Lo scorso 7 dicembre, le Parti Sociali e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno sottoscritto il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” (il “Protocollo”).

Il Protocollo, come si legge nelle premesse, “fissa il quadro di riferimento per la definizione dello svolgimento del lavoro in modalità agile esprimendo linee di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale, aziendale e/o territoriale nel rispetto della disciplina legale di cui alla legge 22 maggio 2017, n. 81 e degli accordi collettivi in essere, tutto ciò affidando alla contrattazione collettiva quanto necessario all’attuazione nei diversi e specifici contesti produttivi”.

Le principali linee di indirizzo

In primo luogo, il Protocollo chiarisce che l’adesione al lavoro agile deve avvenire su base volontaria e deve essere, in ogni caso, subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale, fermo restando il diritto di recesso. L’eventuale rifiuto del lavoratore di aderire o svolgere la propria prestazione lavorativa in modalità agile non integra gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, né rileva sul piano disciplinare.

L’accordo individuale deve regolamentare aspetti quali:

  • la durata (a termine o a tempo indeterminato);
  • l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali;
  • i luoghi eventualmente esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa esterna ai locali aziendali;
  • gli aspetti relativi all’esecuzione della prestazione lavorativa;
  • gli strumenti di lavoro;
  • la disconnessione;
  • le forme e le modalità di controllo;
  • l’attività formativa;
  • le forme e le modalità di esercizio dei diritti sindacali.

Come noto, l’esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile non presuppone un preciso orario di lavoro ma, al contrario, una autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati nonché del rispetto dell’organizzazione, delle attività assegnate dal responsabile a garanzia dell’operatività dell’azienda e dell’interconnessione tra le varie funzioni aziendali. Autonomia che si ritrova anche nella scelta del luogo di lavoro dal quale eseguire la prestazione. Tuttavia, chiarisce il Protocollo: “la prestazione di lavoro […] può essere articolata in fasce orarie, individuando […] la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa. Non solo, vanno, anche “adottate specifiche misure tecniche e/o organizzative per garantire la fascia di disconnessione”.

Il Protocollo, inoltre, ricorda che, di norma, è il datore di lavoro a fornire la strumentazione tecnologica e informatica necessaria allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile. In ogni caso, qualora si concordi l’utilizzo di strumenti propri, è necessario stabilire criteri e requisiti adeguati di sicurezza.

Il Protocollo ribadisce che il lavoratore è tenuto a trattare i dati personali cui accede per fini professionali in conformità alle istruzioni fornite dal datore. Pertanto, al fine di garantire la compliance alla normativa in materia di protezione dei dati personali nonché il rispetto della riservatezza, il datore di lavoro è tenuto a:

  • adottare tutte le misure tecnico – organizzative adeguate;
  • informare il lavoratore sui trattamenti di dati che lo riguardano;
  • istruirlo, fornendogli le indicazioni sulle misure di sicurezza che deve osservare;
  • adottare policy aziendali per la gestione dei dati personali (ad es. procedura per la gestione dei data breach, procedura per la gestione dell’esercizio dei diritti degli interessati, procedura per il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro);
  • aggiornare il Registro del trattamento ex art. 30 del GDPR. Viene, altresì, raccomandato di effettuare la Valutazione di impatto ex art. 35 del GDPR.

Anche in caso di esecuzione della prestazione lavorativa in modalità agile, il datore di lavoro è tenuto a garantire la salute e la sicurezza del lavoratore fornendo, tempestivamente, a quest’ultimo e al RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) una informativa scritta che descriva i rischi generali e specifici connessi alla modalità agile di esecuzione del rapporto di lavoro. Anche da remoto, ribadisce il Protocollo, il lavoratore continua ad avere diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.

È necessario, infine, che il datore di lavoro (i) preveda percorsi formativi finalizzati a incrementare specifiche competenze tecniche, organizzative, digitali, anche per un efficace e sicuro utilizzo degli strumenti di lavoro forniti in dotazione e (ii) garantisca la formazione obbligatoria in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e di protezione dei dati personali.

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Il Protocollo fornisce delle linee di indirizzo che rappresentano un quadro di riferimento per la futura contrattazione collettiva, nazionale e aziendale e/o territoriale, fermi restando gli accordi in essere anche individuali.

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“Il nuovo protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/ Covid-19 nei luoghi di lavoro propone nuove sfide ma anche nuove responsabilità per i datori di lavoro che aderiscono al progetto”.

