Il 12 agosto 2018 è entrata in vigore la legge di conversione n. 96/2018 del D.L. n. 87/2018 (c.d. Decreto Dignità), che ha, tra l’altro, reintrodotto all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, il reato di somministrazione fraudolenta.

Tale reato – previsto già dalla Legge Biagi n. 276/2003 e poi abolito dal Jobs Act – si configura in tutti i casi in cui “la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore”.

L’illecito in questione è punito con l’applicazione, sia per l’utilizzatore sia per il somministratore, della sanzione penale dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

Resta in ogni caso ferma l’applicazione dell’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003 che punisce il solo utilizzatore con la sanzione amministrativa pari ad euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. La suddetta sanzione non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000.

Ciò premesso, l’Ispettorato Nazionale del lavoro (l’“INL”), con circolare n. 3 del giorno 11 febbraio 2019, ha passato in rassegna le varie ipotesi in cui può realizzarsi la somministrazione fraudolenta.

Appalto illecito

Il reato di somministrazione fraudolenta si può realizzare innanzitutto a fronte dell’utilizzo illecito dello schema negoziale dell’appalto.

L’appalto illecito ricorre laddove l’appalto sia stipulato in assenza dei requisiti di cui all’art. 1655 cod. civ., al fine di eludere norme inderogabili di legge o contrattuali (vedasi circolare del Ministero del Lavoro 5/2011).

A fronte di tale illecito, gli ispettori del lavoro sono tenuti all’adozione della prescrizione obbligatoria nei confronti:

  • dello pseudo committente e dello pseudo appaltatore, attraverso l’intimazione alla immediata cessazione dell’azione antidoverosa;
  • del committente fraudolento, volta alla regolarizzazione alle proprie dipendenze dei lavoratori impiegati.

Inoltre, nei confronti del committente-utilizzatore fraudolento, può essere adottato il provvedimento di diffida accertativa per le somme maturate dai lavoratori impiegati nell’appalto a titolo di differenze retributive non corrisposte.

Altre ipotesi

Secondo l’INL, il reato di somministrazione fraudolenta può realizzarsi anche al di fuori delle ipotesi dell’appalto illecito. In particolare, può verificarsi:

  • nell’ambito di distacchi di personale che comportino una elusione della disciplina di cui all’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 ovvero
  • in ipotesi di distacco transnazionale “non autentico” ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. n. 136/2016 oppure
  • coinvolgendo, addirittura, le agenzie di somministrazione autorizzate.

A titolo esemplificativo, l’INL ha individuato una somministrazione fraudolenta allorquando un datore di lavoro licenzi un proprio dipendente per riutilizzarlo tramite agenzia di somministrazione, violando norme di legge o di contratto collettivo.

Sanzioni

Nelle ipotesi di appalto e distacco illecito, stante la lettera dell’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, troverà applicazione la sanzione amministrativa di cui all’articolo 18 del D.Lgs. n. 276/2003 ed il personale ispettivo dovrà:

  • contestare la violazione amministrativa di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003;
  • adottare la prescrizione obbligatoria volta a far cessare la condotta antigiuridica attraverso l’assunzione dei lavoratori alle dirette dipendenze dell’utilizzatore per tutta la durata del contratto.

L’INL precisa che per la sanzione amministrativa di cui all’art. 18 non è ammessa la procedura di diffida.

Laddove il personale ispettivo riscontri anche la finalità fraudolenta, sarà possibile adottare altresì il provvedimento di diffida accertativa.

Nel caso in cui l’intento fraudolento sia ravvisato in ipotesi di somministrazione conforme alle disposizioni normative troverà applicazione esclusivamente la sanzione di cui all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015 con conseguente adozione della prescrizione obbligatoria e del provvedimento di diffida accertativa nei confronti dell’utilizzatore.

Infine, anche nell’ipotesi di distacco transnazionale “non autentico” troverà applicazione la sanzione dell’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015, nella misura in cui il distacco, come talvolta avviene, sia funzionale all’elusione delle disposizioni dell’ordinamento interno e/o del contratto collettivo applicato dal committente italiano.

In particolare, perché si possa configurare la violazione dell’art. 38 bis, non è sufficiente accertare che la condotta abbia prodotto effetti sotto il profilo della applicazione elusiva del regime previdenziale straniero, ma è necessario altresì accertare la violazione degli obblighi delle condizioni di lavoro ed occupazione di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 136/2016.

Regime intertemporale

La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere la somministrazione fraudolenta un reato permanente, atteso che la condotta risulta caratterizzata da un intento elusivo di norme contrattuali o imperative che trova ragione d’essere in una apprezzabile continuità dell’azione antigiuridica.

