentemente consentire di deflazionare il contezioso giudiziario è la possibilità per il lavoratore di vedersi liquidare la somma di danaro in tempi rapidi e senza il rischio di insolvenza, fermo restando il diritto di poter rivendicare altre questioni relative al rapporto di lavoro.

Al lavoratore poi non sfuggirà che la differenza tra la somma netta, massima e incerta, a cui può ambire ricorrendo in giudizio (ovvero 2 mensilità lorde per ogni anno di anzianità) e la somma netta predefinita (1 mensilità netta per anno di anzianità) eventualmente offerta dal datore di lavoro è tale da far propendere per questa seconda.
Ciò senza considerare che i lavoratori con anzianità superiore a 12 anni la differenza si assottiglia ulteriormente per arrivare persino ad azzerarsi.

Da un punto di vista pratico, invece, l’effetto deflattivo potrebbe risultare ostacolato dal fatto che tutte le ulteriori questioni legate al rapporto di lavoro risultano estranee alla “offerta di conciliazione”.

In fase di trattativa, infatti, la risoluzione di tali questioni, soprattutto in un’ottica di tombale definizione dei rapporti, potrebbe verosimilmente rallentare il processo finalizzato al raggiungimento di un accordo entro i termini di legge, anche se solo sul licenziamento, e impedire quindi il buon fine della procedura conciliativa.
Una esaustiva valutazione del nuovo strumento, anche in ottica deflattiva, sarà però possibile solo dopo il verificarsi di un numero apprezzabile di casi concreti, da esaminarsi anche alla luce della risoluzione di questioni estranee al licenziamento, nonché dei tempi e modalità di perfezionamento dei processi formali dinanzi alle sedi prestabilite.

Fonte:

Newsletter AIDP, N° 39 – Marzo 2015
Articolo in formato pdf:
http://www.aidp.it/aidp/ALLEGATI/OTHER/5159.pdf

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