L’avvocato Vittorio De Luca, managing partner dello Studio Legale De Luca & Partners, specializzato in Diritto del Lavoro e Gdpr (General Data Protection Regulation), ricorda che “i vaccini sono in primo luogo trattamenti sanitari per i quali, come prevede la Costituzione, solo il legislatore può prevedere l’obbligo di somministrazione”.

Intanto, il protocollo del 6 aprile 2021 permette che i datori di lavoro possano dare la propria disponibilità ad attuare piani aziendali all’interno delle proprie strutture per la predisposizione di punti straordinari di vaccinazione anti Covid-19 da destinare ai lavoratori che ne abbiano fatto volontariamente e liberamente richiesta.  “I datori di lavoro, che decidono di aderire all’iniziativa – spiega l’avvocato -, hanno l’opportunità di concorrere attivamente alla prosecuzione della campagna vaccinale nazionale attraverso un coinvolgimento attivo delle proprie risorse e realtà produttive ma sono chiamati ad assicurare garanzie adeguate a tutela dei dati personali dei lavoratori interessati dall’iniziativa, garantendone la sicurezza e la riservatezza delle informazioni trattate ed evitando qualsiasi forma di discriminazione”.

Circa le responsabilità del datore di lavoro, assume rilievo il ruolo ricoperto dal “medico competente” che deve essere coinvolto sia nella fase preliminare, fornendo al lavoratore adeguate informazioni su vantaggi, rischi connessi alla vaccinazione e specifica tipologia di vaccino somministrato, anche predisponendo un triage preventivo relativo al suo stato di salute ed avendo cura di acquisire dallo stesso un “consenso informato”. Sia nella fase successiva: la somministrazione della vaccinazione che, una volta eseguita, dovrà registrare attraverso i canali e gli strumenti messi a disposizione dai Servizi Sanitari Regionali (Ssr).

“Alla luce di ciò, appare necessario, e opportuno, richiamare quanto condiviso dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali sul tema”, aggiunge De Luca facendo riferimento alla data del 17 febbraio 2021 scorso quando l’Authority ha pubblicato sul proprio sito alcune FAQ aventi ad oggetto proprio il tema del trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo. “I chiarimenti pervenuti dall’Autorità ricordano che il datore di lavoro non rientra tra i soggetti legittimati a richiedere ai dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o una copia dei documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione dell’interessato”, spiega De Luca puntualizzando che “il solo soggetto legittimato a conoscere e trattare, in via riservata, i dati sanitari dei lavoratori è il medico competente”.

L’avvocato sottolinea poi che “il datore di lavoro non può nemmeno richiedere al medico competente che sia condiviso l’elenco dei nominativi dei lavoratori che abbiano aderito alla campagna vaccinale in corso. Questo non può accadere sia nell’ipotesi in cui il soggetto partecipi alla campagna organizzata dal Sistema Sanitario Nazionale, sia nel caso in cui aderisca al piano straordinario eventualmente organizzato dal datore di lavoro ai sensi del protocollo vaccinale sottoscritto lo scorso 6 aprile”. De Luca osserva che “in conformità con quanto prescritto dalla normativa attualmente in vigore in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovrà limitarsi ad acquisire i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati così come definiti dal medico competente”.

L’avvocato conclude: “Quanto prescritto nel nuovo protocollo siglato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ed il ministero della Salute, d’intesa con le parti sociali, propone nuove sfide ma, al tempo stesso, nuove responsabilità in capo ai datori di lavoro che manifestano la disponibilità ad attuare i piani aziendali ivi previsti, la cui attuazione, in ogni caso, rimane strettamente connessa alla valutazione di fattori quali i costi del piano, di cui deve farsi carico il datore di lavoro, nonché la disponibilità delle dosi vaccinali”.

Fonte: Affari & Finanza – La Repubblica.

Il Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscrittoil 6 aprile 2021, ha previsto, per i lavoratori rimasti positivi dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi da COVID-19, la riammissione al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in una struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario; il referto molecolare negativo necessario per il rientro dovrà essere indirizzato al medico competente. Inoltre, il Ministero della Salute, con una circolare del successivo 12 aprile, ha dettato le procedure da eseguire per il rientro al lavoro dei dipendenti che hanno contratto il virus. In particolare, per i lavoratori per i quali è stato necessario un ricovero ospedaliero, il medico competente – previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione – deve effettuare la visita medica preventiva per verificare l’idoneità alla mansione indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia. I lavoratori che presentano sintomi meno gravi di malattia possono rientrare in servizio dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi. I lavoratori positivi ma asintomatici per tutto il periodo, invece, possono rientrare al lavoro dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo. Infine, il lavoratore che sia un contatto stretto di un caso positivo, deve informare il proprio medico curante affinché rilasci una certificazione di malattia salvo che lo stesso non possa essere collocato in regime di lavoro agile. In tal caso, il lavoratore, dopo aver effettuato una quarantena di 10 giorni dall’ultimo contatto con il caso positivo, potrà essere riammesso in servizio dopo essersi sottoposto a tampone molecolare o antigienico, informando il datore di lavoro per il tramite del medico competente, ove nominato.

