Lo scorso 1° luglio è entrata in vigore la c.d. Riforma dello Sport, contenuta nel Decreto Legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021 recante per l’appunto il “riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo”, originariamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2021, n. 67.

Il cerchio sulla Riforma dello Sport si è chiuso lo scorso 4 settembre quando è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo n. 120 del 29 agosto 2023, ovverosia il decreto correttivo bis della riforma sul lavoro sportivo.

La Riforma dello Sport è stata elaborata con l’obiettivo di superare la previgente disciplina contenuta nella Legge n. 91 del 23 marzo 1981 e di conferire così maggiore importanza al settore sportivo nell’ordinamento, garantendo l’osservanza dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nell’ambito del lavoro sportivo.

Tra le principali novità introdotte in materia giuslavoristica vi è il notevole ampliamento della figura del lavoratore sportivo.

In particolare, viene ora considerato lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo a favore di un soggetto dell’ordinamento sportivo.

Viene ricompreso nel novero anche ogni altro tesserato che svolga, verso un corrispettivo, le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale

In base alla Riforma, l’attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409, co. 1, n. 3 cod. proc. civ.

Al riguardo, è appena il caso di precisare che, nel contesto sportivo, la disciplina del rapporto di lavoro subordinato “ordinario” assume carattere di specialità: ai contratti di lavoro subordinato sportivo non si applicano, ad esempio, le norme su impianti audiovisivi, licenziamento individuale e collettivo e sui rapporti di lavoro a termine.

In ambito professionistico, il rapporto di lavoro sportivo si presume di natura subordinata. Tale prestazione costituisce, invece, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: (i) l’attività oggetto del contratto sia svolta in una singola manifestazione sportiva o in più manifestazioni collegate tra loro in breve tempo, (ii) non sussista in capo allo sportivo alcun vincolo contrattuale per la partecipazione a sedute o allenamenti e (iii) la prestazione oggetto del contratto sia inferiore a 8 ore settimanali o 5 giorni mensili o 30 giorni annuali.

Notevole elemento di novità è poi rappresentato dalla espressa inclusione dei dilettanti nel novero dei lavoratori sportivi, la cui prestazione lavorativa si presume oggetto di un contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, al ricorrere dei seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente: (i) la durata delle prestazioni oggetto del contratto non superi le 24 ore settimanali (escluso il tempo dedicato alla partecipazione alle manifestazioni sportive); (ii) le prestazioni oggetto del contratto risultino coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo in osservanza dei regolamenti previsti dall’ordinamento sportivo nazionale.

La bozza di Decreto legislativo in materia di fiscalità internazionale (in attuazione della Legge 9 agosto 2023 n. 111, recante “Delega al Governo per la revisione del sistema tributario”) che contiene la nuova versione del regime dei lavoratori impatriati è attualmente in discussione alla Camera. 

Al momento il testo prevede la ridefinizione dell’art. 16 del D.lgs. 147/2015, che disciplina il regime dei redditi di lavoro dipendenti dei cd. lavoratori impatriati. 

Tra le novità, in particolare, la bozza di decreto prevede che le disposizioni non impatteranno sui trasferimenti “anagrafici” intervenuti entro la fine dell’anno. Pertanto, il regime fiscale “speciale” riservato ai lavoratori impatriati si applicherà anche a coloro che hanno trasferito la residenza anagrafica in Italia nel secondo semestre dell’anno 2023. 

Inoltre, la bozza di decreto prevede che per rientrare nella categoria dei lavoratori impatriati, nel corso del 2024, si richiede che l’attività lavorativa si svolga in Italia con un datore di lavoro diverso da quello “estero”, ivi compresi quelli appartenenti al medesimo gruppo. 

Si attende, dunque, la discussione della bozza di decreto, attualmente alla Camera, anche al fine di verificare eventuali ulteriori modifiche al testo. 

Nell’ordinamento italiano non è in vigore una legge che istituisce il salario minimo legale. Difatti, i parametri per una retribuzione “giusta” sono definiti dalla Carta Costituzione.