Secondo l’INL, la natura permanente dell’illecito comporta che l’offesa al bene giuridico si protrae per tutta la durata della somministrazione fraudolenta, coincidendo la sua consumazione con la cessazione della condotta antigiuridica.

Di conseguenza, alla luce dei principi espressi dall’art. 1 del Codice Penale (“nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”) e 2 (“nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”) nonché dell’orientamento della giurisprudenza, si deve ritenere che, per le condotte di somministrazione fraudolenta che abbiano avuto inizio prima del 12 agosto 2018 e che si siano protratte successivamente a tale data, il reato di cui all’art. 38 bis del D.Lgs. n. 81/2015 si possa configurare solo a decorrere dal 12 agosto 2018, con conseguente commisurazione della relativa sanzione per le sole giornate successive a tale data.

Per il periodo precedente al 12 agosto 2018, resta invece ferma l’applicazione in via esclusiva delle sanzioni di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003.

 

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LO SAI CHE.. Il Decreto Dignità ha modificato le regole sul contratto a tempo determinato e sulla somministrazione?

Con la circolare n. 17 del 31 ottobre 2018 il Ministero del Lavoro ha dato le prime indicazioni operative relativamente all’applicazione del Decreto legge del 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazione dalla Legge 9 agosto 2018 n. 96, (il “Decreto Dignità”).

a) Nuova disciplina del contratto a termine

Innanzitutto, la circolare prende posizione in merito alle modifiche introdotte dal Decreto Dignità alla disciplina dei contratti a termine di cui al D.Lgs. 81/2015, la cui durata massima ha visto una sensibile riduzione da 36 mesi a 24 mesi.

Sul punto, la circolare precisa che le parti hanno la possibilità di stipulare un contratto a tempo determinato di durata non superiore ai 12 mesi liberamente, superati i quali è necessaria l’indicazione di specifiche ragioni, ossia:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
  • esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

 

Nel computo dei 12 mesi occorre, come chiarito dalla circolare, tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, comprendendovi sia i contratti già conclusi sia quelli che si intende prorogare in quanto non ancora conclusi. Al riguardo la circolare riporta il seguente esempio esemplificativo: “Si consideri l’esempio di un primo rapporto a termine della durata di 10 mesi che si intenda prorogare di ulteriori 6 mesi. In tale caso, anche se la proroga interviene quando il rapporto non ha ancora superato i 12 mesi, sarà comunque necessario indicare le esigenze innanzi richiamate in quanto complessivamente il rapporto di lavoro avrà una durata superiore a tale limite, come previsto dall’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015.”

 

Ad ogni modo, così come previsto dall’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 81/2015, è fatta salva la possibilità delle parti, una volta sopraggiunti i 12 mesi, di stipulare un altro contratto di 12 mesi davanti all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente. E sul punto, così come chiarito nella circolare, rimangono in vigore le indicazioni fornite dal ministero stesso con la circolare n. 13/2008 in ordine alla:

–       “verifica circa la completezza e la correttezza formale del contenuto del contratto”, nonché

–       “genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge.”.

 

Secondo la circolare, la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano spinto alla predisposizione del contratto a termine, fatta in ogni caso eccezione per la necessità di prorogarne la data entro i termini previsti per la scadenza del contratto. Pertanto, chiarisce la circolare, non

(i)            sarà possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone le motivazioni, poiché si darebbe luogo a un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, e

(ii)           si potrà parlare di proroga nel caso in cui il nuovo contratto a termine dovesse decorrere dopo la scadenza del precedente contratto.

 

Elemento di novità rispetto alla disciplina introdotta con il Jobs act è la riduzione del numero di proroghe che passa da 5 a 4, entro i limiti di durata massima del contratto e a prescindere dal numero di contratti in essere, con esclusione dei contratti instaurati per lo svolgimento di attività stagionali.

 

Ad ogni modo, il Decreto Dignità non ha modificato l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015 nella parte in cui rimette alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare alla durata massima del contratto a termine. I contratti collettivi, pertanto, potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore rispetto al nuovo limite di 24 mesi del contratto. Tuttavia, chiarisce la circolare, le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018 che abbiano disposto una durata dei contratti a termine pari o superiore a 36 mesi continueranno a mantenere la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.

 

La circolare entra anche nel merito della forma mediante la quale i contratti debbano essere redatti. In particolare, è stato eliminato il riferimento all’art. 19, comma 4 del D.Lgs. 81/2015, secondo il quale il termine deve risultare direttamente o indirettamente da atto scritto, dandosi dunque maggiore chiarezza in merito alla sussistenza del requisito di cui sopra.

 

Resta ferma la possibilità che, in alcune situazioni, il termine del rapporto continui a desumersi indirettamente in funzione della specifica motivazione che ha portato all’assunzione, come nel caso della sostituzione di lavoratrice in maternità della quale non è possibile conoscere ex ante la data di rientro, pur sempre nel limite di durata massima (24 mesi).

La circolare si preoccupa, altresì, di individuare quelle che sono le contribuzioni addizionali a carico del datore di lavoro nell’ipotesi in cui lo stesso decida di sottoscrivere un contratto a tempo determinato. Invero, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del Decreto Dignità, così come modificato dalla legge di conversione, a partire dal 14 luglio 2018 il contributo addizionale a carico del datore di lavoro è pari al 1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali applicate contratti non a tempo indeterminato, incrementato dello 0,5% in occasione di ciascuno dei rinnovi del contratto a tempo determinato anche in somministrazione.

Pertanto, al primo rinnovo la misura ordinaria del contributo addizionale pari a 1,4% dovrà essere aumentata dello 0,5% a cui si dovrà aggiungere un ulteriore 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. La maggiorazione non si applica in caso di proroga del contratto.

b) Nuova disciplina del contratto di somministrazione a tempo determinato

La circolare si è preoccupata, altresì, di chiarire alcuni aspetti anche del contratto di somministrazione a tempo determinato così come modificato dal Decreto Dignità.

L’art. 2 del Decreto Dignità ha esteso la disciplina del lavoro a termine alla somministrazione di lavoro a termine, già disciplinata dagli artt. 30 e seguenti del D.Lgs n. 81/2015, con la sola eccezione delle previsioni contenute negli artt. 21, comma 2 (pause tra un contratto e il successivo, c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza).

Ad ogni modo, precisa la circolare, nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. Ovvero, ai sensi dell’art. 31 del D.Lgs. 81/2015, i lavoratori potranno essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza che vi sia alcun tipo di obbligo di indicazione di una causale o di un limite di durata del rapporto, nel rispetto ovviamente, dei limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione.

Rimane, comunque, inalterata la possibilità per la contrattazione collettiva di regolare il regime delle proroghe e dei rinnovi, prevista all’art. 34, comma 2, del Dlgs 81/2015.

Chiarisce, altresì la circolare che per l’effetto della riforma è applicabile alla somministrazione del rapporto di lavoro determinato l’art. 19, comma 2, del D.Lgs. 81/2015.  Pertanto, il datore di lavoro, una volta raggiunto il limite temporale di 24 mesi, non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale.

Anche in questo caso, la circolare precisa che nel computo dei 24 mesi di lavoro si dovrà tener conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi fra le parti, ivi compresi quelli che siano precedenti alla data di entrata in vigore della riforma.

Inoltre, la circolare evidenzia che, se la durata della somministrazione presso lo stesso utilizzatore supera i 12 mesi o vi è un rinnovo della missione, il contratto di lavoro stipulato fra il somministratore e il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo e non dunque dell’agenzia di somministrazione.

Specifica ancora la circolare che l’obbligo di indicare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoro a termine sorge qualora lo stesso utilizzatore abbia instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categorie.

Anche in questo caso, troviamo considerazioni in merito ai limiti quantitativi di lavoratori somministrati. A tal proposito la legge di conversione del Decreto Dignità ha introdotto un limite all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine. Infatti, il nuovo art. 31 dispone che, fermo restando la percentuale massima del 20% dei contratti a termine prevista dall’art. 23, possono essere presenti nell’impresa utilizzatrice lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori inviati in missione per somministrazione a termine entro una percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore.

Anche in questo caso i contratti collettivi già in essere che prevedono delle percentuali superiori continueranno ad avere efficacia fino alla loro scadenza. Il limite percentuale de quo, trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018.

c) Periodo transitorio

La circolare affronta, altresì, la questione del periodo transitorio. L’art. 1, comma 2, del Decreto Dignità aveva stabilito che le nuove disposizioni sarebbero state applicate ai contratti a termine stipulati successivamente alla sua data di entrata in vigore nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso nella medesima data. In sede di conversione, specifica a la circolare ministeriale, la previsione del citato comma 2 è stata modificata unicamente con riferimento al regime dei rinnovi e delle proroghe prevedendo che per essi la nuova disciplina trovasse applicazione solo dopo il 31 ottobre 2018. Ciò al fine di sottrarre i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla immediata applicazione dei nuovi limiti fino a tale data.

Orbene, dallo scorso 1° novembre, trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l’obbligo di indicare le condizioni in caso di (i) rinnovo sempre e (ii) proroghe dopo i 12 mesi.

Non da ultimo, la circolare precisa che il periodo transitorio trova applicazione anche con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, avendo il Decreto Dignità appunto esteso la disciplina del rapporto a tempo determinato alla somministrazione a termine.

 

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Il 31 ottobre 2018 si è concluso il periodo transitorio per adeguarsi alla nuova disciplina in materia di contratti a tempo determinato così come introdotta dal D.L. 197/2018 (cd. Decreto Dignità), convertito nella Legge 96/2018. In particolare, il Decreto Dignità aveva previsto che le nuove disposizioni si sarebbero applicate ai rinnovi ed alle proroghe successivi appunto al 31 ottobre 2018. In sostanza dal 1° novembre 2018 la nuova disciplina è diventata pienamente operativa. Ciò significa che il contratto può essere acasaule per i primi 12 mesi al superamento dei quali deve contenere l’indicazione di specifiche ragioni, pena la sua trasformazione a tempo indeterminato. Il contratto (i) può essere prorogato liberamente per i primi 12 mesi e, successivamente, solo in presenza di ragioni e (ii) può essere rinnovato solo a fronte di specifiche ragioni, a prescindere dalla sua durata. Anche in caso di violazione di queste prescrizioni il contratto si trasforma a tempo indeterminato. Il contratto non può avere una durata superiore a 24 mesi (contro i precedenti 36 mesi) e può essere prorogato per massimo 4 volte (contro le precedenti 5).

 

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Decreto Dignità 2.0

Il primo decreto legge del Governo sui contratti di lavoro: “Il Decreto Dignità”

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22188 depositata lo scorso 18 settembre, si è pronunciata in merito alla validità di un contratto a tempo determinato stipulato allorquando la relativa disciplina presupponeva l’attivazione del rapporto di lavoro solo a fronte di specifiche ragionidi carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Nel caso in esame il rapporto di lavoro a termine era assoggettato alla disciplina dell’allora vigente D.Lgs. n. 368/2001 poi superata dal Decreto Legge n. 34/2014 (cd. Decreto Poletti), convertito nella legge n. 78/2014. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha avuto occasione di ribadire che la validità di un contratto a termine presuppone la specifica e puntuale indicazione di tutte le circostanze utili a comprovare la sussistenza di un’oggettiva esigenza aziendale posta alla base del contratto. Tuttavia, oltre l’analitica ed esaustiva indicazione delle ragioni, è necessario che il lavoratore venga, sul piano operativo, effettivamente adibito alle mansioni che permettono di soddisfare la causale indicata. Tale ultimo requisito, a parere della Corte di Cassazione, difettava nel caso di specie essendo stata la lavoratrice adibita a mansioni non direttamente afferenti al progetto che costituiva oggetto della causale bensì allo svolgimento di attività ordinarie evidentemente estranee al progetto. In conclusione, la vicenda in esame, seppur disciplinata da una disposizione non più in vigore, diviene più che mai attuale considerata la reintroduzione del meccanismo delle causali ad opera del Decreto Legge n. 87/2018, convertito nella Legge n. 96/2018 (cd “Decreto Dignità”). Pertanto, le “nuove” causali (ndr. condizioni), oltre a dover essere riportate compiutamente nel contratto, dovranno ritrovare effettività sul piano sostanziale dovendo il lavoratore essere adibito alle attività ricomprese nelle dedotte esigenze aziendali.

E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 186 dell’11 agosto 2018 la legge di conversione (Legge n. 96) del D.L. 87 (cd Decreto Dignità), entrato in vigore il precedente 14 luglio. Importanti novità sono state apportate al contratto a tempo determinato. In particolare, il contratto a tempo determinato può essere stipulato senza casuale per 12 mesi, superati i quali necessita di una specifica ragione. In ogni caso la durata complessiva del contratto a tempo determinato non può superare i 24 mesi, pena la sua conversione a tempo indeterminato. Il numero massimo delle proroghe viene ridotto a 4; nell’ipotesi di quinta proroga il contratto si considera, pertanto, a tempo indeterminato. In caso di rinnovo la causale va sempre inserita. Esentati dall’obbligo della causale le proroghe ed i rinnovi dei contratti per attività stagionali. Il termine per impugnare il contratto a tempo determinato passa da 120 a 180 giorni. Viene, altresì, previsto un aggravio contributivo dello 0,5% a carico del datore di lavoro per ogni rinnovo. Le nuove regole si applicano ai contratti a tempo determinato sottoscritti dopo il 14 luglio 2018 ed alle proroghe ed ai rinnovi a partire dal 1° novembre 2018. Alla somministrazione si applica la disciplina del contratto a tempo determinato, ad eccezione delle disposizioni sul numero complessivo dei contratti a tempo determinato, sul diritto di precedenza e sul cd. stop and go. La somministrazione a termine può essere utilizzata entro il limite quantitativo del 30% dell’organico a tempo indeterminato; nel limite rientrano anche i rapporti a tempo determinato. E’ stato reintrodotto il reato di somministrazione fraudolenta.