Pronti a ripartire ma con quali regole?

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce dettagliate istruzioni agli ispettorati territoriali per intraprendere le verifiche dell’osservanza, presso le imprese, dei contenuti riportati nel protocollo condiviso tra Governo e parti sociali il 14 marzo 2020 e sull’osservanza delle misure precauzionali da adottare per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e dei lavoratori. Vittorio De Luca, Antonella Iacobellis e Martina De Angeli analizzano per Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore le guidelines operative per gestire la Fase 2.

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Per agevolare l’attività dei Prefetti in un momento decisivo quale quello della cosiddetta Fase 2, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (“INL”), il 20 aprile 2020, ha pubblicato la nota n. 149 (“Nota INL n. 149”), con la quale dispone un vero e proprio canone operativo per i propri uffici territoriali, per contribuire, su richiesta delle Prefetture, alle necessarie verifiche circa la ricorrenza delle condizioni previste per la prosecuzione  – ove consentita – delle attività produttive, industriali e commerciali, in un’ottica di indispensabile sinergia nella gestione della emergenza pandemica in corso.

Dette richieste sono in risposta alla circolare del Ministero dell’Interno del 14 aprile 2020, prot. n. 15350/117 (all. A alla Nota INL n. 149) con cui si forniscono chiarimenti in merito al D.P.C.M. 10 aprile 2020 e in cui, tra le altre cose, si sottolinea la necessità che le Prefetture richiedano la collaborazione dei competenti servizi delle Aziende Sanitarie Locali (“ASL”) e del supporto delle articolazioni territoriali dell’INL, ai fini del controllo:

  • sulle modalità di attuazione, da parte dei datori di lavoro, delle procedure organizzative e gestionali oggetto del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sociali (“Protocollo anti-contagio”) del 14 marzo 2020 (all. B alla Nota INL n. 149), e, più in generale;
  • sull’osservanza delle misure precauzionali da adottare per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e dei lavoratori.
  1. Cosa prevede la nota INL n. 149 del 20 aprile 2020?

Il documento di prassi dell’INL, in un’ottica di doverosa collaborazione nella gestione della emergenza sanitaria in corso, in particolare:

  • prevede le linee di indirizzo per la continuità di esercizio delle attribuzioni conferite ai Prefetti in materia di esecuzione e di monitoraggio delle misure per il contenimento e la gestione della diffusione del Covid-19;
  • prende in esame le modalità di istruzione delle comunicazioni trasmesse alle Prefetture per consentire le attività d’impresa funzionali alla continuità delle “filiere” già consentite;
  • indica come deve essere attuato e ritenuto l’intervento di ausilio alle Prefetture – U.T.G.. Tale intervento deve essere: (i) estraneo allo svolgimento di funzioni di controllo e di accertamento che, nell’esercizio delle loro specifiche qualifiche, competono alle componenti della pubblica sicurezza; (ii) finalizzato alla verifica dell’osservanza, presso le imprese le cui attività non sono sospese, dei contenuti del Protocollo anti-contagio; (iii) concorrente con i servizi offerti dalle ASL con le quali occorrerà pertanto operare in stretto raccordo, intrattenendo ogni necessaria forma di coordinamento.

Il supporto alle Prefetture, precisa la Nota INL n. 149, dovrà attuarsi “in una cornice che non si traduca nel ripristino di un diffuso controllo del territorio, in deroga al criterio della temporanea sospensione delle attività ispettive propriamente dette (se non in presenza di attivazioni di particolare gravità ed urgenza che impongano verifiche immediate in loco, ovvero per l’esecuzione di indifferibili accertamenti di polizia giudiziaria), ma in interventi che: − siano mirati a soddisfare la loro peculiare e tipica finalizzazione e discendano possibilmente da una programmazione previamente concordata di liste di aziende sulle quali orientare i controlli, onde agevolare una puntuale individuazione degli obiettivi;  − comportino un impiego sostenibile e selettivo di personale, da disporsi prioritariamente su base volontaria; − presuppongano la dotazione ed il corretto impiego di adeguati dispositivi di protezione per il personale operante.