Nello specifico, l’art. 36 della Costituzione stabilisce che la giusta retribuzione è quella che assicuri al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa nonché sia proporzionata alla quantità e qualità della prestazione lavorativa.

Tale retribuzione viene solitamente quantificata dalla contrattazione collettiva del settore di riferimento.

A tal proposito la Cassazione ha confermato nella pronuncia n. 27711 dello scorso 2 ottobre 2023 che, nell’ipotesi in cui il salario minimo fosse determinato da una norma, come nel caso del settore delle cooperative, la retribuzione “giusta” deve comunque essere valutata sulla scorta del contratto collettivo comparativamente più rappresentativo nell’ambito del settore di attività o di altri elementi “economici” rilevanti.

Difatti, nella citata pronuncia la Cassazione ha chiarito che il giudice anche laddove vi sia una norma che stabilisca il salario minimo, nella valutazione circa il rispetto dei parametri costituzionali sulla giusta retribuzione, debba verificare la conformità di tale salario anche alla luce di quanto previsto dal CCNL sottoscritto dalle associazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative. In caso di esito negativo, il giudice deve estendere l’indagine ad altri parametri concorrenti quali, ad esempio, gli indicatori economici e statistici utilizzati per misurare la soglia di povertà (indice Istat), la soglia di reddito per accedere alla pensione di inabilità o gli indicatori statistici individuati dalla Direttiva Ue sui salari minimi adeguati (2022/2041).


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6915 pubblicata il giorno 11 marzo 2021 si è espressa circa l’applicabilità ai rapporti di agenzia dell’istituto del recesso per giusta causa previsto dall’art. 2119 cod. civ. per i rapporti di lavoro subordinato. La Suprema Corte, nel confermare l’applicabilità di tale istituto anche ai rapporti di agenzia, ha sottolineato come, ai fini della valutazione della gravità della condotta, occorre tener conto che nell’ambito dei rapporti di agenzia il rapporto di fiducia assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, ai fini della legittimità del recesso è sufficiente un fatto di minore consistenza.

I fatti di causa

La pronuncia della Suprema Corte trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva respinto il ricorso proposto da un agente avverso il recesso per giusta causa intimatogli dalla società preponente.

Nel caso di specie la società preponente aveva receduto per giusta causa, in quanto, durante lo svolgimento del rapporto di agenzia, l’agente aveva contattato altri agenti, suoi collaboratori, con la finalità di coinvolgergli in un’attività in concorrenza con la stessa.

A parere della Corte d’Appello tale condotta aveva integrato la violazione dell’art. 1746 cod. civ. secondo il quale, nell’esecuzione dell’incarico, l’agente deve tutelare gli interessi del preponente ed agire nel rispetto dei principi di lealtà e buona fede. La Corte d’Appello era giunta alla conclusione che la violazione di tale dovere, indipendentemente dall’esito positivo o negativo dell’iniziativa, costituisse un comportamento in contrasto con i doveri essenziali dell’agente integrando un’ipotesi di giusta causa di recesso ex art. 2119 cod. civ.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, l’agente ricorreva in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso presentato dall’agente, ha ribadito che “l’istituto del recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c. è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia – in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi in funzione del conseguimento delle finalità aziendali assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato”.

Ne consegue, a parere della Corte, che “ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata”.

Tuttavia, sempre secondo la Corte, richiamando un orientamento ormai consolidato, “al fine di valutare l’inadempimento del lavoratore, occorre aver riguardo agli elementi tipici dei due rapporti con la conseguenza che l’analogia tra le due fattispecie normative può operare solo in quanto non venga a confliggere con tali elementi”.

In conclusione, a parere della Corte di Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe correttamente confermato quanto statuito dal giudice di primo grado che aveva individuato la sussistenza di una giusta causa di recesso nell’iniziativa assunta dall’agente di volere stornare i collaboratori del preponente per indirizzarli verso l’attività imprenditoriale che voleva avviare. Ciò sul presupposto che la violazione dell’obbligo di fedeltà in capo all’agente è ravvisabile in qualunque attività che possa nuocere al preponente indipendentemente dal fatto che, come nel caso di specie, lo storno non si concretizzi poi effettivamente.

Altri insights correlati: