Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021, si è nuovamente pronunciato in merito all’estensione o meno del blocco dei licenziamenti, disposto dall’art. 46 del Decreto Cura Italia e confermato dai successi provvedimenti emergenziali, al personale dirigenziale. Nello specifico il Tribunale – contrariamente alle conclusioni a cui era giunto il precedente 26 febbraio – ha statuito che “il dato letterale della norma, in uno con la filosofia che la sorregge, non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco“.

I fatti di causa

Per far fronte ad una situazione di crisi, aggravata dalle conseguenze dell’emergenza pandemica, una società, con comunicazione del 29 aprile 2020, aveva licenziato il proprio Chief Operating Officer per soppressione della posizione, con ridistribuzione delle funzioni allo stesso assegnate tra altri responsabili aziendali.

Il dirigente aveva impugnato il recesso eccependo, da un lato, la sua nullità per violazione dell’art. 46 del D.L. 18/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”) sull’assunto che il divieto di licenziamento individuale introdotto dalla normativa emergenziale dovesse applicarsi anche al personale dirigenziale e, dall’altro, l’illegittimità dello stesso.

La decisione del Tribunale

Nel rigettare il ricorso promosso dal dirigente, il Tribunale di Roma ha preliminarmente rilevato che l’art. 46 del Decreto Cura Italia – così come i successivi provvedimenti emergenziali che hanno prorogato il blocco dei licenziamenti – ha espressamente escluso la possibilità di intimare recessi per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge 604/66.

Orbene, sulla base del tenore letterale della norma e sull’assunto che l’art. 3 della Legge 604/66 non si applica ai dirigenti, sia per espressa previsione normativa (art. 10 L. 604/66) che per costante orientamento giurisprudenziale, il Tribunale ha escluso che la figura dirigenziale possa essere ricompresa nel blocco dei licenziamenti.

Il Tribunale ha poi rilevato la “chiara ed evidente simmetria” tra il blocco dei licenziamenti e il ricorso agli ammortizzatori sociali, che ha consentito in maniera pressoché generalizzata alle aziende la possibilità di ridurre il costo del lavoro per far fronte alle perdite. Simmetria confermata, oltretutto, dalla possibilità per i dator di lavoro, introdotta sempre dall’art. 46 del Decreto Cura Italia al comma 1-bis, di revocare i licenziamenti già intimati prima del blocco purché contestualmente venisse fatta richiesta di accesso al trattamento di integrazione salariale.

In ogni caso, a parere del Tribunale, il binomio “divieto di licenziamento” e “ricorso agli ammortizzatori sociali” non regge con riferimento ai dirigenti, in quanto agli stessi non è consentito, in costanza di rapporto, di beneficiare degli ammortizzatori sociali. Un’interpretazione che consentisse di includere il personale dirigenziale nel blocco dei licenziamenti presenterebbe profili di incostituzionalità, in quanto lascerebbe a carico del datore di lavoro gli oneri del rapporto di lavoro dirigenziale pur in presenza di una giustificatezza del recesso.

Il Tribunale ha, inoltre, ritenuto di non poter giungere a conclusioni diverse neppure in ragione dell’ordinanza del medesimo Tribunale del 26 febbraio 2021, a parere della quale il divieto si estenderebbe ai dirigenti poiché “secondo una ‘interpretazione costituzionalmente orientata’ non si capirebbe l’esclusione dei dirigenti dal blocco visto la ratio della norma che è quella di impedire il licenziamento in generale senza distinzione di sorta“.

Con la pronuncia in esame, il Tribunale non ha neanche condiviso l’ulteriore motivazione contenuta nell’ordinanza del 26 febbraio scorso secondo cui sarebbe irragionevole non includere i dirigenti nel divieto poiché protetti dalla disciplina del licenziamento collettivo. Ed infatti, con la sentenza in commento, il Tribunale ha statuito che la diversità tra fattispecie giustifica una diversità di trattamento e non può costituire valido motivo per estendere il beneficio del blocco al licenziamento individuale del dirigente.

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Il percorso logico-giuridico che ha condotto il Tribunale ad escludere l’estensione del blocco dei licenziamenti al personale dirigenziale può risultare condivisibile, poiché in linea con le previsioni di legge e con la ratio dell’intero impianto normativo emergenziale.

Non può non riflettersi, tuttavia, sulla circostanza che la giurisprudenza di merito sino ad oggi intervenuta sull’interpretazione della medesima fonte normativa, sia giunta a soluzioni diametralmente opposte, con una conseguente incertezza per le aziende circa gli esiti e costi dell’eventuale licenziamento delle figure apicali.

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Il Tribunale di Milano, con il provvedimento n. 5145/2020, ha affermato che la sospensione dei termini processuali introdotta durante il periodo emergenziale si applica anche al termine di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento. Sotto diverso profilo, i Tribunali di Roma (pronuncia n. 86577/2020) e di Palermo (sentenza 30615/2020) si sono, invece, soffermati sull’impugnativa del licenziamento, inviata a mezzo pec quale allegato, scansione dell’originale, priva di autentica sottoscrizione da parte dell’interessato.

  1. Sospensione dei termini di impugnazione del licenziamento nel periodo emergenziale

L’art. 6 della Legge 604/1966 prevede che:

  • il licenziamento, a pena di decadenza, deve essere impugnato entro 60 giorni dal ricevimento della relativa comunicazione e
  • l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale in funzione del giudice del lavoro.

Ciò premesso, gli articoli 83, comma 2, del Decreto Cura Italia, e 36, comma 1, del Decreto Liquidità, tra le misure per far fronte all’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del virus COVID-19, hanno disposto la sospensione “straordinaria” dei termini processuali dal 9 marzo 2020 sino al successivo 11 maggio.

In tema di impugnativa del licenziamento, il Tribunale di Milano, con il provvedimento del 14 ottobre 2020 n. 5145, ha affermato che la sospensione dei termini in questione non si applica solo al termine di 180 giorni relativo all’impugnazione giudiziale del licenziamento ma anche al termine decadenziale di 60 giorni inerente alla sua impugnazione stragiudiziale.

A parere del Tribunale una interpretazione restrittiva contrasterebbe con la natura unitaria dei due termini di impugnazione e con la “la ratio della decretazione d’urgenza di limitare le conseguenze negative della pandemia anche per la tutela giurisdizionale dei diritti”.

2) Modalità di impugnazione

Sotto altro profilo, i Tribunali di Roma e di Palermo si sono di recente soffermati sull’impugnativa del licenziamento, inviata a mezzo pec quale allegato, scansione dell’originale, e dunque una copia immagine priva di autentica sottoscrizione da parte dell’interessato.

Il Tribunale di Roma, con la pronuncia del 20 ottobre 2020, n. 86577, ha dichiarato che l’impugnativa di licenziamento può avvenire, indifferentemente, sia (i) allegando al messaggio pec un documento informatico (il c.d. “atto nativo digitale”) sia (ii) inviando la scansione dell’atto cartaceo sottoscritto dal difensore e dall’interessato, anche se privo di firma digitale.

Di diverso avviso è stato il Tribunale di Palermo che, con la sentenza del 28 ottobre 2020, n. 30615, ha dichiarato inefficace l’impugnativa di licenziamento inviata dal legale del lavoratore al datore di lavoro, tramite pec, se non accompagnata dalla sottoscrizione digitale o da un’attestazione di conformità degli atti.

Il contrasto giurisprudenziale ormai aperto sul tema, ci si auspica sia a breve risolto da una decisione della Suprema Corte o da una novella normativa.

Stabilire, infatti, se l’impugnativa quale copia immagine sia efficace o meno è dirimente nel decidere se l’atto così composto abbia il valore di un atto interruttivo dei termini di decadenza di cui all’art. 6 L. n. 604/1966.

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Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis per Guida al Lavoro de Il Sole 24 Ore affrontano alcuni profili critici conseguenti all’equiparazione – sancita dal Decreto “Cura Italia” – del contagio da Covid-19, in occasione di lavoro, a infortunio sul luogo di lavoro.

Clicca qui per leggere il DLP insights relativo alla vicenda e le considerazioni dello Studio.

È stata appena pubblicata la Legge 24 aprile 2020, n. 27 (la “Legge di Conversione”) (G.U. n. 110 del 29 aprile 2020) rubricata “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

A seguito di un lungo iter parlamentare e di vari emendamenti, con tale intervento legislativo, l’oramai meglio noto Decreto “Cura-Italia” diventa legge dello Stato.

Di seguito vengono riassunte le principali novità connesse ai profili lavoristici introdotte dalla Legge di Conversione:

A) Estensione delle “misure speciali in tema di ammortizzatori sociali per tutto il territorio nazionale(Capo I, Titolo II)

1. È stato soppresso dall’art. 19 – relativo alla Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) e all’assegno ordinario (FIS) per Emergenza Covid-19 – l’inciso “fermo restando l’informazione la consultazione e l’esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva”.  Tali ammortizzatori sociali potranno, pertanto, essere richiesti all’INPS senza la preventiva informativa e consultazione sindacale.

2. È stato introdotto ex novo l’art. 19 bis rubricato “Norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine”. Tale norma prevede la possibilità di:

  • prorogare e rinnovare i contratti a termine e di somministrazione a termine nel periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali, in deroga agli artt. 20, comma 1, lett. c) e 32, comma 1, lett. c), del D.L.gs. 81/2015;
  • rinnovare i suddetti contratti senza l’obbligo di rispettare il periodo di stop&go previsto dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs.  81/2015.

Permangono gli obblighi di indicare le causali (per i rinnovi e per le proroghe oltre i 12 mesi) e di rispettare i limiti quantitativi e di durata.

3. Con riferimento alla Cassa integrazione guadagni in deroga (“CIGD”), all’art. 22 è stato previsto che:

  • l’accordo con le Organizzazioni sindacali non è richiesto, oltre che per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, per i datori di lavoro che hanno chiuso l’attività in ottemperanza ai provvedimenti di urgenza emanati per far fronte all’emergenza epidemiologica;
  • per i datori di lavoro con unità produttive site in più regioni o province autonome la CIGD può essere riconosciuta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

4. È stato abrogato il D.L. 2 marzo 2020, n. 9: le relative disposizioni afferenti la CIGO e il FIS per la c.d. Zona Rossa (della durata di 3 mesi), nonché la CIGD introdotta sia per la c.d. Zona Rossa (della durata di 3 mesi) che per le Regioni della Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (della durata di 4 settimane) sono confluite nella Legge di Conversione.

B) Misure speciali “in materia di riduzione dell’orario di lavoro e sostegno ai lavoratori” (Titolo II, Capo II)

1. Con riferimento alla disciplina dei congedi specifici previsti in favore dei lavoratori che necessitano di assentarsi dal lavoro per accudire i figli a fronte delle sospensioni dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole, non viene introdotta alcuna particolare novità. La Legge di Conversione, infatti, si limita a proporre delle modifiche di mero coordinamento del testo della norma originaria di cui all’art. 23.

2. Anche in merito alle misure urgenti per la tutela del periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato di cui all’art. 26, la Legge di Conversione si limita a delle mere modifiche di coordinamento del testo, confermando consequenzialmente che il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva (come disposto dal certificato medico) debba essere equiparato ad assenza per malattia, nonché non computabile ai fini del periodo di comporto.

3. Per i lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 3, co.3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché per i lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dal medico-legale attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione, esiti da patologie croniche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita ai sensi dell’articolo 3, co.1, della medesima legge, il periodo di assenza dal servizio sino al 30 aprile u.s. viene equiparato al ricovero ospedaliero.

4. Anche la nuova formulazione del testo dell’art. 39, così come emendato, incoraggia i datori di lavoro all’utilizzo del lavoro agile:

  • non più fino alla data del 30 aprile 2020, ma “Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19”,
  • estendendo, con l’introduzione del co. 2-bis, l’applicazione di tale norma, anche ai lavoratori immunodepressi e ai familiari conviventi di persone immunodepresse.

5. Si è intervenuti con la modifica della rubrica dell’art. 46 “Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo” che ora rispetto alla precedente “Sospensione termini di impugnazione dei licenziamenti”, appare maggiormente coerente con il contenuto della norma. Alla stessa disposizione, al co. 1 è stato precisato che il divieto di licenziamento non si applica qualora il personale interessato sia impegnato nell’ambito di un appalto cessato e venga riassunto “a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto.

C. Nuove misure “in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare”.

1. È stato disposto che, fino alla cessazione delle misure di distanziamento previste dalla legislazione emergenziale in materia di prevenzione del contagio da COVID-19, nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, a mezzo di strumenti di comunicazione elettronica.

2. È stato previsto che nei procedimenti civili innanzi alla Corte di cassazione, sino al 30 giugno 2020, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

3. È stato disposto che dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, nei procedimenti civili e penali non sospesi, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia.

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Lo studio legale De Luca & Partners rimane a disposizione per fornire ogni informazione necessaria a fronteggiare l’emergenza, nonché per elaborare le migliori strategie volte a minimizzare l’impatto della stessa sulla produttività aziendale.

L’INPS, con la circolare n. 45 del 25 marzo 2020, ha fornito istruzioni operative in merito alla fruizone del congedo parentale per emergenza COVID-19 e all’incremento dei permessi di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, entrambi previsti dal Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18.

Quadro normativo di riferimento

La circolare in esame ha ad oggetto le misure speciali introdotte dagli articoli 23 e 24 del Decreto Legge 18 del 17 marzo scorso (cd. “Decreto Cura Italia”, di seguito il “Decreto”), volte ad agevolare famiglie e lavoratori a fronte dell’emergenza epidemiologica in atto.

Nel merito, l’art. 23 del Decreto introduce un congedo parentale straordinario per la cura dei minori durante il periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado disposto dal DPCM del 4 marzo 2020.

Il congedo, della durata complessiva di 15 giorni, è fruibile dai genitori lavoratori dipendenti del settore privato, dai lavoratori iscritti alla Gestione separata, dai lavoratori autonomi iscritti all’INPS e dai lavoratori dipendenti del settore pubblico. In alternativa al menzionato congedo è stata altresì riconosciuta ai genitori con figli di età non superiore ai 12 anni la possibilità di fruire di un bonus da 600 euro per l’acquisto di servizi di baby-sitting.

L’articolo 24 del Decreto, invece, ha previsto l’incremento del numero di giorni di permesso retribuiti di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, di ulteriori complessive 12 giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020.

Tali misure trovano applicazione anche nei confronti dei genitori adottivi e affidatari o che hanno minori in collocamento temporaneo.

Periodo di fruizione del congedo e relativa indennità

L’Istituto, con la circolare in commento, ha diramato le modalità operative per poter fruire del congedo, specificando, al tempo stesso, che i genitori dipendenti del settore pubblico dovranno seguire le istruzioni fornite dall’Amministrazione pubblica con la quale intercorre il rapporto di lavoro.

La fruizione del congedo straordinario che, come detto, può avvenire per un periodo continuativo o frazionato, comunque non superiore a 15 giorni complessivi a partire dal 5 marzo 2020, è riconosciuta alternativamente ad uno solo dei genitori per nucleo familiare. Ciò a condizione che, nell’ambito dello stesso, non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito previsti in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o altro genitore disoccupato o non lavoratore.

Modalità operative per la fruizione del congedo

  • Genitori lavoratori del settore privato 

Il nuovo congedo COVID-19 garantisce maggiori tutele rispetto a quelle di cui i genitori stessi possono beneficiare per la cura dei figli avvalendosi del congedo parentale ordinario. In particolare, il nuovo congedo straordinario riconosce ai genitori con figli di età non superiore ai 12 anni un’indennità pari al 50% della retribuzione, calcolata secondo quanto previsto dall’articolo 23 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L’INPS specifica che (i) il computo delle giornate e il pagamento dell’indennità avviene con le stesse modalità previste per il pagamento del congedo parentale e (ii) la tutela viene riconosciuta anche ove siano stati già raggiunti i limiti individuali di coppia previsti dalla specifica normativa sul congedo parentale.