La Nota INL n. 149 è corredata da taluni documenti allegati qualificabili come indicazioni base per l’avvio delle attività in argomento da parte degli ispettori: 

  • linee guida delle verifiche sul Protocollo anti-contagio (all. “C”);
  • (all. “D” ed “E”);
  • (all. “F”).

In particolare, il modello di check-list delle verifiche da effettuare (all. “E”) riprende in maniera speculare l’articolazione del Protocollo anti-contagio che a breve esamineremo, che pare essere a tutti gli effetti, anche per l’attività ispettiva, il documento cardine da seguire.

Invece, l’allegato F “istruzioni di utilizzo dei DPI per il personale ispettivo” contiene, nella parte iniziale, specifiche informazioni operative e formative destinate agli ispettori con l’obiettivo di fornire loro tutte le indicazioni comportamentali necessarie al fine di incrementare, durante l’ispezione in azienda, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate.

Nello stesso documento vengono poi riportate specifiche istruzioni procedurali e comportamentali da osservare durante ciascuna delle fasi che caratterizzano l’attività ispettiva, ossia: (i) la fase di programmazione dell’ispezione; (ii) la preparazione all’accesso; (iii) l’esecuzione dell’accesso ispettivo e (iv) la conclusione dell’accesso.

Si tratta quindi di documenti che data la loro natura e scopo di utilizzo inevitabilmente debbono ritenersi provvisori e soggetti a revisioni in divenire, “in funzione del progressivo assestamento del sistema dei controlli ed alla luce delle acquisizioni esperienziali, sulle quali gli I.T.L. terranno costantemente al corrente i rispettivi I.I.L. che cureranno l’omogeneizzazione delle condotte nei loro ambiti e segnaleranno a queste Direzioni centrali gli aspetti da tenere in considerazione per gli interventi di competenza.”

  1. Protocollo anti-contagio

Alla Nota INL n. 149, come già segnalato, è allegato anche il Protocollo anti-contagio sottoscritto il 14 marzo 2020 dal Governo e dalle parti sociali costituite da Confindustria, Confapi, Confartigianato, Cgil, Cisl e Uil. Non si sbaglia se lo si considera il documento chiave da cui partire per ogni analisi inerente alle misure anti-contagio.

Prima di illustrare brevemente le misure previste dal Protocollo anti-contagio, è doveroso precisare che è onere del datore di lavoro adottare misure opportune ed efficaci a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori al fine di evitare, o comunque ridurre il più possibile, il contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro considerata sia la responsabilità a suo carico ai sensi dell’art. 2087 Cod. Civ., del Testo Unico della Salute e Sicurezza, sia la potenziale qualificazione quale infortuno sul lavoro del contagio del lavoratore da COVID-19 (cfr. art. 42, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, meglio noto come Decreto Cura Italia, Circolare INAIL n.13 del 13 aprile 2020).

Pertanto, il datore di lavoro deve necessariamente attivarsi per adottare prontamente ogni accorgimento utile sulla base delle esigenze e delle caratteristiche tecniche e produttive della propria realtà al fine di gestire in sicurezza la ripartenza o la prosecuzione dell’attività lavorativa durante la Fase 2.

Il Protocollo anti-contagio contiene proprio quelle misure – che il datore di lavoro deve adottare -di regolamentazione per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro per consentire la prosecuzione (o la ripresa) delle attività produttive in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.

Ciò trova conferma anche nell’articolo 2, punto 10), del D.P.C.M. del 10 aprile 2020 recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabili sull’intero territorio nazionale” prescrive che: “Le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali”.

Sul punto, l’Allegato C – Linee guida delle verifiche sul “Protocollo anti-contagio, alla nota INL n. 149/2020, lett. f), prescrive che “[…] Gli accertamenti in questione sono esclusivamente volti a verificare se e in quale misura il datore di lavoro abbia adottato le misure di prevenzione previste dal Protocollo del 14 marzo u.s. Come convenuto anche dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota prot. n. 4037 del 20.04.2020, alla eventualmente constatata inosservanza di una o più misure prevenzionistiche oggetto del Protocollo non consegue l’irrogazione di sanzioni da parte del personale dell’Ispettorato, che dovrà pertanto trasmettere alle competenti Prefetture l’esito degli accertamenti, ricapitolandolo negli acclusi modelli di verbale e check list alla presente ed evidenziando in essi le omissioni/difformità riscontate.  Sulla base di tale segnalazione sarà pertanto la Prefettura ad adottare eventuali misure anche di carattere interdittivo in capo all’azienda”.


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Fonte: versione integrale pubblicata su Guida al lavoro de Il Sole 24 ore.