Invece, ai genitori con figli di età compresa tra i 12 e i 16 anni, pur essendo riconosciuto il congedo, ossia il diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di sospensione dei  servizi  educativi e delle attività didattiche, non viene riconosciuta la corresponsione di alcuna indennità.

Coloro che intendano usufruire del congedo dovranno:

  • presentare domanda sia al proprio datore di lavoro che all’INPS, ove abbiano figli di età non superiore ai 12 anni;
  • presentare domanda solo al proprio datore di lavoro che, successivamente, provvederà a comunicare all’INPS le giornate di congedo fruite, ove abbiano figli di età compresa tra i 12 e i 16 anni;
  • non presentare una nuova domanda di congedo COVID-19 ove abbiano già presentato domanda di congedo parentale ordinario e stiano usufruendo del relativo beneficio, potendo così proseguire l’astensione per i periodi richiesti. I giorni già fruiti saranno considerati d’ufficio dall’Istituto come congedo COVID-19. 
  • Genitori iscritti alla Gestione separata e lavoratori autonomi

Anche per i genitori iscritti alla Gestione separata vengono previste maggiori tutele rispetto al congedo parentale ordinario. Il congedo COVID-19, infatti, garantisce ai genitori con figli di età non superiore ai 12 anni un’indennità pari al 50% di 1/365 del reddito, individuato secondo la base di calcolo utilizzata ai fini della determinazione dell’indennità di maternità.

Analogamente anche per i genitori lavoratori autonomi iscritti all’INPS viene ampliata la tutela che passa dal riconoscimento di un’indennità pari al 30% della retribuzione prevista solo in caso di figli fino a 1 anno di età, a un’indennità pari al 50% della retribuzione convenzionale giornaliera stabilita annualmente dalla legge, a seconda della tipologia di lavoro autonomo svolto, per i genitori lavoratori con figli fino ai 12 anni di età.

  • Bonus baby-sitting:

Il Decreto  ha previsto anche un’agevolazione alternativa per i soggetti destinatari del congedo di cui sopra che potranno richiedere un bonus per servizi di baby-sitting fino ad un importo massimo complessivo di 600 euro che, può arrivare fino a 1.000 euro complessivi, per i lavoratori del settore sanitario, difesa e sicurezza.

L’INPS, con la circolare n. 44 del 24 marzo 2020, ha fornito le istruzioni operative per poter richiedere tale bonus, specificando che ne potranno beneficiare i genitori con figli di età non superiore ai 12 anni ma anche coloro che alla data di presentazione della domanda abbiano già compiuto i 12 anni, purché gli stessi alla data del 5 marzo rientrassero nel limite di età prescritto.

Tale limite d’età non si applica in riferimento ai figli con disabilità in situazione di gravità accertata, iscritti a scuole di ogni ordine e grado o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale.

L’Istituto, riprendendo quanto già sancito dal Decreto, ha chiarito che la prestazione spetta a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa (ad esempio, NASPI, CIGO, indennità di mobilità, ecc.) o altro genitore disoccupato o non lavoratore, con i quali, dunque, sussiste incompatibilità e divieto di cumulo.

Estensione dei permessi retribuiti di cui alla legge n. 104/1992

L’articolo 24 del Decreto, come anticipato, ha previsto l’incremento del numero di giorni di permesso retribuiti di cui alla legge n. 104/92. Pertanto, i soggetti aventi diritto ai permessi in questione potranno godere, in aggiunta ai tre giorni mensili già garantiti dalla citata legge, di ulteriori 12 giornate lavorative da fruire complessivamente nell’arco dei mesi di marzo e aprile.

L’INPS ha specificato che i 12 giorni possono anche essere fruiti consecutivamente nel corso di un solo mese o, ancora, frazionati in ore.

Viene confermata, inoltre, la possibilità di cumulare più permessi in capo allo stesso lavoratore. Pertanto, nel caso in cui il lavoratore assista più soggetti disabili potrà cumulare, per i mesi di marzo e aprile 2020, per ciascun soggetto assistito, oltre ai 3 giorni di permesso mensile ordinariamente previsti, gli ulteriori 12 giorni.